Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

giovedì 28 febbraio 2013

Non chiedere di Quinto Orazio Flacco

Sir Lawrence Alma Tadema
Non chiedere, o Leuconoe (è illecito saperlo) qual fine
abbiano a te e a me assegnato gli dèi,
e non scrutare gli oroscopi babilonesi. Quant'è meglio
   accettare
quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni,
oppure ultimo quello che ora affatica il mare Tirreno
contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca
lunghe speranze per la vita breve. Parliamo, e intanto
   fugge l'astioso
tempo. Afferra l'oggi, credi al domani quanto meno puoi.
****************
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati.
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.
(Odi, I, 11)

mercoledì 27 febbraio 2013

Interno di Alfonso Gatto

Lilias Torrance Newton*Selfportrait*1929
Rosaviola fuggì dal rosso
macchiò di gioia le lunghe mani,
o flagrante di fantasia
o vestita di rigatino
che sembra marinaio!
Il piccolo balcone caldo d'oro,
negli occhi di un bambino
violette di febbraio.
(La storia delle vittime*Amore della vita)

martedì 26 febbraio 2013

Un'amarezza di Amalia Guglielminetti

Marion Wagschal*Sandra* 1985
Quell'amarezza fu senza parola:
ma l'assenzio ed il fiele ed il veleno,
tutto ciò ch'è più amaro, dal tuo seno
saliva gorgogliando alla tua gola.
L'angoscia che nessun bene consola
più non t'urgeva. Sol d'amaro pieno
era il tuo sangue, nè veniva meno
in te quell'onda lenta eguale sola.
T'ammorbava il palato il suo sapore,
n'esalava il disgusto la tua voce
come l'acredin d'un malvagio fiore.
Pure, un tuo riso ritrovasti ancora:
quel riso d'un amaro tanto atroce
che stride in bocca e l'anima divora.

lunedì 25 febbraio 2013

Febraio in bar di Virgilio Giotti

Guy Penè Du Bois*Portia in pink*1942
Sconta drio de la màchina,
con quel vivo sul peto
dei do pomponi rossi,
Marì strenzi un biglieto
i' man. Làgrime iòzzola
sul banco e un pie par tera
pesta pesta. Febràio.
Aria de primavera
vien de la porta. Tèpida
me la sento sul viso.
***********
Sconta=nascosta
drio=dietro
de la màchina (penso intenda la macchina del caffè)
Strenzi=stringi
Iòzzola=gocciola
(Chiedo scusa, ma questo non è il mio dialetto,  è triestino...)

domenica 24 febbraio 2013

Poesia del febbraio di Giorgio Orelli

Robert Delaunay*Tristan Tzara*1923
E quasi di domenica in domenica,
con la speranza che ha di sè pietà,
da vie scordate dalla pioggia un uomo
a quelle case rassegnate va;
vede ardere un verde ov'è VIETATO
LORDARE,
giovani madri sedute sul prato,
e battere di là dal fiume scarso
il sole contro gli occhi dei villaggi;
finchè la tuba di un bimbo che pare
dimenticato
tutta grida la lunga siccità.

sabato 23 febbraio 2013

Lontananza di Alfonso Gatto

Jules Erbit*1941
La tua voce ritorna dal febbraio
come una sera spoglia dove i lumi
s'aprono tardi e più remoto il cielo
ai gridi dei fanciulli ospita il fuoco.
Il Parco d'ombre, gli esuli fanali,
lo squallore d'un fischio che ripete
un nome solo, tremano nel cuore
avviluppato dal suo freddo. Invano
torna al silenzio la parola: resta
lontana la tua voce come l'aria
calda dell'ombra ai miei paesi, il nulla
della tua dolce eternità, stasera.
(Arie e ricordi-1940-41)

venerdì 22 febbraio 2013

Inverno di Luis Felipe Vivanco

Ignacio Zuloaga Y Zabaleta
I •
Giorno di neve 
Giorno di neve bianca.
Le tendine abbassate.
(Verdi, rosse, le frange.)
Attizziamo il braciere.
Un vaso con violette.
Tu, di fronte.
(Un bicchiere
di cognac, vuotato.)
Tu, di fronte.
La ceneriera
d'argento. Angeli musici.
Quanto lieto, Frate Angelico!
Quanto rude, Zabaleta
e il suo chiaro acquerello,
una porta dischiusa
sui campi, in lontananza
colline soleggiate,
nient'altro.
Il ritratto
di tua sorella morta.
(Sprofonda la cornice
isabellina.)
Rammento
la strada, con pioggia,
del cimitero. Passa
la rotabile buia.
(È più nobile premere
la terra che l'asfalto.)
Il fiore del carrubo,
cilestrino. Ricordi
il lustro dell'avena?
Il paese è una pozzanghera
con lampadine tristi,
nella notte.
È giunto
l'autobus. I viaggiatori
scendono: panni umidi
e scarpe infangate.
II • 
Un vaso 
Un vaso con violette
sul mantile trapunto
da te promessa sposa.
Il canto gregoriano.
I musici (le pieghe
romaniche), che suonano
strumenti antichi;
il liuto, la viola
ad arco, i piattini,
l'organo a mano.
Ecco uccelli con arpe
e tamburelli, e un albero
stilizzato.
(Nevica,
son passati due anni.)
Ricordo quel progetto
di dogana del porto
di Vigo. (Tra la pioggia
i picchi delle Cíes,
dove d'estate annidano
i gabbiani.) Tutto
molto ridotto a sbarre,
benissimo risolto (ma,
m'innamorai della Galizia,
quel suo tremore ignaro,
tra patii e tetti).
III • 
Le cose 
Le cose.
E la casa
serrata. (Inchiodare chiodi
per appendere i quadri.)
Aver casa. Avere
per sempre una sposa.
E amarla.
Guardarla
con occhi che riacquistano
il non sapere, amandola
senza parlare, a lei vicino,
con lei coincidendo
nello stesso sorriso.
Esser sempre vicino,
e sentirla lontana!
- esser cattivo, ad arte -,
ed esser buono.
E amarla.
Nei giorni e nelle ore
innanzi al puro, sensibile.
sfumato orizzonte
della piana mancega.
Vita nostra. Sì nostra
eppur mia! (Guardarla
muto, comprendendola.)
Signore, non è più necessaria
la morte! (Mi mancava
prima, sì, la sua inedita
metà.)
La neve, fuori,
si liquefa, soffice.
I cammini, invernali
i pioppi...
Ma la bimba
cresce e la nostra casa.
IV • 
Epica dei giorni 
Epica dei giorni
solenni, e lirica
dei giorni usuali.
(Come in quei trasparenti
eremi di campani,
appena intravvisti
negli ultimi canti
guerrieri dell'Eneide.)
I lavori segreti
nei giorni. Le opere
sgorganti, giornalmente,
dal buon volere. (I fatti
che sono indipendenti
da noi.)
La bimba,
- la sua manina - urta
nel tramezzo. E continua
a sfilare l'inverno.
Passa e non passa.
Cresce,
e non cresce, la bimba.
E invecchio. Invecchia
il nostro amore: umide
labbra, velati sguardi
d'amor che si fa vecchio
(più usato, più nostro,
dal tempo).
Oh, lunghi
anni! Sii benedetto,
Signore nostro, nel tempo
e per il tempo!
(Fuori,
la neve di questo inverno.)
****************
El invierno
1. Día de nieve blanda.
Las cortinas echadas.
(Verdes, rojas, sus franjas.)
Una firma al brasero.
Un vaso con violetas.
Y tú, enfrente.
(Una copa
de coñac, ya vacía.)
Tú, enfrente.
El cenicero
de plata. Ángeles músicos.
¡Qué alegre Frá Angélico!
¡Qué agreste Zabaleta
y su clara acuarela
que es una puerta abierta
al campo, con lejanas
colinas soleadas,
nada más!
El retrato
de tu hermana que ha muerto.
(Su marco isabelino
que se ahonda. )
Recuerdo
el camino, con lluvia,
del cementerio. Cruza
la negra carretera.
Y es más noble pisar
la tierra que el asfalto.)
La flor de la algarroba,
azulina. ¿Recuerdas
los brillos de la avena?
Está el pueblo encharcado
con bombillitas tristes,
ya en la noche.
Ha llegado
el auto. Los viajeros
que bajan; ropas húmedas
zapatos con barro.
2. 
Un vaso con violetas
sobre el mantel bordado
por ti cuando eras novia.
su canto gregoriano.
Sus músicos (sus pliegues
románicos ), tañendo
vetustos instrumentos:
El laúd, la vihuela
de arco, los albogues
el órgano de mano.
Hay pájaros con arpas
y panderos, y un árbol
estilizado.
(Nieva,
y han pasado dos años.)
Recuerdo aquel proyecto
de Aduana para el puerto
de Vigo. (Entre la lluvia
los picos de las Cíes,
donde en verano incuban
las gaviotas.) Todo
muy reducido a ejes,
muy bien resuelto (pero,
puse amor a Galicia,
temblor suyo ignorante,
en patios y tejados).
3. 
Las cosas 
Y la casa
cerrada. ( Clavar clavos
para colgar los cuadros.)
Tener casa. Tener
para siempre una esposa.
Y quererla.
Mirarla
con ojos que recobran
la ignorancia, queriéndola
sin hablar, acercándome,
coincidiendo con ella
en la misma sonrisa.
Estar siempre tan cerca,
y sentir que se aleja!
y ser malo, a sabiendas-,
y ser bueno.
Y quererla.
Los días y las horas
frente al limpio, sensible,
matizado horizonte
y llanura manchega.
Vida nuestra. ¡Tan nuestra
y tan mía! (Mirarla
sin hablar, comprendiéndola.)
¡Señor, ya no hace falta
la muerte! (Antes, me hacía
mucha falta su inédita
mitad.)
La nieve, fuera,
derritiéndose, blanda.
Los caminos, los chopos
de inverno...
Pero crecen
la niña y nuestra casa.
4. 
Los libros.
Y la niña
que se impacienta, y quiere
cogerlos.
(Son autores
ingleses, italianos.)
La niña, en su cercado
de barrotes azules,
malhumorada.
-Pronto,
ven, pajarito, y llévate
a esta niña!
La niña
se tira al suelo, esconde
la cabeza.
Y el pájaro
es el de nuestra lámpara
de artesanía.
(Libros
franceses, alemanes.)
Junto a La Galatea,
un Racine, un Verlaine,
un Antonio Machado.
Y Francis Jammes, desde
Le poete et sa femme
o Le poète rustique
su Almanaque, con
las flores, las legumbres,
los paisajes del año.
Y Mireya (o Mireio,
en provenzal), ¡qué diáfano
en sus quietas estrofas
todo lo no romántico!
5. 
Recuerdos de esto mismo.
Ensueños verdaderos
de esto mismo.
Es el faro.
Pasan, blancas, sus ráfagas,
sobre las olas altas
del mar de Corrubedo.
Las oímos. Queremos
salir a verlas. Llueve
sobre el mar y la costa
de naufragios: los campos
de maíz y las dunas
solitarias (kilómetros
de arena golpeada
por el mar).
A la espalda
se han quedado los pueblos,
los prados, los cruceros
de piedra gris, los setos
de laureles, los muelles
del pescado.
El farero,
posa, grueso, su dedo
sobre el renglón cargado
tal vez de cervantinas
donosuras.
Y el faro
sigue, inmóvil, girando,
escrutando los lejos
brumosos del mar negro,
donde brota este viento
y estas gotas de lluvia
menudita en la cara
dejan de ser saladas.
6.
Monte bajo. Carrascas.
las urracas. Las jaras.
Las colmenas. La curva
del camino -su débil
blancura- con el pino
grande. El guarda y su perro,
tan tiñoso, tan tierno!
Crepúsculo en el pino,
ya empieza a moverse
la luna entre las zarzas
de los escarpes, entre
los leños del vivero
junto al río.
Hace húmedo
pero sube el espacio
de la noche.
La casa
como una lucecita
celeste en la distancia.
(Luz de velas. Las sombras
tiemblan en las paredes,
se agrandan, se deforman...)
Los pájaros nocturnos
que silban lejos, cerca.
Los sapos, más sutiles
cantores que los pájaros.
Y Bach, desde el piano,
aislando aún más la casa
en el monte y la noche.
(Piso el verde relente
de la trocha, acercándome...)
7. 
Las horas. 
Sus pisadas
huecas. ¿En qué desierta
plazuela, o callejuela
sin ruidos, nuestra casa?
¿En qué fecha de un tiempo
no vivido?
(¿Y la niña
que empezaba a tener
dialecto propio, intrépidas,
venideras palabras?)
Nuestra casa -y la niña-
perdida.
Y yo buscándola
sobre el mapa.
Buscando
por el mar y sus playas,
por las faldas quebradas
de los montes, los pueblos
y las viejas ciudades,
(tan ceñidas de huertas,
de murallas, de árboles,
tan pausadas y anónimas
como los pueblos, aunque
un poquito más grandes).
Buscando, no alejados,
quiméricos oasis,
sino estas mismas aguas
regadoras y alegres
que tengo aquí: su pelo,
sus mejillas, su frente...
8. 
Un pueblo y su espigado
campanario entre pardos
camellones que empiezan
a verdear.
¡Sus cuestas
hacia el río!: agua turbia,
terrosa, turbulenta.
Y un repecho florido
tan indefenso en esta
quietud).
Sol de las cinco
de la tarde. Collejas
con sus flores colgantes,
y espiguillas curvándose.
Sobre el color violento
de los cerros cercanos,
la suavidad violenta
de la sierra.
Cruzado
ya el puente, entre los cerros
y la sierra, que ahueca
sus faldas, y se hace
de bulto, ¿en qué apartada
cañada, nuestra casa?
¿En qué hocina furtiva,
creciendo, entre las coles
azules y los lirios
morados, nuestra niña?
O, todavía un poco
más lejos, ¿en qué valle
serrano sube un humo
tranquilo entre los troncos
rojizos de los pinos ?
9. 
No hay prisa.
Y hace rato
que no hablamos.
(Sabemos
que está bien. Sonreímos.)
Verdes, rojas las franjas
de la cortina. Invierno.
Ya no hay ninguna prisa.
Ya cantarán los pájaros.
Ya se abrirán las lilas
y las rosas. La niña
romperá a hablar.
Despacio,
va pasando el invierno.
Estoy solo. (El cuadrado
corralillo, vacío.)
«Radio», floja, lejana:
A través de tabiques,
la voz de un hombre hablando,
dando noticias. (Siempre
noticias.)
La butaca
sin ella.
Me han dejado
(Están los juguetes
todos por el suelo,
el libro abierto, sobre
la camilla. )
Hay violetas.
Y el locutor que sigue,
terco, dando noticias
que no escucho.
Despacio,
con su nieve, el invierno,
con el sol de los viejos.
Y ser viejo: haber vivido
más acá de los hechos. )
10. 
Épica de los días
señalados, y lírica
de los días diarios.
Como en esos rincones
transparentes de esquilas,
apenas vislumbrados
y los últimos cantos
guerreros de la Eneida.)
Los trabajos secretos
en los días. Las obras
que brotan, diariamente,
de la actitud. (Los hechos
que son independientes
de nosotros.)
La niña
-su manecita- pega
en el tabique. Y sigue
desfilando el invierno.
Pasa y no pasa.
Crece,
y no crece, la niña.
Y envejezco. Envejece
nuestro amor: labios húmedos,
empañadas miradas
de amor que se hace viejo
(más usado, más nuestro
por el tiempo).
¡Qué largos
años! ¡Bendito seas,
Señor nuestro, en el tiempo
y por el tiempo!
(Fuera,
la nieve de este invierno.)
11. 
Quererla así.
(Viviendo
lo que tengo.)
Y soñarla.
Soñar, así, su frente
clara, su pelo suelto,
sus pies que van descalzos
por los caminos...
(Blancos,
apretados senderos
de un sueño, que nos llevan
¿adónde? ¿En qué recodo
brota un dolor más hondo
que la muerte?)
Tres, cuatro,
diez, once, quince años
tendrá la niña.
Esbelta
de cuerpo, irá creciendo
por la casa.
Las monjas
la Madre Superiora! -
nos robarán sus horas
adictas de curiosa
colegiala.
¡Ojos míos
viejos, corazón mí0
viejo, cargado de años,
de mis años, mis obras,
de mis trabajos secretos
frente a este mismo plato
de plátano mezclado
con jugo de naranja
frente a este mismo ensueño
partido en el mapa)!
Nosotros dos (y ella
chiquitina). Nosotros
tres. (Su risa dormida.)
12. 
Duerme.
(Y nosotros dos
nos hemos ido al estreno.)
Duerme.
(Y hemos estado
pisando juntos.)
Duerme.
Nubes rápidas. Viento
que viene de los Gredos.
Cielo grande nocturno
y un gran lucero verde.
(Las fiestas, y su traje
de noche -y su belleza-,
mientras la niña duerme...)
De sobremesa, hablamos
tal vez. Poco. Y volvemos
a callar. Nos miramos
a los ojos.
Decimos
lo mismo.
Y nos queremos
hacia la primavera
y el verano, hacia el campo
y su olor despejado,
hacia el mar y sus barcos.
(Mientras la niña duerme.)
13. 
Duerme
Dentro de poco
dormiremos nosotros,
también.
¿Se habrá quedado
Dios en vela? ¿Sus ojos
seguirán recordando
-con el viento en los árboles
veraniegos- la estela
fugaz de nuestro barco?
En esta noche oscura
de cosas que se agrupan
sencillamente tuyas
en torno a nuestro abrazo,
no hace falta que veles,
Señor. (Y, sin embargo,
siempre será mejor
que te quedes despierto,
como un lucero grande
sobre el viento.)
Se hunde
fatigada en el sueño
la casa.
Nos acechan
peligros separados,
pero si estás Tú en vela
dormiremos más juntos
los tres, casi los cuatro.

De (Continuación de la vida) 1949

giovedì 21 febbraio 2013

Nella piazza di San Petronio di Giosuè Carducci

Jean Louis Forain*1877
Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna,
e il colle sopra bianco di neve ride.

È l'ora soave che il sol morituro saluta
le torri e 'l tempio, divo Petronio, tuo;

le torri i cui merli tant'ala di secolo lambe,
e del solenne tempio la solitaria cima.

Il cielo in freddo fulgore adamàntino brilla;
e l'aër come velo d'argento giace

su 'l fòro, lieve sfumando a torno le moli
che levò cupe il braccio clipeato de gli avi.

Su gli alti fastigi s'indugia il sole guardando
con un sorriso languido di viola,

che ne la bigia pietra nel fosco vermiglio mattone
par che risvegli l'anima de i secoli,

e un desio mesto pe 'l rigido aëre sveglia
di rossi maggi, di calde aulenti sere,

quando le donne gentili danzavano in piazza
e co' i re vinti i consoli tornavano.

Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema
un desiderio vano de la bellezza antica.

(6-7 Febbraio 1877)

(ODI BARBARE)

mercoledì 20 febbraio 2013

Le violette di febbraio di Alfonso Gatto

Agnes Millen Richmond*Miss Clafin
D'un biancore di luce fatta neve
- la neve di febbraio - le violette
svegliano al verde la finestra lieve
che disegna sul poggio le casette

ad una ad una azzurre bianche rosa,
tintinnanti vetrine se alla soglia
batte i piedi un ragazzo, la vogliosa
testa arruffata al vento che l'imbroglia.

Si scopre dal suo ridere nei denti
l'acerba primavera che si scuote
e decide i colori: passa, senti,
la prima bicicletta dalle ruote

fruscianti sul ventaglio della neve.

(Rime di viaggio per la terra dipinta)

martedì 19 febbraio 2013

Febbraio e Ombra di nuvola di Elpidio Jenco

Leo Putz*Wintersonne*1913
FEBBRAIO
Io son te, ciuffo pallido
che al vento ti porgi dal ciglio del muro,
e col mio chiuso tremito aspetti
che sfiondi
come la rondine prima
la primavera dal mare.
*********
OMBRA DI NUVOLA
Che lascerà di sè sulla radura
dove fiume lentissimo, fluisce
l'ombra di questa nuvola migrante?
Dopo il breve trascorrere nel sole,
ecco la notte: e non sarà mai stata... .

lunedì 18 febbraio 2013

Godimento di Giuseppe Ungaretti

Gustav Klimt*1917
Versa il 18 febbraio 1917
Mi sento la febbre
di questa
piena di luce
Accolgo questa
giornata come
il frutto che si addolcisce
Avrò
stanotte
un rimorso come un
latrato
perso nel
deserto
(Naufragi)

domenica 17 febbraio 2013

Ode al gatto di Pablo Neruda

Charles Burton Barber
Gli animali furono
imperfetti, lunghi
di coda, plumbei
di testa.
Piano piano si misero
in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso:
nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L'uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere ali,
il cane è un leone spaesato,
l'ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca di imitare la mosca,
ma il gatto
vuole solo esser gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d'oro.
Non c'è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l'elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola
fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore senz'orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto, nuziale
sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell'amore
all'aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto
è immondo
per l'immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente
della casa, arrogante
vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un
irreperibile velluto,
probabilmente non c'è
enigma
nel tuo contegno,
forse non sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all'abitante meno misterioso,
forse tutti si credono
padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni,
colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d'accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl'imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l'atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare un gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d'oro stanno nei suoi occhi.
***************
ODA AL GATO
Los animales fueron
imperfectos,
largos de cola, tristes
de cabeza.
Poco a poco se fueron
componiendo,
haciéndose paisaje,
adquiriendo lunares, gracia, vuelo.
El gato,
sólo el gato
apareció completo
y orgulloso:
nació completamente terminado,
camina solo y sabe lo que quiere.
El hombre quiere ser pescado y pájaro,
la serpiente quisiera tener alas,
el perro es un león desorientado,
el ingeniero quiere ser poeta,
la mosca estudia para golondrina,
el poeta trata de imitar la mosca,
pero el gato
quiere ser sólo gato
y todo gato es gato
desde bigote a cola,
desde presentimiento a rata viva,
desde la noche hasta sus ojos de oro.
No hay unidad
como él,
no tienen
la luna ni la flor
tal contextura:
es una sola cosa
como el sol o el topacio,
y la elástica línea en su contorno
firme y sutil es como
la línea de la proa de una nave.
Sus ojos amarillos
dejaron una sola
ranura
para echar las monedas de la noche.
Oh pequeño
emperador sin orbe,
conquistador sin patria,
mínimo tigre de salón, nupcial
sultán del cielo
de las tejas eróticas,
el viento del amor
en la intemperie
reclamas
cuando pasas
y posas
cuatro pies delicados
en el suelo,
oliendo,
desconfiando
de todo lo terrestre,
porque todo
es inmundo
para el inmaculado pie del gato.
Oh fiera independiente
de la casa, arrogante
vestigio de la noche,
perezoso, gimnástico
y ajeno,
profundísimo gato,
policía secreta
de las habitaciones,
insignia
de un
desaparecido terciopelo,
seguramente no hay
enigma
en tu manera,
tal vez no eres misterio,
todo el mundo te sabe y perteneces
al habitante menos misterioso,
tal vez todos lo creen,
todos se creen dueños,
propietarios, tíos
de gatos, compañeros,
colegas,
discípulos o amigos
de su gato.
Yo no.
Yo no suscribo.
Yo no conozco al gato.
Todo lo sé, la vida y su archipiélago,
el mar y la ciudad incalculable,
la botánica,
el gineceo con sus extravíos,
el por y el menos de la matemática,
los embudos volcánicos del mundo,
la cáscara irreal del cocodrilo,
la bondad ignorada del bombero,
el atavismo azul del sacerdote,
pero no puedo descifrar un gato.
Mi razón resbaló en su indiferencia,
sus ojos tienen números de oro.

sabato 16 febbraio 2013

Il vicolo della neve di Alfonso Gatto

Joseph Kleitsch*1927
E' nella notte d'inverno
il pallido azzurro fornaio
disegnato di vene,
la luna a mezzo febbraio,
quel parlare di cene.
Il vicolo aveva la neve
del dolce nome granito,
un uomo triste che beve
il suo vino appassito.
Il vicolo aveva il balcone
della puttana smargiassa
e quell'odore di nassa
di polpo bollito e limone.
Il vicolo aveva l'inverno
il canto della canaria
i numeri rossi del terno
l'ultimo palpito d'aria
di fresca cantina, d'arancio
che torna - oh se torna! - nel grano
fiorito della pastiera.
Il vicolo aveva nel gancio
l'insegna contrabbandiera
del c'era una volta il lontano
racconto del tempo che fu.
Straniero, se passi a Salerno
in una notte d'inverno
di luna a mezzo febbraio,
se vedi il bianco fornaio
che batte le mani sul tondo
di quella faccia cresciuta,
ascolta venire dal fondo
degli anni la voce perduta.
L'odore di menta t'invita,
la tavola bianca, la stanza
confusa dall'abbondanza.
In quell'odore di forno
per qualche sera la vita
si scalda con le sue mani
e quegli accordi lontani
del tempo che fu.
(Desinenze)

venerdì 15 febbraio 2013

Inizio di sera*Lontano*Alba di Giuseppe Ungaretti

Glyn Warren Philpot*A young Breton*1917
INIZIO DI SERA
Versa il 15 febbraio 1917
La vita si vuota
in diafana ascesa
di nuvole colme
trapunte di sole
(Naufragi)
*************
LONTANO
Versa il 15 febbraio 1917
Lontano lontano
come un cieco
m'hanno portato per mano
(Naufragi)
************
ALBA
Versa il 15 febbraio 1917
Zampilli
di matasse radiose
spioventi
in masse sinuose
di perle
(Poesie disperse)

giovedì 14 febbraio 2013

Dove sta amore di Lawrence Ferlinghetti

J.C.Leyendecker*16 febbraio 1924
Dove sta amore
Dove giace amore
Dove sta amore
Qui giace amore
La tortora-amore
In lirico deliquio
Ascolta il canto dei monti dell'amore
Il vero canto della volontà dell'amore
Il sommesso canto delle pianure dell'amore
Troppo dolce canto di dolore
Nei vicoli della notte
Dove sta amore
Qui giace amore
La tortora-amore
Dove sta amore
Qui giace amore
********
Dove sta amore
Where lies love
Dove sta amore
Here lies love
The ring dove love
In lyrical delight
Hear love's hillsong
Love's true willsong
Love's low plainsong
To sweet painsong
In passages of night
Dove sta amore
Here lies love
The ring dove love
Dove sta amore
Here lies love
(A Coney Island of the mind)

mercoledì 13 febbraio 2013

Mercoledì delle Ceneri II di Thomas Stearns Eliot

Alphons Mucha*1920
II
Signora, tre leopardi bianchi sedevano sotto un
ginepro
Nella frescura del giorno, nutriti a sazietà
Delle, mie braccia e del mio cuore e del mio fegato e
di quanto
Era stato contenuto nel foro rotondo del mio cranio.
E Dio disse
Vivranno queste ossa? vivranno
Queste ossa? E tutto quanto era stato contenuto
Nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo:
Per la bontà di questa Signora
E per la sua grazia, e perché
Ella onora la Vergine in meditazione,
Noi risplendiamo con tanta lucentezza. E io che sono
Qui dismembrato offro all'oblìo le mie gesta, e il mio
amore
Alla posterità del deserto e al frutto della zucca.
E' questo che ristora
Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le porzioni
indigeste
Che i leopardi rifiutano. La Signora si è ritirata
In una bianca veste, alla contemplazione, in una bianca
veste.
Che la bianchezza dell'ossa espii fino all'oblìo.
In esse non c'è vita. E come io sono dimenticato e vorrei
essere
Dimenticato, così vorrei dimenticare
Consacrato in tal modo, ben saldo nel proposito. E
Dio disse
Profetizza al vento, al vento solo perché
Il vento solo darà ascolto. E le ossa cantarono
stridendo
Col ritornello della cavalletta, dicendo
Signora dei silenzi
Quieta e affranta
Consunta e più integra
Rosa della memoria
Rosa della dimenticanza
Esausta e feconda
Stanca che dai riposo
La Rosa unica
Ora è il giardino
Dove ogni amore finisce
Finito il tormento
Dell'amore insoddisfatto
Il più grande tormento
Dell'amore soddisfatto
Fine dell'infinito
Viaggio verso il nulla
Conclusione di tutto ciò
Che non può essere concluso
Linguaggio senza parola
E parola di nessun linguaggio
Grazia alla Madre
Per il Giardino
Dove tutto l'amore finisce.
Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti
Noi siamo liete d'essere disperse, poco bene facemmo
l'una all'altra,
Nella frescura del giorno sotto un albero, con la
benedizione della sabbia,
Dimenticando noi stesse e l'un l'altra, unite
Nella serenità del deserto. Questa è la terra che voi
Spartirete. E né divisione né unione
Hanno importanza. Questa è la terra. Ecco, abbiamo
la nostra eredità.
*******************
Lady, three white leopards sat under a juniper-tree
In the cool of the day, having fed to satiety
On my legs my heart my liver and that which had
been contained
In the hollow round of my skull. And God said
Shall these bones live? shall these
Bones live? And that which had been contained
In the bones (which were already dry) said chirping:
Because of the goodness of this Lady
And because of her loveliness, and because
She honours the Virgin in meditation,
We shine with brightness. And I who am here
dissembled
Proffer my deeds to oblivion, and my love
To the posterity of the desert and the fruit of the gourd.
It is this which recovers
My guts the strings of my eyes and the indigestible
portions
Which the leopards reject. The Lady is withdrawn
In a white gown, to contemplation, in a white gown.
Let the whiteness of bones atone to forgetfulness.
There is no life in them. As I am forgotten
And would be forgotten, so I would forget
Thus devoted, concentrated in purpose. And God said
Prophesy to the wind, to the wind only for only
The wind will listen. And the bones sang chirping
With the burden of the grasshopper, saying
Lady of silences
Calm and distressed
Torn and most whole
Rose of memory
Rose of forgetfulness
Exhausted and life-giving
Worried reposeful
The single Rose
Is now the Garden
Where all loves end
Terminate torment
Of love unsatisfied
The greater torment
Of love satisfied
End of the endless
Journey to no end
Conclusion of all that
Is inconclusible
Speech without word and
Word of no speech
Grace to the Mother
For the Garden
Where all love ends.
Under a juniper-tree the bones sang, scattered and
shining
We are glad to be scattered, we did little good to each
other,
Under a tree in the cool of the day, with the blessing
of sand,
Forgetting themselves and each other, united
In the quiet of the desert. This is the land which ye
Shall divide by lot. And neither division nor unity
Matters. This is the land. We have our inheritance.

martedì 12 febbraio 2013

Un ballo in maschera di Attilio Bertolucci

Elena Schlegel*2011
                 a Giorgio Cusatelli che guardava dalla
                             finestra distraendosi dallo “Stiffelio”

Chi con cembali e timpani chi con risa e gridi
con parrucche scivolanti in avanti sugli occhi allegri
così anima il lungofiume stipato di neve poi
che l’ultima sera di carnevale ruotando s’accosta
alle dodici e arde sui quadranti rivolti
al cittadino un invito ruffiano o un ammonimento?
Ma non sono clown questi che hanno graziosamente
trasformato in teatro la pensilina delle foresi
dormienti ora e ancora altre ore prima
dell’amaro mercoledì che è domani in rimesse
e parcheggi provinciali dislocati a monte
e valle ben lontano da qui dove un torneo lento
di macchine sfila procede e si perde
per ricomparire luci versando a fiotti
sulle instancabili provocatrici e loro
stivali maculati di bianco corpetti
in cui l’oro rilega pelo d’agnello
madido di un inverno ormai al suo termine
irreparabile...
I travestiti di Parma erano un tempo commessi
scolari sarti garzoni di barberìa
in doppio apprendistato sotto maestri esperti
nelle due arti e anche non sempre in bel canto
col gusto di tradire il genio del luogo se è
Cremonini a chiamare con tanta dolcezza
l’animale gentile e canoro strumento
ambiguo di voluttà alla mente convulsa...
Vengono e vengono da città vicine
alla petite capitale d’autrefois che suoi cittadini
empi e rozzi non vogliono ducale per inserirla
nel dialogo nell’abbraccio mortale America Russia
sotto il segno intrecciato della pop art e della
democrazia progressiva.
Ma s’accostino prudenti che potrebbero sembrare
clienti timidi o voyeurs moralisti e venire
irrisi o colpiti da palle di neve infallibili
e riconoscano in queste feste di Parma
in questi costumi fantasiosi e impudenti
la linea serpentina locale ripresa
con inaudito sprezzo del pericolo
da figli del popolo e dei borghi malsani
fioriti di sorelle dalle dolci gambe cui
rubare atteggiamenti e fondi tinta
per la necessità di essere innanzitutto colpevoli.
Ha ripreso a nevicare i forestieri se ne vanno
felpati i rimasti non demordono
inventano mimiche accordate
all’infinita discesa di farfalle dal cielo.

lunedì 11 febbraio 2013

Monologhetto (parte I) di Giuseppe Ungaretti

Gene Pressler*Carmencita
Sotto le scorze, e come per un vuoto,
Di già gli umori si risentono,
Si snodano, delirando di gemme:
Conturbato, l'inverno nel suo sonno,
Motivo dando d'essere
Corto al Febbraio, e lunatico,
Più non è, nel segreto, squallido;
Come di sopra a un biblico disastro,
Nelle apparenze, il velario si leva
Lungo un lido, che da quell'attimo
Si scruta per ripopolarsi:
Di tanto in tanto riemergenti brusche
Si susseguono torri;
Erra, di nuovo in cerca d'Ararat,
Con solitudini salpata l'arca;
Ai colombai risale l'imbianchino.
Sopra i ceppi del roveto dimoia
Per la Maremma
E
Qua e là spargersi s'ode,
Di volatili in cova,
Bisbigli, pigolii;
Da Foggia la vettura
A Lucera correndo
Con i suoi fari inquieta
I redi negli stabbi;
Dentro i monti còrsi, a Vivario,
Uomini intorno al caldo a veglia
Chiusi sotto il lume a petrolio nella stanza,
Con i bianchi barboni sparsi
Sulle mani poggiate sui bastoni,
Morsicando lenti la pipa
Ors'Antone che canta ascoltano,
Accompagnato dal sussurro della rivergola
Vibrante di tra i denti
Del ragazzo Ghiuvanni:
Tantu lieta è la sua sorte
Quantu torbida è la mia.
Di fuori infittisce uno scalpiccìo
Frammischiato a urla e gorgoglio
Di suini che portano a scannare, scannano,
Principiando domani Carnevale,
E con immoto vento ancora nevica.
Lasciate dietro tre pievi minuscole
Sul pendio scaglionate
Con i tetti rossi di tegole
Le case più recenti
E,
Coperte di lavagna,
Le più vecchie quasi invisibili
Nella confusione dell'alba,
L'aromatica selva
Di Vizzavona si attraversa
Senza mai scorgerne dai finestrini
I larici se non ai tronchi,
E per brandelli,
E
Da Levante si passa poi dei monti,
E l'autista anche a voce il serpeggìo:
Sulìa, umbrìa, umbrìa,
Segue, se lo ripete
E o a Levante o a Ponente, sempre sui monti,
Torna il nodo a alternarsi e, peggio,
La clausura distesa:
Non ne dovrà la noia mai finire?
E,
A più di mille metri
D'Altezza, la macchina infila
Una strada ottenuta nel costone,
Stretta, ghiacciata,
Sporta sul baratro.
Il cielo è un cielo di zaffiro
E ha quel colore lucido
Che di questo mese gli spetta,
Colore di Febbraio,
Colore si speranza.
Giù, giù, arriva fino
A Ajaccio, un tale cielo,
Che intirizzisce, ma non perchè freddo,
Perchè è sibillino;
Giù, arriva giù, un tale
Cielo, fino a attorniare un mare buio
Che nelle viscere si soffoca
Il mugghiare continuo,
E incede il Neptunia.
A Pernambuco attracca
E,
Tra le barchette in dondolo,
E titubanti chiattole
Sul lustro elastico dell'acqua,
Nel breve porto impone, nero,
L'ingombro svelto del suo netto taglio.
Ovunque, per la scala della nave,
Per le strade gremite,
Sui predellini del tramvai,
Non c'è più nulla che non balli,
Sia cosa, sia bestia, sia gente,
Giorno e notte, e notte
E giorno essendo Carnevale.
Ma meglio di notte si balla,
Quando, uggiosi alle tenebre,
Dalla girandola dei fuochi, fiori,
Complici della notte,
Moltiplicandone gli equivoci,
Tra cielo e terra grandinano
Screziando la marina livida.
Si soffoca dal caldo:
L'equatore è a due passi.
Non penò poco l'Europeo a assuefarsi
Alle stagioni alla rovescia,
E, più che mai, facendosi
Il suo sangue meticcio:
Non è Febbraio il mese degli innesti?
E ancora più penò,
Il suo sangue, facendosi mulatto
Nel maledetto aggiogamento
D'anime umane a lavoro di schiavi;
Ma, nella terra australe,
Giunse alla fine a mettere a un solleone,
La propria più inattesa maschera.
Non smetterà più di sedurre
Questo Febbraio falso
E,
Fradici di sudore e lezzo,
Stralunati si balli senza posa
Cantando di continuo raucamente,
Con l'ossessiva ingenuità qui d'uso:
Ironia, ironia
Era sò o que dizia.
..........................................

domenica 10 febbraio 2013

Carnevale a Prato di Giorgio Orelli

Mari Jane Ansell
E' questa la Domenica Disfatta,
senza un grido nè un volo dagli strani
squarci del cielo.
                                Ma le lepri
sui prati nevicati sono corse
invisibili, restano dell'orgia
silenziosa i discreti disegni.
I ragazzi nascosti nei vecchi
che hanno teste pesanti e lievi gobbe
entrano taciturni nelle case
dopocena; salutano con gesti
rassegnati.
                     Li seguo di lontano,
mentre affondano dolci nella neve.

sabato 9 febbraio 2013

Er Carnovale smascherato di Giuseppe Gioachino Belli

Thomas Couture*1857
Nonna, a li tempi ch’èrimo frittura
e jje sfilamio la conocchia e ’r fuso,
se schiaffava una mmaschera, e cco st’uso
sce fasceva stà bboni e avé ppavura.
Me capischi? È ll’età cquella che scuso:
cos’ha da fà una povera cratura
cuanno sta sgangherata prelatura
nun pò vvéde le mmaschere sur muso?
Leva cuer po’ de mmaschere, che rresta
der Carnovale? un torzo lisscesbrisscio,
un urinale che nnun abbi vesta.
Ma sti cazzacci cqui ppieni de pisscio
ar Papa j’arivòrteno la testa
come fussi una bboccia ar gioco-lisscio.
Roma, 13 gennaio 1833
(Sonetti romaneschi)
Trad.
Erimo frittura=Eravamo fanciullaglia: come pescetti da friggere.
Sfilamio=Sfilavamo.
Schiaffare:=mettere vivamente (brusquement).
Sce=Ci.
Vvède=Vedere.
Lisscesbrisscio=nudo
J’arivòrteno=Rivoltano.
Gioco-lisscio=Terreno battuto e chiuso da sponde in parallelogrammo, per giuocarvi alle bocce. (Note del Belli)

venerdì 8 febbraio 2013

La maschera di Ludovico Savioli

Pietro Rotari
A che lo sguardo immobile
Nella parete hai fiso,
E sulle braccia appoggiasi
Languente il caro viso?
Godi, se sai, che t’aprono
L’aspetto, e gli anni il campo.
Ahi! le bellezze passano;
La gioventute è un lampo.
Ecco il figliuol di Semele
Torna dall’Inde arene:
I giochi l’accompagnano;
Risplendono le scene.
Festeggia a gara il popolo
Dell’ebbro Dio sull’orme:
Le vesti ora si cangiano,
E i volti in mille forme.
Di queste una sull’Adria
Dall’indolenza nacque:
Di libertà lo studio
Vi si conobbe, e piacque.
Così velate e pallide,
In neri manti avvolte,
Per l’aria bruna appajono
Le afflitte ombre insepolte.
Tu no. Le Grazie tacciano
Sulla celata faccia;
Ma fra le vesti incognite
La tua sembianza piaccia.
O Flora imita, e adornino
Le rose a te la fronte;
O la regina fingasi,
Che nacque al Termodonte.
A stragi usata Amazone
Sul Simoenta venne.
Incauta! a che le valsero
Le grida e la bipenne?
Giacque costretta a mordere
La mal soccorsa terra.
Tu vanne inerme, e supera
In più leggiadra guerra.
Di nuove spoglie accrescere
I tuoi trionfi io veda,
Io nelle tue vittorie
La più gradita preda.
Mille a te Silfi accorrono
In sulle lucid’ali,
Diva progenie, aerea,
Che sfugge occhi mortali.
Ne’ più remoti secoli
Giacque ozíosa e oscura;
Oggi del sesso amabile
Commessa è a lor la cura.
Gelosi custodiscono
I nei, l’acque odorate,
I vari fior, le polveri,
Le gemme, e l’onestate.
Come vegliaro intrepidi
La minacciata inglese?
Ma il fato è sopra: inutile
Pietà sì bella ei rese.
Scendea sul collo eburneo
Parte del crine aurato,
Per mano delle Veneri
Ad arte inanellato.
Questo all’altera vergine
Degli occhi suoi più caro,
Cadde improvvisa vittima
D’insidíoso acciaro.
Ma sorgi omai. S’involano
L’ore, e la notte avanza:
Vuoti i teatri affrettano
La sospirata danza.
Tu pensierosa or dubiti,
Gemi, e non hai parole;
Poi ti dorrà che rapido
Turbi le veglie il Sole.
(Amori*1795)

giovedì 7 febbraio 2013

Er festino de ggiuveddí ggrasso di Giuseppe Gioachino Belli

Ángel Zárraga y Argüelles*La mujer y el pelele*1909
Tra ttante secchità, ttra ttanti ggeli,
essenno nescessario un po’ de callo,
ggiuveddí a ssera sc’è un festin de bballo
drento a la frateria de la Resceli.
Dove stroppieno in Coro li Vangeli,
fra Ffottivento e ’r Padre Bbuggiarallo
accoppieranno una gallina e un gallo
tra li frati pelosi e ssenza peli.
Accoppiati un patrasso e un fratiscello,
s’uprirà a ssòno d’orgheni er festino
co la lavannarina e ’r sartarello.
Se bballerà ttutta la notte, inzino
ch’er Generale a ssòn de campanello
rifarà ttutti maschi a mmatutino.
1833
Trad:
In tanta siccità, tra tanto gelo, essendo necessario un pò di caldo,
giovedì sera c'è un festino da ballo dentro il Convento di S. Maria
in Ara-Coeli degli zoccolanti, sul Campidoglio, dov'era il tempio
di Giove Capitolino. Lavanderina e saltarello due specie di balli popolari.
Stroppieno=storpiano.  Ffottivento ect.=soprannomi scherzosi. Fra frati barbuti e glabri
cioè giovani e maturi. Patrasso=Padre graduato. A mmattutino=Per la preghiera 
del mattino. (Note del Belli)

mercoledì 6 febbraio 2013

Si specchiano alcuni in sguardi affettuosi di Anna Achmatova

Federico Beltran Masses*Hora azul
Si specchiano alcuni in sguardi affettuosi,
Bevono altri fino ai raggi del dì,
Ma io sto con la mia coscienza indomabile
Tutta la notte conduco trattative.
Le dico: " Porto il tuo fardello,
Sì grave, tu sai da quanti anni".
Ma per essa il tempo non esiste,
E al mondo per essa non c'è spazio.
E di nuovo la nera sera di carnevale,
Il parco sinistro, il trotto indolente del cavallo.
E il vento colmo di felicità e gaiezza
Dall'erte celesti volato su me.
E mi sovrasta tranquillo e bicorne
Un testimone...O laggiù, laggiù
Per l'antico viale del capriccio
Dove sono i cigni e acqua morta.
1936
(Il giunco)

martedì 5 febbraio 2013

Lo specchio d'un istante di Paul Éluard

Edward Hopper*Soir bleu*1914
Dissipa la luce,
Mostra agli uomini le immagini slegate dell'apparenza,
Fa che gli uomini non possano distrarsi.
È duro come il sasso,
Il sasso informe,
Il sasso del moto e della vista
E tanto splende che falsa ogni maschera, ogni armatura.
Ciò che la mano ha preso sdegna persino di prender la 
                                               forma della mano,
Ciò che è stato capito più non esiste,
L'uccello s'è confuso col vento,
Il cielo con la sua verità,
L'uomo con la sua realtà.
***************
Le miroir d'un moment
Il dissipe le jour,
Il montre aux hommes les images déliées de l'apparence,
Il enlève aux hommes la possibilité de se distraire.
Il est dur comme la pierre,
La pierre informe,
La pierre du mouvement et de la vue,
Et son éclat est tel que toutes les armures, tous les masques 
                                                         en sont faussés.
Ce que la main a pris dédaigne même de prendre la forme 
                                                                de la main,
Ce qui a été compris n'existe plus,
L'oiseau s'est confondu avec le vent,
Le ciel avec sa vérité,
L'homme avec sa réalité.
(Trad. Franco Fortini)

lunedì 4 febbraio 2013

La canzone del carceriere di Jacques Prevert

Jules Cheret
Dove vai bel carceriere
Con quella chiave macchiata di sangue
Vado a liberare la mia amata
Se sono ancora in tempo
L'avevo chiusa dentro
Teneramente crudelmente
Nella cella del mio desiderio
Nel più profondo del mio tormento
Nelle menzogne dell'avvenire
Nelle sciocchezze del giuramento
Voglio liberarla
Voglio che sia libera
E anche di dimenticarmi
E anche di lasciarmi
E anche di tornare
E di amarmi ancora
O di amare un altro
Se un giorno le va a genio
E se resto solo
E lei sarà andata via
Io serberò soltanto
Serberò tuttavia
Nel cavo delle mani
Fino alle ultime mie ore
La dolcezza dei suoi seni plasmati dall'amore.
*****************
Chanson du geôlier
Où vas-tu beau geôlier
Avec cette clé tachée de sang
Je vais délivrer celle que j'aime
S'il en est encore temps
Et que j'ai enfermée
Tendrement cruellement
Au plus secret de mon désir
Au plus profond de mon tourment
Dans les mensonges de l'avenir
Dans les bêtises des serments
Je veux la délivrer
Je veux qu'elle soit libre
Et même de m'oublier
Et même de s'en aller
Et même de revenir
Et encore de m'aimer
Ou d'en aimer un autre
Si un autre lui plaît
Et si je reste seul
Et elle en allée
Je garderai seulement
Je garderai toujours
Dans mes deux mains en creux
Jusqu'à la fin des jours
La douceur de ses seins modelés par l'amour.
(In ricordo di Jacques Prevert nato il 4 febbraio 1900)

domenica 3 febbraio 2013

Di febbraio di Cenne da la Chitarra

Elizabeth Sonrel
Di febbraio vi metto in valle ghiaccia
con orsi grandi vecchi montanari,
e voi cacciando con rotti calzari;
la nieve metta sempre e si disfaccia;
e quel che piace a l’uno a l’altro spiaccia:
con fanti ben ritrosi e bacalari;
tornando poi la sera ad osti cari,
lor moglie tesser tele ed ordir accia.
E ’n questo vo’ che siate senza manti,
con vin di pome, che stomaco affina;
in tal’ alberghi gran sospiri e pianti,
tremuoti, venti; e no sia con ruina,
ma sian sì forti, che ciascun si smanti
da prima sera enfino la mattina.

sabato 2 febbraio 2013

Canzone dell'angelo senza fortuna di Rafael Alberti

Abbott Anderson Thayer*1889
Tu sei ciò che se ne va:
acqua che mi porta,
che mi lascerà.
Cercatemi nell'onda.
Ciò che va e non torna:
vento che nell'ombra
si spegne e s'accende.
Cercatemi nella neve.
Ciò che nessuno sa:
banco mobile
che non parla con nessuno.
Cercatemi nell'aria.
*************
Canción de àngel sin suerte 
Tù eres lo que va:
agua que me lleva,
que me dejarà.
Buscadme en la ola.
Lo que va y no vuelve:
viento que en la sombra
se apaga y se enciende.
Buscadme en la nieve.
Lo que nadie sabe:
tierra movediza
que no habla con nadie.
Buscadme en el aire.
(Traduzione di Vittorio Bodini)
de "Sobre los àngeles"* 1927-1928

venerdì 1 febbraio 2013

Epitaffio di Wisława Szymborska

Mikhail Aleksandrovitch Vrubel
Qui giace come virgola antiquata
l'autrice di qualche poesia. La terra l'ha degnata
dell'eterno riposo, sebbene la defunta
dai gruppi letterari stesse ben distante. 
E anche sulla tomba di meglio non c'è niente
di queste poche rime, d'un gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,
e sulla sorte di Szymborska medita un istante.
(Sale)
*******************
NAGROBEK
Tu leży staroświecka jak przecinek
autorka paru wierszy. Wieczny odpoczynek
raczyła dać jej ziemia, pomimo że trup
nie należał do żadnej z literackich grup.
Ale też nic lepszego nie ma na mogile
oprócz tej rymowanki, łopianu i sowy.
Przechodniu, wyjmij z teczki mózg elektronowy
i nad losem Szymborskiej podumaj przez chwilę.
(Sòl)
(Wisława ci ha lasciati da un anno....)