Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

venerdì 30 settembre 2011

Arano di Giovanni Pascoli

Luigi Nono*Ritorno dai campi
Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,
arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente;
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.
(L'ultima passeggiata-Myricae)

giovedì 29 settembre 2011

Il mormorio delle api di Emily Dickinson

Lehmann*Clementina
Il mormorio delle Api, è cessato
Ma il mormorio di qualcuno
Posteriore, profetico,
È giunto simultaneo.
I più sommessi ritmi dell'Anno
Quando il riso della Natura è finito
L'Apocalisse del Libro
La cui Genesi fu Giugno.
Appropriate Creature al suo mutare
La Tipica Madre manda
Come l'Accento sbiadisce in intervallo
Tra Amici che si separano
Finché ciò che prevediamo, ha luogo
E pensieri che non esibiremo
Più intimi a noi diventano
Di Persone, che conosciamo.
*°*°*°*°
The murmuring of Bees, has ceased
But murmuring of some
Posterior, prophetic,
Has simultaneous come.
The lower metres of the Year
When Nature's laugh is done
The Revelations of the Book
Whose Genesis was June.
Appropriate Creatures to her change
The Typic Mother sends
As Accent fades to interval
With separating Friends
Till what we speculate, has been
And thoughts we will not show
More intimate with us become
Than Persons, that we know.

mercoledì 28 settembre 2011

L'ultimo grappolo di Camillo Sbarbaro

Edward Ladell
Capita all’uomo che d’autunno spoglia
la vite, sulla scala che ne fruscia
- vecchio è l’uomo ed autunno gli colora
l’anima dentro di malinconia;
ché con l’anno gli pare la sua vita
anche finisca;
il poco che da essa ebbe gli mette
in strozza come una secchezza e inghiotte –
tra i pampini arrossati di scoprire
un superstite grappolo. Ne colma
la mano, preso d’infantile gioia;
soppesa quasi non credesse agli occhi.
Alla sua sete riserbò l’annata
quel frutto;
glielo maturò l’estate,
glielo dorò il sole dell’autunno,
la pianta vi spremé l’ultimo succo.
Cola zucchero l’acino che sguscia
in bocca per non perdere una goccia;
ogni acino lo riga di delizia
silenziosa...
Guardan gli occhi felici e rassegnati
col grappolo scemare
la sua prima, fors’ultima, dolcezza.

martedì 27 settembre 2011

Barry Holden di Edgar Lee Masters

Giuseppe Pellizza Da Volpedo*Maternità
Lo stesso autunno che mia sorella
diede fuoco alla casa,
processavano il dottor Duval
per l’assassinio di Zora Clemens.
Passai due settimane in tribunale
acoltando tutti quanti i testimoni.
Era chiaro che lui l’aveva resa madre;
e lasciare che il bambino nascesse non era possibile.
E allora io, con otto bambini
e uno in arrivo, e la cascina
ipotecata a Thomas Rhodes?
Così, quando tornai quella notte
(avevo ascoltato la storia della gita in calesse,
e del ritrovamento di Zora nel fosso),
la prima cosa che vidi, proprio là sui gradini,
fu la scure!
E appena entrai, c'era mia moglie,
davanti a me, con la pancia sformata,
che si mise a parlare dell’ipoteca.
Allora io la uccisi.
----------------------------------
The very fall my sister Nancy Knapp
Set fire to the house
They were trying Dr. Duval
For the murder of Zora Clemens,
And I sat in the court two weeks
Listening to every witness.
It was clear he had got her in a family
And to let the child be born
Would not do.
Well, how about me with eight children,
And one coming, and the farm
Mortgaged to Thomas Rhodes?
And when I got home that night,
(After listening to the story of the buggy ride,
And the finding of Zora in the ditch,)
The first thing I saw, right there by the steps,
Where the boys had hacked for angle worms,
Was the hatchet!
And just as I entered there was my wife,
Standing before me, big with child.
She started the talk of the mortgaged farm,
And I killed her.
(Traduzione di Fernanda Pivano)

lunedì 26 settembre 2011

Lelio di Alfonso Gatto

Martin Abbott Handerson Thayer*Bradley Towsend
La tua tomba, bambino,
vogliamo sia sbiancata
come una cameretta
e che vi sia un giardino
d'intorno e l'incantata
pace d'una zappetta.
Era un dolce rumore
che tu lasciavi al giorno
quel cernere la ghiaia
azzurra e al suo colore
trovar celeste intorno
la sera. Ora, che appaia
la luna e del suo vento
lasci più solo il mondo,
ci sembrerà d'udire
nell'aria il tuo lamento.
Era un tuo grido a fondo
l'infanzia, un rifiorire...
Inventaci la morte,
o bambino, i tuoi segni
come d'un gioco infranto
rimasero alla sorte
del vento, ai suoi disegni
di nuvole e di pianto.
Ogni giorno che passa
è un ricadere brullo
nell'ombra che c'invita.
Irrompi a testa bassa 
nel ridere, fanciullo,
devastaci la vita
e un'altra volta vivi.

domenica 25 settembre 2011

Ai vecchi giorni di Vladimir Majakovskij

Valentin Serov*1895
Ai vecchi giorni
il vento
riporti
solo
un garbuglio di capelli.
Per l’allegria
il pianeta nostro
è poco attrezzato.
Bisogna
strappare
la gioia
ai giorni futuri.
In questa vita
non è difficile
morire.
Vivere
è di gran lunga più difficile.

sabato 24 settembre 2011

Canzone di Emily Bronte

Antonio Mancini*1877
No tra angoscia e piacere
non può esistere un tenero affetto
i cuori in tormento cercano invano
le gioie dell'amicizia se le altre fuggono
Io so bene che mai i tuoi occhi
vorrebbero sorridere se piangono i miei
ma so bene che non potrebbero
piangere sempre per pietà del mio pianto
E' l'ora di separarci il tempo è finito
in cui pensavo e sentivo come te
navigherò sul vasto oceano
percorrerò il mare deserto
Vi sono isole di là dalle onde
dove il dolore può vivere libero
e il cuscino notturno o mio amore
ti sarà dolce se io sarò lontano
Non più ogni nuovo mattino
quando il tuo cuore si ridesta all'ardore
dovrai fingere una pena che non senti
per rispondere alla pena che io provo
Di giorno in giorno un triste pegno
fuggirà dalla tua memoria
e infine spezzato ogni legame
non sarò che un sogno per te
*°*°*°*°*°*
O between di stress and pleasure
Fond affection cannot be
Wretched hearts in vain would treasure
Friendship's joys when others flee
Well I know thine eye would never
Smile while mine grieved willingly
Yet I know thine eye forever
Could not weep in sympathy
Let us part the time is over
When I thought and felt like thee
I will be an ocean rover
I will sail the desert sea
Isles there are beyond its billow
Lands where woe may wander free
And beloved thy midnight pillow
Will be soft unwatched by me
Not on each returning morrow
When thy heart bounds ardently
Need'st thou then dissemble sorrow
Marking my despondency
Day by day some dreary token
Will forsake thy memory
Till at last all old lonks broken
I shall be a dream to thee

venerdì 23 settembre 2011

La terra sogna di Arturo Onofri

James Tissot*1875
La terra sogna l'ultime farfalle
prima di risvegliarsi autunnalmente
dai veli del suo sonno trasparente
ammassati nel cavo della valle.
Volano, insieme con le foglie gialle,
sui prati, ove l'erbette macilente
s'estènuano in un soffio ond'ella sente
crescere, in ombra, funghi, muschi e galle.
Battono l'ali pavide, al riparo
delle fratte, palpandovi di fuga
fiori non più, ma qualche sterpo amaro.
Umida luce ombreggia di viola
la terra in dormiveglia, che si ruga
già del risveglio che nell'aria vola.
(Vincere il drago)

giovedì 22 settembre 2011

Fu qui che la mia estate si interruppe e Indossiamo abiti sobri di Emily Dickinson

John George Brown*1865
Fu qui che la mia estate s'interruppe
Che maturazione dopo di allora
Verso altro scenario o altra anima
La mia sentenza ebbe inizio.
Verso l'inverno muovere
Con l'inverno convivere
Va' ad ammanettare il tuo ghiacciolo
Alla tua Sposa Tropicale
*°*°*°*
'Twas here my summer paused
What ripeness after then
To other scene or other soul
My sentence had begun.
To winter to remove
With winter to abide
Go manacle your icicle
Against your Tropic Bride
-------------------------------
Indossiamo Abiti sobri quando moriamo,
Ma l'Estate, ornata come per una Festa
Rimanda i suoi Sospiri -
*°*°*°*°*
We wear our sober Dresses when we die,
But Summer, frilled as for a Holiday
Adjourns her Sigh -

mercoledì 21 settembre 2011

Estate di Cesare Pavese

Josè Deogores I Llach*Printania
È riapparsa la donna dagli occhi socchiusi
e dal corpo raccolto, camminando per strada.
Ha guardato diritto tendendo la mano,
nell'immobile strada. Ogni cosa è riemersa.
Nell'ímmobile luce del giorno lontano
s'è spezzato il ricordo. La donna ha rialzato
la sua semplice fronte, e lo sguardo d'allora
è riapparso. La mano si è tesa alla mano
e la stretta angosciosa era quella d'allora.
Ogni cosa ha ripreso i colori e la vita
allo sguardo raccolto, alla bocca socchiusa.
È tornata l'angoscia dei giorni lontani
quando tutta un'immobile estate improvvisa
di colori e tepori emergeva, agli sguardi
di quegli occhi sommessi. È tornata l'angoscia
che nessuna dolcezza di labbra dischiuse
può lenire. Un immobile cielo s'accoglie
freddamente, in quegli occhi.
Fra calmo il ricordo
alla luce sommessa dei tempo, era un docile
moribondo cui già la finestra s'annebbia e scompare.
Si è spezzato il ricordo. La stretta angosciosa
della mano leggera ha riacceso i colori
e l'estate e i tepori sotto il vivido cielo.
Ma la bocca socchiusa e gli sguardi sommessi
non dan vita che a un duro inumano silenzio.

martedì 20 settembre 2011

La sera di Gabriele D'Annunzio

Repin*Contessa De Mercy Argenteau*1890
Rimanete, vi prego, rimanete
qui. Non vi alzate! Avete voi bisogno
di luce? No. Fate che questo sogno
duri ancóra. Vi prego: rimanete!
Ci ferirebbe forse, come un dardo,
la luce. Troppo lungo è stato il giorno:
oh, troppo! Ed io già penso al suo ritorno
con orrore. La luce è come un dardo.
Anche voi non l’amate; è vero? Gli occhi
vostri, nel giorno, sono stanchi. Pare
quasi che non possiate sollevare
le pàlpebre, su quei dolorosi occhi;
e nulla, veramente, nulla è più
triste de l’ombra che le ciglia immote
fanno talvolta a sommo de le gote
quando la bocca non sorride più.
Ma chi vide più larghi e più profondi
occhi dei vostri, se incominci il sole
a morire? Quale anima si duole
fascinata da abissi più profondi?
lo non conosco, veramente, cosa
che somigli a quel lento dilatarsi
ne la sera: - non gli astri in alto apparsi,
non i fiori. Non so nessuna cosa.
E quale cosa eguaglia ne la vita
del mio spirito l’estasi e il terrore
che m’invadono? Il mio corpo non muore,
e pur sembra ch’io viva oltre la vita!
Sembra che in ciel l’innaturale forma
con la sera divina si congiunga,
poi che l’immensa ombra del ciel prolunga
i tuoi capelli in una sola forma,
in una sola onda, in un sol fiume
misterioso che con un suo largo
giro m’avvolge e trae nel suo letargo
dando l’oblìo come l’antico fiume.
Piangi, tu che hai nei grandi occhi la mia
anima ed in cui palpita il mio cuore
segreto, o tu, sorella del Dolore,
sorella de la Sera, unica mia.
Per consolarmi in ore di tristezza
io ti creai de la più pura essenza,
fantasma immarcescibile, ma senza
consolare la mia vera tristezza!
(Poema Paradisiaco*1893)

lunedì 19 settembre 2011

La cucitrice di Giovanni Pascoli

Franz Xavier Simm
L'alba per la valle nera
sparpagliò le greggi bianche:
tornano ora nella sera
e s'arrampicano stanche:
una stella le conduce.
Torna via dalla maestra
la covata, e passa lenta:
c'è del biondo alla finestra
tra un basilico e una menta:
è Maria che cuce e cuce.
Per chi cuci e per che cosa?
un lenzuolo ? un bianco velo ?
Tutto il cielo è color rosa,
rosa e oro, e tutto il cielo
sulla testa le riluce.
Alza gli occhi dal lavoro:
una lagrima? un sorriso?
Sotto il cielo rosa e oro,
chini gli occhi, chino il viso,
ella cuce, cuce, cuce.

domenica 18 settembre 2011

Pesce di Paul Eluard

Munoz Herrera
I pesci, i bagnanti, le barche
Tramutano l'acqua.
L'acqua è dolce e si muove
Sol per quel che la commuove.
Il pesce viene avanti
Come un dito in un guanto,
E danzano i bagnanti lentamente
E la vela respira.
Ma la dolce acqua si muove
Per quel che la commuove
Per il pesce e il bagnante, per le barche
Che in sè porta
E via porta.
*°*°*°*
Poisson
Les poissons, les nageurs, les bateaux
Transforment l'eau.
L'eau est douce et ne bouge
Que pour ce qui la touche.
Le poisson avance
Comme un doigt dans un gant,
Le nageur danse lentement
Et la voile respire.
Mais l’eau douce bouge
Pour ce qui la touche,
Pour le poisson, pour le nageur, pour le bateau
Qu'elle porte
Et qu’elle emporte.
(Les animaux et leurs hommes*1920)

sabato 17 settembre 2011

Sono una stella di Hermann Hesse

Alfons Mucha*Star*1902

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nel proprio ardore.
Io sono il mare di notte in tempesta
il mare urlante che accumula nuovi
peccati e agli antichi rende mercede.
Sono dal vostro mondo
esiliato di superbia educato, dalla superbia frodato,
io sono il re senza corona.
Son la passione senza parole
senza pietre del focolare, senz'arma nella guerra,
è la mia stessa forza che mi ammala.
*°*°*°*°
Ich bin ein stern
Ich bin ein Stern am Firmament,
Der die Welt betrachtet, die Welt verachtet,
Und in der eignen Glut verbrennt.
Ich bin das Meer, das nächtens stürmt,
Das klagende Meer, das opferschwer
Zu alten Sünden neue türmt.
Ich bin von Eurer Welt verbannt
Vom Stolz erzogen, vom Stolz belogen,
Ich bin ein König ohne Land.
Ich bin die stumme Leidenschaft,
Im Haus ohne Herd, im Krieg ohne Schwert,
Und krank an meiner eignen Kraft.

venerdì 16 settembre 2011

La fine dell'estate è delizia e Chi siano di Emily Dickinson

Kenyon Cox
La fine dell'Estate è Delizia -
Frenata dalla Rimembranza.
È rivelata Rivisitazione dell'Estasi -
Assemblea d'Incanto.
Incontrarla - senza nome com'è -
Senza Corazza celeste -
Audace come senza bussare
Introdursi in un Velo.
*******
The last of Summer is Delight -
Deterred by Retrospect.
'Tis Ecstasy's revealed Review -
Enchantment's Syndicate.
To meet it - nameless as it is -
Without celestial Mail -
Audacious as without a knock
To walk within the Vail.
*°*°*°*
Chi siano - quelle finali Creature -
Che fedeli alla conclusione
Amministrano la sua estasi,
Soltanto l'Estate lo sa.
******
Those final Creatures, - who they are -
That faithful to the close
Administer her ecstasy,
But just the Summer knows.

giovedì 15 settembre 2011

La luna nuova di settembre e San Babila di Leonardo Sinisgalli

Anna Airy*The flower shop*1922
La luna nuova di settembre
ha cacciato i ragazzi sulla via.
Soffiano sulle mani, un po' vili
un po' pazzi, rifanno il verso
alla puzzola che si duole.
Ruzzolano nei cortili
tra i rovi e i calcinacci
a far razzia.
Hanno le ali ai piedi,
stringono le uova calde nelle tasche.
Li asseconda la luna che addormenta
i guardiani sulle frasche.
*°*°*°*
Trascina il vento della sera
Attaccate agli ombrelli a colore
Le piccole fioraie
Che strillano gaie nelle maglie.
Come rondini alle grondaie
Resteranno sospese nell'aria
Le venditrici di dalie
Ora che il vento della sera
Gonfia gli ombrelli a mongolfiera.

mercoledì 14 settembre 2011

Purgatorio Canto V di Dante Alighieri

Dante Gabriel Ropssetti*La Pia de Tolomei
Io era già da quell’ombre partito,
e seguitava l’orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando ’l dito,
una gridò: "Ve’ che non par che luca
lo raggio da sinistra a quel di sotto,
e come vivo par che si conduca!".
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
e vidile guardar per maraviglia
pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
"Perché l’animo tuo tanto s’impiglia",
disse ’l maestro, "che l’andare allenti?
che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti;
ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
perché la foga l’un de l’altro insolla".
Che potea io ridir, se non "Io vegno"?
Dissilo, alquanto del color consperso
che fa l’uom di perdon talvolta degno.
E ’ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
cantando ’Miserere’ a verso a verso.
Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
mutar lor canto in un "oh!" lungo e roco;
e due di loro, in forma di messaggi,
corsero incontr’a noi e dimandarne:
"Di vostra condizion fatene saggi".
E ’l mio maestro: "Voi potete andarne
e ritrarre a color che vi mandaro
che ’l corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com’io avviso, assai è lor risposto:
fàccianli onore, ed esser può lor caro".
Vapori accesi non vid’io sì tosto
di prima notte mai fender sereno,
né, sol calando, nuvole d’agosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
come schiera che scorre sanza freno.
"Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar", disse ’l poeta:
"però pur va, e in andando ascolta".
"O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti",
venian gridando, "un poco il passo queta.
Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
sì che di lui di là novella porti:
deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?
Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a l’ultima ora;
quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora
di vita uscimmo a Dio pacificati,
che del disio di sé veder n’accora".
E io: "Perché ne’ vostri visi guati,
non riconosco alcun; ma s’a voi piace
cosa ch’io possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io farò per quella pace
che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
di mondo in mondo cercar mi si face".
E uno incominciò: "Ciascun si fida
del beneficio tuo sanza giurarlo,
pur che ’l voler non possa non ricida.
Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che siede tra Romagna e quel di Carlo,
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, sì che ben per me s’adori
pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
ond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea,
fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
là dov’io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
assai più là che dritto non volea.
Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io
de le mie vene farsi in terra laco".
Poi disse un altro: "Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
con buona pïetate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte".
E io a lui: "Qual forza o qual ventura
ti travïò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?".
"Oh!", rispuos’elli, "a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ’l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!".
Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
per la virtù che sua natura diede.
Indi la valle, come ’l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse".
"Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via",
seguitò 'l terzo spirito al secondo,
"ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ’nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma"

martedì 13 settembre 2011

All'amata di Carlo Betocchi

Paul Outerbridge*Descending night*1935
I fior di oscurità, densi, che odorano
dove tu sei, s'aggirano nell'ombra,
un'altra luce sento che m'inonda
queste pupille che l'ombra violano.
Quale tu sei, non so; forse t'adorano
le cose antiche in me, tutto circonda
te in un giardino dove i sensi all'ombra
tornano ad uno ad uno che ti sfiorano.
L'esser più soli, e l'aggirarsi dove
tu non sei più, od in remota stanza
dentro al mio petto, quando lento piove
l'amor di te che oltre di te s'avanza,
forse sarà per questo il dir d'amore
più dolce dell'amore che ci stanca.

lunedì 12 settembre 2011

Piccolo testamento di Eugenio Montale

Paul Gauguin*1891
Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d'officina
che alimenti
chierico rosso, o nero.
Solo quest'iride posso
lasciarti a testimonianza
d'una fede che fu combattuta,
d'una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell'Hudson, della Senna
scuotendo l'ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
Non è un'eredità, un portafortuna
che può reggere all'urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l'estinzione.
Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
non era fuga, l'umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.
(La bufera)
*Eugenio Montale nel trentennale della scomparsa*

La signora Lalla di Marino Moretti

Alwin Arnegger*1915
Quando l'anima è stanca e troppo sola
e il cuore non basta a farle compagnia
si tornerebbe discoli per via,
si tornerebbe scolaretti a scuola
Oh sì! prendiamo la cartella scura.
il calamaio in forma di barchetta,
i pennini, la gomma e la cannetta,
e la storia sacra e il libro di lettura.
E ripetiamo: S'ode... s'ode a destra
uno squillo di tromba..., per la via,
o il «Cinque Maggio» o l'altra poesia
che dovremo dir tra breve alla maestra.
Andiamo, andiamo! Il tema è messo in bella!
Andiamo, andiamo! Il tema è messo
in buona!
Dio, com'è tardi! La campana suona...
Fra poco suonerà la campanella...
Ma che dico? E' domenica, è vacanza!
Non c'è scuola, quest'oggi: solamente
c'è da imparare un po' di storia a mente
soli, annoiati, nella propria stanza.
C'era una volta - ora mi viene a mente
la scuola della festa. Era una scuola
alla buona, così, con una sola
maestra, vecchia, senza la patente.
Signora Lalla, dove sei? T'aggiri
nella tua casa piena di panchetti
o su un quaderno scrivi un 5 e metti
un punto sopra un i, con due sospiri?
Signora Lalla, hai più quel mio ritratto
ch'io ti donai per Sant'Eulalia? e quella
treccia, in un quadro, d'una tua sorella
defunta? e l'altarino è ancora intatto?
Forse sei morta. Ed i tuoi strani oggetti
sono scesi con te, con la tua spoglia
dentro la fossa. La tua casa è spoglia
dei quadri, dei presepi e dei panchetti.
Che importa? Io t'amo e tu sei viva, o muta
immagine che guardi i miei quaderni
d'ora e i noti caratteri vi scerni
con uno sguardo di sopravvissuta.
Come son vani, come son diversi,
signora Lalla, i miei compiti d'ora.
Dimmi, vuoi riguardarmeli tu ancora?
Sembra uno scherzo, ma son tutti in versi.

domenica 11 settembre 2011

Silenzi di Lalla Romano

Robert Hale Ives Gammell
D’estate, nel silenzio dei meriggi,
sopra la terra esausta ed assopita,
incombe il peso d’una enorme assenza.
Ma dai grandi silenzi dell’inverno,
sopra la terra rispogliata e nuda,
infinita certezza si disserta.
Tutto perdemmo: fu sprecato il tempo
sì breve del fiorire, ma ora il cielo,
non più velato dalle foglie, immenso,
di luce inonda gli orizzonti, e nulla
fuorché il cielo è vivente sulla terra,
una più vera vita è in questa morte.
1930
11 settembre 2001-11 settembre 2011
Never forget!

sabato 10 settembre 2011

Nancy Knapp di Edgar Lee Masters

Hugo Salmson
Ma non capite, dunque? Fu così:
comperammo la fattoria con ciò che aveva ereditato,
e fratelli e sorelle lo accusarono di aver istigato
l'ira di suo padre contro di loro.
E noi non avemmo mai pace nella nostra ricchezza.
Un'epidemia colse il bestiame, i raccolti mancarono.
La folgore prese il granaio.
Così ipotecammo la terra per tirare avanti.
E lui si fece taciturno e preoccupato.
Poi qualcuno dei vicini ci tolse il saluto
e prese la parte di fratelli e sorelle.
E io non sapevo dove sbattermi; soltanto da giovani,
si può dire a se stessi:  «Non importa,
il tale è mio amico, oppure posso liberarmene
con un piccolo viaggio a Decatur».
Poi gli odori più schifosi cominciarono a infestare le stanze.
Io allora diedi fuoco ai letti, e la vecchia baracca
divampò in un muggito
mentre ballavo nel cortile agitando le braccia,
e lui piangeva come un vitello che ha freddo.
*°*°*°*°*°
WELL, don’t you see this was the way of it:
We bought the farm with what he inherited,
And his brothers and sisters accused him of poisoning
His father’s mind against the rest of them.
And we never had any peace with our treasure.
The murrain took the cattle, and the crops failed.
And lightning struck the granary.
So we mortgaged the farm to keep going.
And he grew silent and was worried all the time.
Then some of the neighbors refused to speak to us,
And took sides with his brothers and sisters.
And I had no place to turn, as one may say to himself,
At an earlier time in life; “No matter,
So and so is my friend, or I can shake this off
With a little trip to Decatur.”
Then the dreadfulest smells infested the rooms.
So I set fire to the beds and the old witch-house
Went up in a roar of flame,
As I danced in the yard with waving arms,
While he wept like a freezing steer.

venerdì 9 settembre 2011

Appuntamento a ora insolita di Vittorio Sereni

Jean Gabriel Domergue
La città-mi dico- dove l’ombra
quasi più deliziosa è della luce
come sfavilla tutta nuova al mattino….
“……asciuga il temporale di stanotte” – ride
la mia gioia tornata accanto a me
dopo un breve distacco.
“Asciuga al sole le sue contraddizioni”
- torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
Ma la forma l’immagine il sembiante
-d’angelo avrei detto in altri tempi-
risorto accanto a me nella vetrina:
“Caro- mi dileggia apertamente- caro,
con quella faccia di vacanza. E pensi
alla città socialista ?”.
Ha vinto. E già mi sciolgo: “Non
arriverò a vederla” le rispondo.
(Non saremo
più insieme dovrei dire.) “Ma è giusto,
fai bene a non badarmi se dico queste cose,
se le dico per odio di qualcuno
o rabbia per qualcosa. Ma credi all’altra
cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
che in sé le altre include e le fa splendide,
rara come questa mattina di settembre…..
giusto di te fra me e me parlavo:
della gioia.”
Mi prende sottobraccio.
“Non è vero che è rara, – mi correggo- c’è,
la si porta come una ferita
per le strade abbaglianti. E’
quest’ora di settembre in me repressa
per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
un’arma che si reca con abuso, fuori
dal breve sogno di una vacanza.
Potrei
con questa uccidere, con la sola gioia….”
Ma dove sei, dove ti sei mai persa ?
“E’ a questo che penso se qualcuno
mi parla di rivoluzione”
dico alla vetrina ritornata deserta.
(Gli strumenti umani)

giovedì 8 settembre 2011

La ciocca bianca di Ada Negri

Helen Parsons Sheperd*Sunday morning*1962
De' tuoi bianchi capelli, sì leggeri
Alla carezza e pur sì folti, in uno scrigno una ciocca serbo.
Erano i miei
Scuri come la notte, allor che al capo
Tuo la recisi. Ed oggi, te cercando
In quella ciocca, sola cosa viva
Che di te mi rimanga, io mi domando
Se recisa non l'ho dalle mie tempie.
E se mi guardo entro lo specchio, e in esso
Mi smarrisco, non me, ma te ravviso,
o Madre: tua questa marmorea fronte,
piena di tempo, e immersa in una luce
ch'è già ormai d'altra terra e d'altro cielo.
(Ciao mamma carissima, già 3 anni.)

mercoledì 7 settembre 2011

Settembre di Hermann Hesse

William Stott of Oldham*The ferry
Triste il giardino: fresca
scende ai fiori la pioggia...
silenziosa trema l'estate,
declinando alla sua fine.
Gocciano foglie d'oro
giù dalla grande acacia...
Ride attonita e smorta
l'estate dentro il suo morente sogno.
S'attarda tra le rose,
pensando alla sua pace;
lentamente socchiude
i grandi occhi pesanti di stanchezza.

martedì 6 settembre 2011

L'Estate che non apprezzammo di Emily Dickinson

Almeida
L'Estate che non apprezzammo
Tanto facili erano i suoi tesori
Ci istruisce ora che se ne sta andando
E il riconoscimento è tardo -
Si scuote - mette il Soprabito
E vaglia con fatale prontezza
Treni in quel momento fuori di vista
Inconsapevoli della sua sveltezza -
*°*°*°*
The Summer that we did not prize
Her treasures were so easy
Instructs us by departing now
And recognition lazy -
Bestirs itself - puts on it's Coat
And scans with fatal promptness
For Trains that moment out of sight
Unconscious of his smartness -

lunedì 5 settembre 2011

Settembre di Antonio Machado

Gordillo*Las aguadoras
Verdi giardinetti,
limpide piazzette,
fonte verdognola
dove l'acqua sogna,
dove l'acqua muta
scorre sulla pietra!...
Le fogliedi un verde
spento, quasi nere,
dell'acacia, bacia
il vento a settembre,
quelle gialle, secche,
trascina nel gioco
di polvere bianca
che è per terra.
Leggiadra fanciulla,
che riempi la brocca
di acqua trasparente,
tu, distrattamente,
non porti, al vedermi,
la tua mano bruna
tra i neri ricci
dei tuoi capelli,
nè, poi, nel limpido
specchio ti contempli...
Tu osservi l'aria
della bella sera,
mentre riempi d'acqua
limpida la brocca
*°*°*°
SEPTIEMBRE
¡Verdes jardinillos,
claras plazoletas,
fuente verdinosa
donde el agua sueña,
donde el agua muda
resbala en la piedra!…
Las hojas de un verde
mustio, casi negras
de la acacia, el viento
de septiembre besa,
y se lleva algunas
amarillas, secas,
jugando, entre el polvo
blanco de la tierra.
Linda doncellita
que el cántaro llenas
de agua transparente,
tú, al verme, no llevas
a los negros bucles
de tu cabellera,
distraídamente,
la mano morena,
ni, luego, en el limpio
cristal te contemplas…
Tú miras al aire
de la tarde bella,
mientras de agua clara
el cántaro llenas.

domenica 4 settembre 2011

Ora che sale il giorno di Salvatore Quasimodo

Charles Courtney Curran
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.
È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,
per restare solo a ricordarti.
Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli.
(Nuove Poesie-Ed è subito sera)

sabato 3 settembre 2011

Ode al cane di Pablo Neruda

Ettore Tito*L'amazzone*1906
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
son due domande umide, due fiamme
liquide interroganti
e non rispondo,
non rispondo perche'
non so, e niente posso dire.
In mezzo ai campi andiamo
uomo e cane.
Luccicano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
salgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
in alberi rotondi
come la notte e verdi,
e uomo e cane andiamo
fiutando il mondo, scuotendo il trifoglio,
per i campi del Cile,
fra le limpide dita di settembre.
Il cane si arresta,
corre dietro alle api,
salta l'acqua irrequieta,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina su una pietra
e porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
Tenera impertinenza
per palesare affetto!
E fu a quel punto che mi chiese,
con gli occhi,
perche'ora e'giorno, perche' verra' la notte,
perche' la primavera
non porto' nel suo cesto
nulla
per i cani vagabondi,
ma inutili fiori,
fiori, e ancora fiori.
Questo mi chiede
il cane
e non rispondo.
Andiamo avanti,
uomo e cane, appaiati
dal mattino verde,
dall'eccitante vuota solitudine
in cui solo noi
esistiamo,
questa coppia di un cane rugiadoso
e un poeta del bosco,
perche' non esistono
uccelli o fiori occulti,
ma profumi e gorgheggi
per due compagni,
per due cacciatori compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
un tunnel verde e poi
una prateria,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che cammina,
respira, cresce,
e l'antica amicizia,
la gioia
d'esser cane e di esser uomo
tramutata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
intrisa di rugiada.
°*°*°*°*°
ODA AL PERRO
El perro me pregunta
y no respondo.
Salta, corre en el campo y me pregunta
sin hablar
y sus ojos
son dos preguntas húmedas, dos llamas
lìquidas que me interrogan
y no respondo,
no respondo porque
no sé, no puedo nada.
A campo pleno vamos
hombre y perro.
Brillan las hojas como
si alguien
las hubiera besado
una por una,
suben del suelo
todas las naranjas
a establecer
pequeños planetarios
en árboles redondos
como la noche, y verdes,
y perro y hombre vamos
oliendo el mundo, sacudiendo el trébol,
por el campo de Chile,
entre los dedos claros de septiembre.
El perro se detiene,
persigue las abejas,
salta el agua intranquila,
escucha lejanísimos
ladridos,
orina en una piedra
y me trae la punta de su hocico,
a mí, como un regalo.
Es su frescura tierna,
la comunicación de su ternura,
y allí me preguntó
con sus dos ojos,
por qué es de día, por qué vendrá la noche,
por qué la primavera
no trajo en su canasta
nada
para perros errantes,
sino flores inútiles,
flores, flores y flores.
Y así pregunta
el perro
y no respondo.
Vamos
hombre y perro reunidos
por la mañana verde,
por la incitante soledad vacía
en que sólo nosotros
existimos,
esta unidad de perro con rocío
y el poeta del bosque,
porque no existe el pájaro escondido,
ni la secreta flor,
sino trino y aroma
para dos compañeros,
para dos cazadores compañeros:
un mundo humedecido
por las destilaciones de la noche,
un túnel verde y luego
una pradera,
una ráfaga de aire anaranjado,
el susurro de las raíces,
la vida caminando,
respirando, creciendo,
y la antigua amistad,
la dicha
de ser perro y ser hombre
convertida
en un solo animal
que camina moviendo
seis patas
y una cola
con rocío.
(Dedicato a Ulisse e a chi lo ama tanto...)

venerdì 2 settembre 2011

Settembre a Venezia di Vincenzo Cardarelli

Martin Rico Y Ortega
Già di settembre imbrunano
a Venezia i crepuscoli precoci
e di gramaglie vestono le pietre.
Dardeggia il sole l'ultimo suo raggio
sugli ori dei mosaici ed accende
fuochi di paglia, effimera bellezza.
E cheta, dietro la Procuratie,
sorge intanto la luna.
Luci festive ed argentate ridono,
van discorrendo trepide e lontane
nell'aria fredda e bruna.
Io le guardo ammaliato.
Forse più tardi mi ricorderò
di queste grandi sere
che son leste a venire,
e più belle, più vive le lor luci,
che ora un pò mi disperano
(sempre da me così fuori e distanti!),
torneranno a brillare
nella mia fantasia.
E sarà vera e calma
felicità la mia.