Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

mercoledì 30 aprile 2014

Rami di pesco di Ada Negri

William Stott of Oldham
Ferma al quadrivio, mentre piove e spiove
sotto l'aspro alternar delle ventate
schioccanti come fruste sulle facce
di chi va, di chi viene, una vecchietta
vende rami di pesco.
O primavera
per pochi soldi! O riso, o tremolio
di stelle rosee su bagnate pietre!
Scompare agli occhi miei la strada urbana
con fango e folla e strider di convogli
sulle rotaie, e saettar nemico
d'automobili in corsa. Ecco, e in un campo
mi trovo: è verde, di frumento a pena
sorto dal suolo: pioppi e gelsi intorno
con la promessa delle fronde al sommo
dei rami avvolti in una nebbia d'oro:
e peschi: oh, lievi, oh, gracili, d'un rosa
che non è della terra: ch'è di tuniche
d'angeli scesi a benedire i primi
germogli, e pronti, a un alito di brezza,
a rivolar da nube a nube in cielo.

martedì 29 aprile 2014

Sera d'aprile di Antonia Pozzi

Batte la luna soavemente
di là dei vetri
sul mio vaso di primule:
senza vederla la penso
come una grande primula anch'essa
stupita
sola
nel prato azzurro del cielo.

lunedì 28 aprile 2014

Di tutto restano tre cose di Fernando Pessoa

Guido Cadorin*1921
Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell'interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura,
una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.

domenica 27 aprile 2014

Solitudine di Sandro Penna

Jean Francois Millet*Spring
Mi avevano lasciato solo
nella campagna, sotto
la pioggia fina, solo.
Mi guardavano muti
meravigliati
i nudi pioppi: soffrivano
della mia pena: pena
di non saper chiaramente…
E la terra bagnata
e i neri altissimi monti
tacevano vinti.
Sembrava che un dio cattivo
avesse con un sol gesto
tutto pietrificato.
E la pioggia lavava quelle pietre.

sabato 26 aprile 2014

Ordinanza di Paul Éluard

Jean Benner*The Loss of Alsace Lorraine
La notte prima di morire
Fu la più corta della sua vita
L'idea di esistere ancora
Ai polsi gli bruciava il sangue
Nausea il peso del corpo
E la forza un gemito
Dall'orrore più fondo così
A sorridere cominciò
Non UN compagno aveva
Ma milioni e milioni
Per vendicarlo. Questo sapeva
E per lui il giorno si levò.
***********
AVIS
La nuit qui précéda sa mort
Fut la plus courte de sa vie
L'idée qu'il existait encore
Lui brûlait le sang aux poignets
Le poids de son corps l'écœurait
Sa force le faisait gémir
C'est tout au fond de cette horreur
Qu'il a commencé à sourire
Il n'avait pas UN camarade
Mais des millions et des millions
Pour le venger il le savait
Et le jour se leva pour lui.‎
********
(AU RENDEZ-VOUS ALLEMAND*1942-1945)

venerdì 25 aprile 2014

PER I MORTI DELLA RESISTENZA di Giuseppe Ungaretti

Charles Sellier*Angels
Qui 
Vivono per sempre
Gli occhi che furono chiusi alla luce
Perché tutti 
Li avessero aperti
Per sempre 
Alla luce

(NUOVE*1968-1970)

giovedì 24 aprile 2014

Ai compagni d'Italia di Alfonso Gatto

Romaine Brooks*Spring*1912
Milano vi manda il suo cuore,
il vento delle pianure,
le sue nevi
bianche di tanti morti, di tante case,
il lungo inverno in cui attese
l’ora e l’urlo della riscossa.

Vi manda la sua bandiera rossa,
il cielo d’aprile,
le fabbriche difese ad una ad una
la gioia che l’invase
d’esser viva e libera nel mondo.

Milano vi manda il suo cuore,
compagni.
E batte sull’Europa, questo cuore,
batte sull’Italia: svegli i morti,
sveglia i vivi nel cielo d’aprile.
*********
POESIE NON RACCOLTE

mercoledì 23 aprile 2014

Cori descrittivi di stati d'animo di Didone dal X al XIX di Giuseppe Ungaretti

John William Godward
X
Non odi del platano,
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?

Il mio declino abbellirò, stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.

XI
E senza darsi quiete
Poiché lo spazio loro fuga d’una
Nuvola offriva ai nostri intimi fuochi,
Covandosi a vicenda
Le ingenue anime nostre
Gemelle si svegliarono, già in corsa

XII
A bufera s’è aperto, al buio, un porto
Che dissero sicuro.

Fu golfo constellato
E pareva immutabile il suo cielo;
Ma ora, com’è mutato!

XIII
Sceso dall’incantevole sua cuspide,
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.

XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl’intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.

Per patirne l’estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
Ai tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,

Opachi, senza raggi.

XV
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.

XVI
Non sfocerebbero ombre da verdure
Come nel tempo ch’eri agguato roseo
E tornava a distendersi la notte
Con i sospiri di sfumare in prato,
E a prime dorature ti sfrangiavi,
Incerte, furtiva, in dormiveglia.

XVII
Trarresti dal crepuscolo
Un’ala interminabile.

Con le sue piume più fugaci
A distratte strie ombreggiando,
Senza fine la sabbia
Forse ravviveresti.

XVIII
Lasciò i campi alle spighe l’ira avversi,
E la città, poco più tardi,
Anche le sue macerie perse.

Àrdee errare cineree solo vedo
Tra paludi e cespugli,
Terrorizzate urlanti presso i nidi
E gli escrementi dei voraci figli
Anche se appaia solo una cornacchia.

Per fetori s’estende
La fama che ti resta,
Ed altro segno più di te non mostri
Se non le paralitiche
Forme della viltà
Se ai tuoi sgradevoli gridi ti guardo.

XIX
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
**********
LA TERRA PROMESSA

martedì 22 aprile 2014

Cori descrittivi di stati d'animo di Didone (dall'I al IX) di Giuseppe Ungaretti

John William Godward
I.
Dileguandosi l'ombra,

In lontananza d'anni,

Quando non laceravano gli affanni,

L'allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l'occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell'Aprile
Da un'odorosa gota.

Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:

Il cuore roso, sgombra!

Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?

Il.
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell'erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.

Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
Non so chi fu più vivo,
Il sussurrio sino all'ebbro rivo
O l'attenta che tenera si tacque.

III
Ora il vento s'è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
Il grido, sola, del mio cuore ,
Grido d'amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e m'hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.

Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.

IV
Solo ho nell'anima coperti schianti,
Equatori selvosi, su paduli
Brumali grumi di vapori dove
Delira il desiderio,
Nel sonno, di non essere mai nati.

V
Non divezzati ancora, ma pupilli
Cui troppo in fretta crescano impazienze,
L'ansia ci trasportava lungo il sonno
Verso quale altro altrove?
Si colorì e l'aroma prese a spargere
Così quella primizia
Che, per tenere astuzie
Schiudendosi sorpresa nella luce,
Offrì solo la vera succulenza
Più tardi, già accaniti noi alle veglie.

VI
Tutti gli inganni suoi perso ha il mistero,
A vita lunga solita corona,
E, in se stesso mutato,
Concede il fiele dei rimorsi a gocce.

VII.
Nella tenebra, muta
Cammini in campi vuoti d'ogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.

VIII.
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d'un indugio.

IX
Non più m'attraggono i paesaggi erranti
Del mare, nè dell'alba il lacerante
Pallore sopra queste o quelle foglie;
Nemmeno più contrasto col macigno,
Antica notte che sugli occhi porto.

Le immagini a che prò
Per me dimenticata?
.................................................
LA TERRA PROMESSA

lunedì 21 aprile 2014

L'angelo bugiardo di Rafael Alberti

Dewing*Gloria*1884
E fui sconfitta
io, senza violenza,
con miele e con parole.

E, sola, in province
di sabbie e vento,
senz’uomo, prigioniera.

E, ombra di qualcuno,
cento porte di secoli
murarono il mio sangue.

Ahi, luci! A me!
Che fui sconfitta,
io, senza violenza,
con miele e con parole.
(DEGLI ANGELI)
***********

El ángel mentiroso

Y fui derrotada
yo, sin violencia
con miel y palabras
Y, sola, en provincias
de arena y de viento
sin hombre, cautiva

Y, sombra de alguien
cien puertas de siglos
tapiaron mi sangre.
¡Ay luces! ¡Conmigo!
Que fui derrotada
yo, sin violencia,
con miel y palabras.
(Sobre los ángeles 1929)

domenica 20 aprile 2014

Pasqua di Resurrezione di Vittoria Aganoor

Bouguereau
Per poco l’hai tu, o Morte, irrigidito
sovra la croce! e in sindone ravvolto
per poco dentro l’arca di granito,
l’ hai, cittadin d’Arimatea, sepolto!

Donne, piangete invan! pianga lo stolto
gregge, che l’ha di spine redimito:
l’Emmanuele d’ogni ceppo è sciolto;
non s’imprigiona, o donne, l’infinito!

Ecco, Egli torna, Egli vi parla: - "È data
a me la potestà del mondo, e l’orme
segnerò tra i fedeli e tra i ribelli,

sempre per la sequela interminata
dei secoli, clamando in mille forme
con mille voci: - Amatevi, o fratelli! -
**********
LEGGENDA ETERNA/RISVEGLIO

sabato 19 aprile 2014

In Paradiso di Fausto Maria Martini

Ettore Tito*1911
per la memoria di Sergio Corazzini

In Paradiso è sabato, di sera:
un gran da fare, come quando al mondo
lo scampanio d'un sabato giocondo
annuncia Pasqua con la primavera.

Tutti in faccende, e il santo e il cherubino:
qualcuno intreccia l'ultimo lavoro,
un vecchio intesse una corona d'oro,
un giovinetto accorda il violino...

Il vecchio parla e si veste di sorriso
la sua parola, dolce alle novelle
anime, giunte ai prati delle stelle,
che non sanno la vita in Paradiso.

E dice il vecchio: " Ognuno che si muoia
rivive qui la sua vita terrena,
ma non un'alba che non sia serena,
ma nessun'ora senza la sua gioia!

E chi durante la sua vita seppe
tornire il legno o tessere la lana,
riprende la sua bella arte lontana
presso sant'Anna o presso san Giuseppe...

Il gregge guida con un suo vincastro
uno che sopra i monti era pastore...
chi molto amava e non trovò l'amore,
ha, suoi fratelli, il filo d'erba e l'astro."

Ora, si tace il vecchio, e ascolta e attende:
soave giunge un canto dalla via
lattea: fra stelle tremule, Maria,
tutta vestita d'umiltà, discende.

E dice il vecchio a ogni anima novella:
"Ecco, s'affretta ognuno perchè vuole
l'opera sia compiuta avanti il sole
e all'alba spargerà la sua mortella:

mortella e spiga innanzi alla sua porta...
pur ora trasvolavano ai giardini
per far raccolta, sette cherubini:
ciascuno tornerà, colma la sporta.

Ci desteranno le campane a stormo
sull'alba, come quando da le chiese
ognuna grida al suo bianco paese:
"Destati, è l'alba! vedi ch'io non dormo!"

Ma voi mi domandate: "E chi aspetta?"
Oh! chi s'aspetta è di là dalla morte
e sogna e canta e ignora la sua sorte:
per questo ognuno il suo lavoro affretta.

E' un'anima solinga, puerile,
anima dolce che si maraviglia
del cielo, e serba, come la conchiglia,
un inno anche d'ottobre, anche d'aprile.

La sua casa è costretta in una rete
di rosaspina, con gli embrici rossi
com'hanno le lor gole i pettirossi...
Guardate giù tra il Carro e la vedrete.

Egli s'è chiuso nella stanza prima
che sorgesse la luna, e non s'avvede
che primavera è su la soglia e chiede
d'entrare...gli sorride, oggi, la Rima.

E il poeta non vuole che si spezzi
l'incanto: il verso puro gli fluisce,
s'offrono a mille, ed egli li blandisce,
e con lo sguardo pare li carezzi:

ma se manchi una rima alla quartina,
il povero poeta s'impaura,
come una pecorella che, sicura
bruca le rose e si punge alla spina...

Egli è come l'artefice di minio,
che dipinse nel giorno una Madonna,
e molto azzurro accolse su la gonna,
diede alle labbra un tocco di carminio,

e a sera addormentandosi soave,
vide nella sua cella di lavoro,
comne in un tempio fulgido e canoro,
Maria che sorrideva dolce e grave...

Canta il poeta la serenità
nè si ricorda più quanto ebbe pianto...
Domani all'alba, e forse a mezzo il canto,
per non destarsui più s'addormirà..."
********
POESIE PROVINCIALI

venerdì 18 aprile 2014

Sabato Santo di Giosuè Carducci

Manet
SABATO SANTO
per il natalizio di m. g.

Che giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia
per la cerula effusa chiarità de l’aprile

cantano le campane con onde e volate di suoni
da la città su’ poggi lontanamente verdi!

Da i superati inferni, redimito il crin di vittoria,
candido, radïante, Cristo risorge al cielo:

svolgesi da l’inverno il novello anno, e al suo fiore
già in presagio la messe già la vendemmia ride.

Ospite nova al mondo, son oggi vent’anni, Maria,
tu t’affacciasti; e i primi tuoi vagiti coverse

doppio il suon de le sciolte campane sonanti a la gloria:
ora e tu ne la gloria de l’età bella stai,

stai com’uno di questi arboscelli schietti d’aprile
che a l’aura dolce danno il bianco roseo fiore.

Volgasi intorno al capo tuo giovin, deh, l’augure suono
de le campane anc’oggi di primavera e pasqua!

cacci il verno ed il freddo, cacci l’odio tristo e l’accidia,
cacci tutte le forme de la discorde vita!
************
RIME E RITMI*1898

giovedì 17 aprile 2014

Alla santissima Croce, nel Venerdì santo di Torquato Tasso

Annibale Carracci
Croce del Figlio, in cui rimase estinta 
l’ira del Padre, e ‘l nostro fallo immondo;
Croce, che sostenesti il degno pondo,
di sangue prezioso aspersa e tinta;

per te fu l’empia reggia aperta e vinta,
e l’alme tratte da l’orror profondo,
quando egli affisso trionfò del mondo,
c’ha la tua nobil forma in sé distinta.

Trofeo di spoglie gloriose e belle,
segno d’alta vittoria, i segni eccelsi
cedanti pur che fanno il cielo adorno:

ché ‘l Re de’ regi, il qual creò le stelle,
in te, che seco di portare io scelsi,
vita la morte fa, gloria lo scorno.
************
RIME SACRE

mercoledì 16 aprile 2014

Resurrezione di Alfio Belluso

Agnolo Bronzino*Deposizione
Nel fiorir dell’april mite e giocondo,
Alati suoni di campane, in questa
Alba immensa vibranti, dite al mondo,
Ch’oggi l’oppressa umanità si desta.

Non è Cristo, che i freni della morte
Ed i coperchi della tomba spezza;
È la vita, la vita bella e forte,
Che sorge nella nova, giovinezza.

È la vita, la vita, che i rigogli
Del grand’albero suo d’intorno getta,
Che si scioglie da’ mali e da’ cordogli
E a coronarsi di sua gloria aspetta.

È la vita che ovunque vive e in tutti
Palpita, e reca a tutti una promessa,
Mentre la terra onusta oggi di frutti,
Prodiga madre, a tutti s’è concessa.

Negli oscuri opifici, ove la forza,
Senza tregua, il lavor ne’ corpi rode,
Ov’ogni fiamma e fremito s’ammorza,
Ove riso di ciel l’occhio non gode,

Penetra questa luce ampia del bene,
Questa voce, che squilla alta e sonora,
Luce, che a illuminar gli errori viene,
Voce, che i morti in ogni fede incòra.

A chi dentro le cave aspre e le rupi
Il ferreo masso e ’l suol franoso rompe;
A chi dentro miniere, ànditi cupi,
Per la vita in bestemmie alte prorompe;

A chi dinanzi al ciel fiero d’estate,
Morder dal sol le ignude carni sente,
Mentre accumula altrui le fecondate
Dalla dura opra sua messi opulente;

A chi in case di stoppia umide e grame,
Su nevose montagne e campi aperti,
Ricovra nel crudel verno e di fame
Piangono i figlioletti egri e deserti;

A chi tragitta il mar fosco, in balìa
De’ venti opposti e della rea fortuna;
A chi sangue e sudor sparge per via;
A chi stenti raccoglie e affanni aduna;

A chi la vita misera trascina
Senza mèta, e posar le membra rotte
Dall’ ozio e dal digiun, fato destina
In un cantuccio nella fredda notte;

A tutti, a tutti, a chi soffre, a chi geme,
A chi aspetta, a chi sogna, a’ tristi, a’ buoni,
Parlate la gran voce della speme,
Suoni cantanti a festa, alati suoni!
1899

martedì 15 aprile 2014

Il posto più umile di Christina Rossetti

Andrea Mantegna*Pala di San Zeno
Dammi il posto più in basso; non lo merito,
lo so, ma Tu scegliesti di morire
perch'io potessi vivere e godere
la gloria dalla stessa parte Tua.

Dammi il posto più in basso, e se per me
troppo alto fosse, un altro più giù ancora,
dove possa sedermi per vedere
il mio Signore, e così amare Te.
************
The Lowest Place

Give me the lowest place: not that I dare 
Ask for that lowest place, but Thou hast died 
That I might live and share 
Thy glory by Thy side.

Give me the lowest place: or if for me 
That lowest place too high, make one more low 
Where I may sit and see 
My God and love Thee so.
***
IL MERCATO DEI FOLLETTI

lunedì 14 aprile 2014

Vento sulla Giudecca di Alfonso Gatto

Franz Richard Unterberger*Canale della Giudecca
I venti, i venti spogliano le navi
e discendono al freddo
e sono morti.

Chi li spiegherà nel rigoglio
delle accese partenze
ove squilla più forte più forte il mare
e l’antenna sventola il mattino ?

Tutta donna tutta forte tutto amore
ed è rossa la mela, giallo il pane
della Pasqua d’aprile…

Ed eri calda
ed eri il sole, mattone su mattone,
oltre quel muro la campagna il cielo.
***
LA STORIA DELLE VITTIME

domenica 13 aprile 2014

La canzone dell'ulivo di Giovanni Pascoli

John Maler Collier
I
A' piedi del vecchio maniero
che ingombrano l'edera e il rovo;
dove abita un bruno sparviero,
non altro, di vivo;
che strilla e si leva, ed a spire
poi torna, turbato nel covo,
chi sa? dall'andare e venire
d'un vecchio balivo:
a' piedi dell'odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l'ulivo!

II
l'ulivo che a gli uomini appresti
la bacca ch'è cibo e ch'è luce,
gremita, che alcuna ne resti
pel tordo sassello;
l'ulivo che ombreggi d'un glauco
pallore la rupe già truce,
dov'erri la pecora, e rauco
la chiami l'agnello;
l'ulivo che dia le vermene
pel figlio dell'uomo, che viene
sul mite asinello. 


III
Portate il piccone; rimanga
l'aratro nell'ozio dell'aie.
Respinge il marrello e la vanga
lo sterile clivo.
Il clivo che ripido sale,
biancheggia di sassi e di ghiaie;
lo assordano l'ebbre cicale
col grido solivo.
Qui radichi e cresca! Non vuole,
per crescere, ch'aria, che sole,
che tempo, l'ulivo!

IV
Nei massi le barbe, e nel cielo
le piccole foglie d'argento!
Serbate a più gracile stelo
più soffici zolle!
Tra i massi s'avvinchia, e non cede,
se i massi non cedono, al vento.
Lì, soffre, ma cresce, né chiede
più ciò che non volle.
L'ulivo che soffre ma bea,
che ciò ch'è più duro, ciò crea
che scorre più molle.

V
Per sé, c'è chi semina i biondi
solleciti grani cui copra
la neve del verno e cui mondi
lo zefiro estivo.
Per sé, c'è chi pianta l'alloro
che presto l'ombreggi e che sopra
lui regni, al sussurro canoro
del labile rivo.
Non male. Noi mèsse pei figli,
noi, ombra pei figli de' figli,
piantiamo l'ulivo!

VI
Voi, alberi sùbiti, date
pur ombra a chi pianta ed innesta;
voi, frutto; e le brevi fiammate
col rombo seguace!
Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla; ma resta!
ma cresci, sicuro e tardivo,
nel tempo che tace!
ma nutri il lumino soletto
che, dopo, ci brilli sul letto
dell'ultima pace!
***********
Canti di Castelvecchio

sabato 12 aprile 2014

Magia Nera di Anne Sexton

Gustav Klimt*Golden tears
Una donna che scrive è troppo sensibile e sensuale,
quali estasi e portenti!
Come se mestrui bimbi ed isole
non fossero abbastanza, come se iettatori e pettegoli
e ortaggi non fossero abbastanza.
Crede di poter prevedere gli astri.
Nell'essenza una scrittrice è una spia.
Amore mio, così io son ragazza.
Un uomo che scrive è troppo colto e cerebrale,
quali fatture e feticci!
Come se erezioni congressi e merci
non fossero abbastanza; come se macchine galeoni
e guerre non fossero già abbastanza.
Come un mobile usato costruisce un albero.
Nell'essenza uno scrittore è un ladro.
Amore mio, tu maschio sei così.
Mai amando noi stessi,
odiando anche le nostre scarpe, i nostri cappelli,
ci amiamo preziosa, prezioso.
Le nostre mani sono azzurre e gentili,
gli occhi pieni di tremende confessioni.
Ma quando ci sposiamo
ci abbandoniamo ai figli, disgustati.
Il cibo è troppo e nessuno è restato
a mangiare l'estrosa abbondanza. 
***************
The Black Art
A Woman who writes feels too much,
those trances and portents!
As if cycles and children and islands
weren’t enough; as if mourners and gossips
and vegetables were never enough.
She thinks she can warn the stars.
A writer is essentially a spy.
Dear love, I am that a girl.

A man who writes knows too much,
such spells and fetiches!
As if erections and congresses and products
weren’t enough; as if machines and galleons
and wars were never enough.
With used furniture he makes a tree.
A writer is essentially a crook.
Dear love, you are that a man.

Never loving ourselves,
hating even our shoes and our hats,
we love each other, precious, precious.
Our hands are light blue and gentle.
Our eyes are full of terrible confessions.
But when we marry,
the children leave in disgust.
There is too much food and no one left over
to eat up all the weird abundance.
**********
L'ESTROSA ABBONDANZA

venerdì 11 aprile 2014

Alla mia donna di Corrado Pavolini

Tom Roberts*Penelope*1920
Le dolci braccia nell'oscurità
della mia stanza che la pace alberga,
seduta a me daccanto ti riguardo,
le mani bianche al chiaro e il bianco lino
còrso dall'ago, e il volto ombrato, intento,
dentro il cerchio del lume. Oh donna mia,
io la tua forma miro nel conchiuso
alone che i capelli ti colora
d'uno smorzato fuoco: e questa, acerba
e giovinetta, m'è dentro lo sguardo
come l'adolescenza dei mattini.

giovedì 10 aprile 2014

Fiori a danza di Luigi Fallacara

Edouard Manet
O sol più sera, raggio dolce agli alberi,
e più dolenti e ascosi agli usignoli,
primavera, sorriso che ancor esita,
è freddo il cielo ai fiori dei poggioli.

Passa il soffio lunare d'ombra e raggi
lungo le prode ove son viole a danza;
all'anima disfatta dai passaggi
repentini la labile fragranza

esalata dai fiori in dolce moto,
le sete tese del celeste vento.
************
Da Inediti 1951 in Le poesie 1929-1952

mercoledì 9 aprile 2014

Il tuffatore di Vinícius de Moraes

Georgy Kurasov
Di te amo le lunghe gambe,
puerili, lente,
aste tenere
soavi
che per spirali adolescenti salgono
infinite,
esatto tocco e fremito.
Di te amo le braccia
giovani,
che abbracciano fidenti
il mio squilibrio,
mani disvelate,
mani moltiplicanti
che accompagnano in fretta il mio incupito nuoto.
Amo il tuo grembo pieno d’ombra,
onda lenta e solinga,
dove si va facendo esausto il mare,
dove affondare sino a rompermi il cuore,
e di amore affogare
e piangere.
Di te amo i grandi occhi,
dove sondo la voragine buia della mia ansia,
per scoprire negli arcani
sotto l’oceano oceani.
Di te amo più di quanto riescano a dire
la mia parola
e la mia tristezza.

martedì 8 aprile 2014

Arcobaleno di Ardengo Soffici

Kees Van Dongen*1908
Inzuppa 7 pennelli nel tuo cuore di 36 anni finiti ieri,
 7 aprile,
E rallumina il viso disfatto delle antiche stagioni.
Tu hai cavalcato la vita come le sirene nichelate dei caroselli 
da fiera,
In giro,
Da una città all'altra, di filosofia in delirio,
D'amore in passione, di regalità in miseria:
Non c'è chiesa, cinematografo, redazione o taverna che tu
non conosca;
Tu hai dormito nel letto d'ogni famiglia.
Ci sarebbe da fare un carnevale
Di tutti i dolori
Dimenticati, con l'ombrello, nei caffè d'Europa,
Partiti tra il fumo, coi fazzoletti, negli sleeping-cars diretti al 
nord, al sud.
Paesi, ore,
Ci son delle voci che accompagnan pertutto come la luna 
e i cani;
Ma anche il fischio di una sirena
Che rimescola i colori del mattino
E dei sogni
Non si dimentica, né il profumo di certe notti affogate nelle 
ascelle di topazio.
Queste fredde giunchiglie che ho sulla tavola accanto all'in
chiostro,
Eran dipinte sui muri della camera n.19 nell'Hôtel des Anglais 
a Rouen:
Un treno passeggiava sul quai notturno
Sotto la nostra finestra
Decapitando i riflessi delle lanterne versicolori
Tra le botti del vino di Sicilia;
E la Senna era un giardino di bandiere infiammate.

Non c'è più tempo:
Lo spazio
E' un verme crepuscolare che si raggricchia in una goccia di 
fosforo:
Ogni cosa è presente:
Come nel 1902 tu sei a Parigi in una soffitta,
Coperto da 35 centimetri quadri di cielo
Liquefatto nel vetro dell'abbaino;
La Ville t'offre ancora ogni mattina
Il bouquet fiorito dello Square de Cluny;
Dal boulevard Saint-Germain, scoppiante di trams e d'autobus,
Arriva, la sera, a queste campagne, la voce briaca della giorna
laia
Di rue de la Harpe:
"Pari-cûrses", "l'Intransigeant", "la Presse".
Il negozio di Chaussures Raoul fa sempre concorrenza alle 
stelle;
E mi accarezzo le mani tutte intrise dei liquori del tramonto
Come quando pensavo al suicidio vicino alla casa di Rigoletto.

Sì, caro!
L'uomo più fortunato è colui che sa vivere nella contingenza 
al pari dei fiori:
Guarda il signore che passa
E accende il sigaro, orgoglioso della sua forza virile
Recuperata nelle quarte pagine dei quotidiani,
O quel soldato di cavalleria, galoppante nell'indaco della 
caserma
Con una ciocchetta di lilla fra i denti.

L'eternità splende in un volo di mosca.

Metti l'uno accanto all'altro i colori dei tuoi occhi;
Disegna il tuo arco:
La storia è fuggevole come un saluto alla stazione;
E l'automobile tricolore del sole batte, sempre più invano,
            il suo record fra i vecchi macchinari del cosmo.
Tu ti ricordi, insieme ad un bacio seminato nel buio,
D'una vetrina di libraio tedesco, Avenue de l'Opéra,
E della capra che brucava le ginestre
Sulle ruine della scala del palazzo di Dario a Persepoli.
Basta guardarsi intorno
E scriver come si sogna,
Per rianimare il volto della nostra gioia.

Ricordo tutti i climi che si son carezzati alla mia pelle 
d'amore,
Tutti i paesi e civiltà
Raggianti al mio desiderio:
Nevi,
Mari gialli,
Gongs,
Carovane:
Il carminio di Bombay e l'oro bruciato dell'Iran
Ne porto un geroglifico sull'ala nera.
Anima girasole, il fenomeno converge in questo centro di danza;
Ma il canto più bello è ancora quello dei sensi nudi.

Silenzio, musica meridiana,
Qui e nel mondo, poesia circolare:
L'oggi si sposa col sempre
Nel diadema dell'iride che s'alza.
Siedo alla mia tavola, e fumo e guardo:
Ecco una foglia giovane che trilla nel verziere difaccia;
I bianchi colombi volteggiano per l'aria come lettere d'amore 
buttate dalla finestra:
Conosco il simbol, la cifr, il legame
Elettrico
La simpatia delle cose lontane;
Ma ci vorrebbero della frutta, delle luci e delle moltitudini
Per tendere il festone miracolo di questa pasqua.
Il giorno si sprofonda nella conca scarlatta dell'estate;
E non ci sono più parole
Per il ponte di fuoco e di gemme.

Giovinezza, tu passerai come tutto finisce al teatro.
Tant pis! Mi farò allora un vestito favoloso di vecchie affiches.
************
Simultaneità. Chimismi lirici

lunedì 7 aprile 2014

Dopo le feste di Julio Cortàzar

Edward Alfred Cucuel
E quando tutti se ne andavano
e restavamo in due
tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi,
com'era bello sapere che eri lì
come una corrente che ristagna,
sola con me sull'orlo della notte,
e che duravi, eri più che il tempo,
eri quella che non se ne andava
perché uno stesso cuscino
e uno stesso tepore
ci avrebbero chiamati di nuovo
a svegliare il nuovo giorno,
insieme, ridendo, spettinati.
****************
Y cuando todo el mundo se iba
y nos quedábamos los dos
entre vasos vacíos y ceniceros sucios,

Qué hermoso era saber que estabas
ahí como un remanso,
sola conmigo al borde de la noche,
y que durabas, eras más que el tiempo,

Eras la que no se iba
porque una misma almohada
y una misma tibieza
iba a llamarnos otra vez
a despertar al nuevo día,
juntos, riendo, despeinados.

domenica 6 aprile 2014

Eclisse di Archiloco

Cornelis Van Poelenburgh
l'impensabile non c'è, su questa terra. Tantomeno il sacro.
E' fine dei prodigi, da che Zeus padre di celesti
da colmo giorno formò notte, velo nero su candore
di sole acceso: tutti s'imperlarono d'angoscia.
Dopo, equivoco dovunque: ipotesi infinita è umana
realtà. Uomini: nessuno deve scorgere miracolo
in caso che delfini e selvaggina tramutino saline
praterie, e questa senta suo riverbero d'onde, d'acque,
più intimo di terra asciutta, e quelli invece si perdano tra
   rocce
*****
Note: Il 6 aprile del 648 a.C. un' eclisse totale
        cancellò il sole dal cielo. Archiloco registrò
        il fenomeno, deducendone regole di saggezza.
        Per i biografi è un elemento di sicura datazione.
        Ezio Savino

sabato 5 aprile 2014

Sogno di gatto di Pablo Neruda

Ròbert Bèreny*Eta with cat*1928
Come dorme bene un gatto
dorme con zampe e di peso,
dorme con unghie crudeli,
dorme con sangue sanguinario,
dorme con tutti gli anelli
che come circoli incendiati
costruirono la geologia
d'una corda color di sabbia.

Vorrei dormire come un gatto
con tutti i peli del tempo,
con la lingua di pietra focaia,
con il sesso secco del fuoco
e, non parlando con nessuno,
stendermi sopra tutto il mondo,
sopra le tegole e la terra,
intensamente consacrato
a cacciare i topi del sogno.

Ho veduto come vibrava
il gatto nel sonno:
correva la notte in lui
come acqua oscura,
e a volte pareva cadere
o magari precipitare
nei desolati ghiacciai,
forse crebbe tanto nel sonno
come un antenato di tigre
e avrebbe saltato nel buio
tetti, nuvole e vulcani.

Dormi, dormi, gatto notturno
con i tuoi riti di vescovo,
e i tuoi baffi di pietra:
ordina tutti i nostri sogni,
guida le tenebre delle nostre
addormentate prodezze
con il tuo cuore sanguinario
e il lungo collo della tua coda.
***********
SUEÑO DE GATOS
Qué bonito duerme un gato,
duerme con patas y peso,
duerme con sus crueles uñas,
y con su sangre sanguinaria,
duerme con todos los anillos
que como círculos quemados
construyeron la geología
de una cola color de arena.

Quisiera dormir como un gato
con todos los pelos del tiempo,
con la lengua del pedernal,
con el sexo seco del fuego
y después de no hablar con nadie,
tenderme sobre todo el mundo,
sobre las tejas y la tierra
intensamente dirigido
a cazar las ratas del sueño.

He visto cómo ondulaba,
durmiendo, el gato: corría
la noche en él como agua oscura,
y a veces se iba a caer,
se iba tal vez a despeñar
en los desnudos ventisqueros,
tal vez creció tanto durmiendo
como un bisabuelo de tigre
y saltaría en las tinieblas
tejados, nubes y volcanes.

Duerme, duerme, gato nocturno
con tus ceremonias de obispo,
y tu bigote de piedra:
ordena todos nuestros sueños,
dirige la oscuridad
de nuestras dormidas proezas
con tu corazón sanguinario
y el largo cuello de tu cola.
*****
For Silvi...

venerdì 4 aprile 2014

La strada è tutta erbosa di Corrado Govoni

Eugen Von Blaas*1911
La strada è tutta erbosa
come una strada di campagna;
vicino, un'acqua stagna
con una barchetta corrosa.

Vi passano dei pescatori
la sera e la mattina,
qualche scalza bambina
con dei mazzi di agresti fiori.

Vi passa qualche mendicante
con la sporta e il bastone,
anche de le corone
per qualche povero sloggiante.

Ora, nessuno. Una ghironda
suona un'aria sfiatata.
A una odorosa ventata
trema de l'erba in una gronda.

giovedì 3 aprile 2014

Il futuro di Julio Cortàzar

Christian Schad
E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.
**************
El Futuro

Y sé muy bien que no estarás.
No estarás en la calle,
en el murmullo que brota de noche
de los postes de alumbrado,
ni en el gesto de elegir el menú,
ni en la sonrisa que alivia
los completos de los subtes,
ni en los libros prestados
ni en el hasta mañana.

No estarás en mis sueños,
en el destino original
de mis palabras,
ni en una cifra telefónica estarás
o en el color de un par de guantes
o una blusa.
Me enojaré amor mío,
sin que sea por ti,
y compraré bombones
pero no para ti,
me pararé en la esquina
a la que no vendrás,
y diré las palabras que se dicen
y comeré las cosas que se comen
y soñaré las cosas que se sueñan
y sé muy bien que no estarás,
ni aquí adentro, la cárcel
donde aún te retengo,
ni allí fuera, este río de calles
y de puentes.
No estarás para nada,
no serás ni recuerdo,
y cuando piense en ti
pensaré un pensamiento
que oscuramente
trata de acordarse de ti.

mercoledì 2 aprile 2014

Il lamento di Wivallius di Lars Forssell

Arthur Hughes*April Love
La feritoia della prigione un quadro verde e primaverile
E le sbarre pesanti di piante rampicanti
e il profumo delle sbarre.
L'inverno lo canto tra la verzura
Ma la verzura, essa canta la mia prigionìa
e duro gelo nel mio cuore.

Ora la mia solitudine è pesante come volo di farfalle.
E come foglie e la nera terra,
Mughetti e ruscelli mormoreggianti
Verso il caldo e il libero spazio si aprono,
Così si chiude il mio canto invernale,
Il mio sogno verde e il mio occhio.
**********
WIVALLII KLAGAN

Fängelsegluggen en grön och vårlig tavla.
Och gallret tungt av klättrande rankor
och doften av gallret.
Vintern den sjunger jag i grönska
Men grönskan, den sjunger min fångenskap
och svår köld i mitt hjärta.

Nu är min ensamhet så tung som fjärlars flykt.
Och såsom löv och svarta marken,
Liljekonvaljer och bäckar sorlande
Mot värmen och den fria rymden öppnar sig,
Så sluter sig min vintersång,
Min gröna dröm och mitt öga.

martedì 1 aprile 2014

Aprile di Carlo Michelstaedter

Oskar Kokoschka*Victoria De Montesquiou Fezensac*1910

Che più d’un giorno è la vita mortale,
nubilo breve freddo e pien di noia,
che può bella parer ma nulla vale?
Petrarca


APRILE
Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri, che al novello amore
han fatto schermo della terra antica,
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta,
se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno,
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e pel piano, ma nell’aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.

Cosi mi tragge a me stesso diverso,
e amor m’induce e desiderio, ancora
ch’io non sappia perchè — pur fiducioso.
Che pure in me natura si nasconde
insidiosa, e ignaro me sospinge....
Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora

e mi toglie da me, si ch’io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo,
lontano e solo, anche se a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna.

Mentre di tra le dita delle nubi
a che occhieggian le stelle nel sereno?
Gia trapassa la notte e nuove fiamme
leverà il sole, ch’ei rispenga tosto.
Passano i giorni e già sarà qui il verno,
e il sol sorgendo pallido e incurante
farà fiorire il fango per le strade....
A che occhieggian le stelle nel sereno?
Qui bulica la terra e qui si muore,
cantano i galli e stridon le civette.
O gioia del novello nascimento,
o nuovo amore e antico!
O vita, chi ti vive e chi ti gode
che per te nasce e vive ed ama e muore?
Ma ogni cosa sospingi senza posa
che la tua fame tiene, e che nel vario
desiderar continua si trasmuta.
Di sè ignara e del mondo desiosa
si volge a questo e a quello, che nemici
le amica il vicendevole desio,
nemica a quelli pur quando li ami,
e ancor a sè per più voler nemica.
Cosi nel giorno grigio si continua
ogni cosa che nasce moritura,
che in vari aspetti pur la vita tiene,
ed il tempo travolge — e mentre vive
vivendo muor la dïuturna morte.

Ed ancor io così perennemente
e vivo e mi trasmuto e mi dissolvo,
e mentre assisto al mio dissolvimento,
ad ogni istante soffro la mia morte.

E così attendo la mia primavera
una ed intera, ed una gioia e un sole.
Voglio e non posso, e spero senza fede.
Ahi, non c’è sole a romper questa nebbia,
ma senza fine e senza mutamento
sta in ogni tempo intero ed infinito
l’indifferente tramutar del tutto.

Pur tu permani, o morte, e tu m’attendi
o sano o tristo ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Chè ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto,
e se morir non sia che continuare
la nebbia maledetta
e l’affanno agli schiavi della vita,
- purchè alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga,
e più non sappia questo ch’ora soffro
vano tormento senza via nè speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio,
su quest’occhio che sa di non vedere,
sì che l’oscurità per me sia spenta.

notte 16-17 aprile 1910.