venerdì 26 agosto 2011

La vendemmia*Canto Primo di Giovanni Pascoli

George Clausen*1889
Una vendemmia fa, così, piacere!
Nemmeno un chicco marcio nella pigna.
- E tutte pigne, salde fisse nere.
- Uva d'alberi, e pare uva di vigna.
- Ma qui ci son d'agosto le cicale
da levar gli occhi! qui la vite alligna!
- Porta il bigoncio. - È pieno.
- Avessi l'ale!
Avessi l'ale d'una rondinella!
Il nido lo farei nel tuo guanciale.
- Guarda: la vespa vuole la più bella.
- L'ape fa il miele, eppur le basta un fiore,
fior di trifoglio, fior di lupinella.
- Ha fatto buono all'uva lo stridore
di tutta estate. - Ciò che fa per l'una,
non fa per l'altro. - Ora, contava l'ore.
"Qua le canestre, donne".
- O bella bruna!
Quando nascesti, in cielo una campana
sonava sola, al lume della luna.
- Questa la stenderete sull'altana:
è troppo bella per andar nel tino.
- Ma anche quello è come vin di grana!
- Non ci fu pioggie, non ci fu lo strino.
- Portate bere. Molto all'uva aggrada
sentirsi in viso l'alito del vino.
- Pigia il bigoncio un po'.
- "Sono in istrada,
E che mi dài, che mi conviene andare?"
"Un bacio in bocca, perché tu non vada".
- La paradisa ha pigne lunghe e chiare,
e tutti d'oro sono i chicchi, e hanno
il sole dentro, il sole che traspare.
- Rigo, di tutte queste qui, si fanno
cipelle, acché, tu con la moglie accanto,
ne mangi all'alba, il primo dì dell'anno.
L'uva vuol dire il buono, il bello, il tanto.
E porta bene, o Rigo.
- Ho contro, io sento,
fin le finestre, e quando passo e canto,
si chiudono da loro senza vento.
Così staccavi la dolce uva, alfine,
co' tuoi vicini, ché i vicini sono
mezzo parenti, e con le tue vicine,
o Rigo. Il tempo era da un pezzo al buono,
e la vendemmia si cocea matura
anche a bacìo; quando sentisti un tuono.
Dicesti: il bello è bello, ma non dura.
E vendemmiasti. Ed era un giorno asciutto,
si scivolava per la grande asprura,
cupo di vespe era un ronzìo per tutto,
calda era l'uva e, nei bigonci ancora,
rendeva già l'odor del mosto e il flutto.
La gente era venuta sull'aurora
quando la guazza o la nebbietta inerte
vapora in cielo, e il cielo si colora.
Allor le donne ascesero per l'erte,
parlando basso, e recideano a prova
le pigne con le piccole ugne esperte.
Le recideano al nodo che si trova
a mezzo il gambo. Le galline intorno
bandian l'annunzio, ad or ad or, dell'ova.
Ma crebbe il vario favellìo col giorno.
Montava, per tagliare le pinzane,
un giovinetto sul pioppo e sull'orno.
Cantava poi, quand'erano lontane
le donne, quando in una sua cestella
portava il vino Violetta e il pane.
Ell'era in casa della sua sorella
da un mese e più; ma stava per tornare
a casa sua, più pallida e più bella.
"C'è tempo:" Rigo alla gentil comare
diceva "addietro è là da voi la vite.
Poi verrò io: non c'è di mezzo il mare".
Era un piacere rivederle unite
le due sorelle al solito lavoro!
Ma quelle sere, nell'ottobre mite,
anche si dava che piangean tra loro.
Erano quella sera alla finestra.
Salìano gli uni coi bigonci pieni,
l'altre scendean con vuota la canestra.
Parlavano nel lungo va e vieni,
alto, ché in loro anche parlava il vino.
"Si vuol finire, prima che si ceni".
"Non resta che il filare qui vicino.
Saranno due bigonci o tre; ma un poco,
perché li tenga, vuol pigiato il tino".
Il cielo già si colorava in fuoco.
Al colmo tino il giovinetto snello
si lanciò su, come a provar per gioco.
Stette sull'orlo un poco in piedi, bello,
raggiante tutto del suo bel domani,
a braccia spante, simile a un uccello.
Poi si chinò, s'apprese con le mani
all'orlo, e dentro, fra le pigne frante
tuffò le gambe e sul crosciar dei grani.
Il rosso mosto risalì spumante
sopra i garretti; ed ei girava a tondo
premendo coi calcagni e con le piante.
E il sole rosso illuminava il biondo
vendemmiatore; ed ecco, da un remoto
canto del cielo un tintinnìo giocondo.
Uno, dal cielo, accompagnava il moto
dei piedi suoi, di su quei rosei fiocchi,
picchiando in furia sur un bronzo vuoto...
L'altro moveva rapidi i ginocchi
sul rosso mosto, anche movea la testa
ben in cadenza, il sole in mezzo agli occhi.
Ma era un suono di campane a festa.
E quei pigiava; quando, all'improvviso,
Rosa lassù, Rosa, già muta e mesta,
si levò su, molle di pianto il viso,
con un singhiozzo, e Violetta, china
a guardar fuori immersa in un sorriso
si volse bianca, e mormorò: Rosina!
(Nuovi poemetti)

6 commenti:

  1. Stavolta Francesca ci ha lasciato in suspense... non ho resistito e sono andata a leggermi il Canto secondo.
    ;)
    Come non rimanere rapiti dal mondo di Giovanni?

    E buon fine settimana!

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  2. cara francesca devo chiederti una cortesia, sto cercando di scoprire chi sia l'autore della poesia citata da tiziano terzani con l'elefante e il filo di seta. lui parla del "poeta bengalese". ho pensato a tagore, ma non trovo nulla..tu che di poesia ne conosci molta, puoi aiutarmi? le tue scelte poetiche ed artistiche sono sempre stupefacenti. grazie t

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  3. Tiziana, forse parla di http://it.wikipedia.org/wiki/L%C3%A9opold_S%C3%A9dar_Senghor
    LEOPOLD SENGHOR, non conosco la poesia che citi. grazie dei complimenti. Rooose, ma sei curiosa...Buon sabato a tutti!

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  4. Cic, complimenti per essere così sintetico, ma Pascoli meritava un giudizio più articolato, credimi sulla parola. Ciao

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  5. cara francesca ti ringrazio, la mia quotidiana passeggiata tra le tue pagine è sempre colma di buoni frutti! e su pascoli concordo con te, meritano alcuni poeti (pur con i limiti del gusto) di venir spogliati di pregiudizi e pesanti ricordi di scuola...grazie di cuore!

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