Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

venerdì 31 agosto 2012

Nel tempo dei narcisi di E.E. Cummings

Lee Lufkin Kaula
Nel tempo dei narcisi ( che sanno
che lo scopo di vivere è crescere)
dimenticando il perchè, ricorda come
nel tempo dei lillà che proclamano
che il fine della veglia è sognare,
ricordalo (mostra di dimenticare)
nel tempo delle rose (che ci meravigliano
qui ed ora col paradiso)
dimenticando il se, ricorda il sì
nel tempo d'ogni cosa dolce oltre
tutto quanto la mente può comprendere
ricorda cerca (dimenticando trova)
e in un mistero a venire 
(quando il tempo dal tempo ci salverà)
tu ricordati di me, dimenticandomi. 
*******************
In time of daffodils 
in time of daffodils (who Know
the goal of living is to grow)
forgetting why, remember how
in time of lilacs who proclaim
the aim of waking is to dream,
remember so (forgetting seem)
in time of roses (who amaze
our now and here with paradise)
forgetting if, remember yes
in time of all sweet things beyond
whatever mind may comprehend,
remember seek (forgetting find)
and in a mistery to be
(when time from time shall set us free)
forgetting me, remember me. 

giovedì 30 agosto 2012

Conosco delle barche di Jacques Brel

John William Waterhouse*Miranda
Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po'
sulle rotte dell'oceano ove le porta il loro gioco.
Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.
Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
************************
Je connais des bateaux qui restent dans le port
de peur que les courants les entraînent trop fort.
Je connais des bateaux qui rouillent dans le port
à ne jamais risquer une voile au dehors.
Je connais des bateaux qui oublient de partir.
Ils ont peur de la mer à force de vieillir,
Et les vagues, jamais, ne les ont séparés,
Leur vovage est fini avant de commencer.
Je connais des bateaux tellement enchaînés
Qu'ils en ont désappris comment se regarder,
je connais des bateaux qui restent à clapoter
Pour être vraiment surs de ne pas se quitter.
Je connais des bateaux qui s'en vont deux par deux
Affronter le gros temps quand l'orage est sur eux,
je connais des bateaux qui s'égratignent un peu
Sur les routes océanes où les mènent leurs jeux.
Je connais des bateaux qui n'ont jamais fini
De s'épouser encore chaque jour de leur vie,
Et qui ne craignent pas, parfois, de s'éloigner
L'un de l'autre un moment pour mieux se retrouver.
Je connais des bateaux qui reviennent au port
Labourés de partout mais plus graves et plus forts,
je connais des bateaux étrangement pareils
Quand ils ont partagé des années de soleil.
Je connais des bateaux qui reviennent d'amour
Quand ils ont navigué jusqu'à leur dernier jour,
Sans jamais replier leurs ailes de géants
Parce qu'ils ont le coeur à taille d'océan.

mercoledì 29 agosto 2012

Uve di mare di Derek Walcott

Sir Lawrence Alma Tadema*Expectations
Quella vela che s’appoggia alla luce,
stanca delle isole,
una goletta che percorre i Caraibi
verso casa, potrebbe essere Odisseo,
diretto a casa sull’Egeo;
quella brama di marito
e padre, sotto acini aspri e raggrinziti,
è come l’adultero che sente il nome di Nausicaa
in ogni grido di gabbiano.
Questo non porta pace a nessuno. L’antica guerra
fra ossessione e responsabilità
non finirà mai ed è stata la stessa
per il navigante o per chi è a terra
e ora calza i sandali per incamminarsi verso casa,
da che Troia emise la sua ultima fiamma,
e il masso del gigante cieco sollevò la marea
dalla cui onda lunga i grandi esametri arrivano
alle conclusioni della risacca esausta.
I classici consolano. Ma non abbastanza.

martedì 28 agosto 2012

Sii felice ora di Madre Teresa di Calcutta

Olga Suvorova*Two cats
“Non aspettare di finire l’università,
di innamorarti,
di trovare lavoro,
di sposarti,
di avere figli,
di vederli sistemati,
di perdere quei dieci chili,
che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina,
la primavera,
l’estate,
l’autunno o l’inverno.
Non c’è momento migliore di questo per essere felice.
La felicità è un percorso, non una destinazione.
Lavora come se non avessi bisogno di denaro,
ama come se non ti avessero mai ferito
e balla, come se non ti vedesse nessuno.
Ricordati che la pelle avvizzisce,
i capelli diventano bianchi e i giorni diventano anni.
Ma l’importante non cambia:
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è il piumino che tira via qualsiasi ragnatela.
Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza.
Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida.
Finché sei vivo, sentiti vivo.
Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere.”

lunedì 27 agosto 2012

Intersezione di Philip Lamantia

Mc Ginnis
1
Non più a perlustrare isole colme di manghi
non più colombe che spiccano il volo dalle mie dita
non più la prima onda
iridescente
sulla pietra bianca
che lancia
luce alla scogliera nera
Non più il fascio di stelle a rasoio
sulla faccia del giorno
tornato dalla notte
non più
sonno nautico che mi fa galleggiare sul sanguinante richiamo di colombe
che soccombono al miasma, la vista del delitto avvolge il giorno
sotto sembianze di amore
2
Uno sguardo antico mi segue per la città:
sguardo di lama e di venti autunnali
uno sguardo che tradisce la sua provenienza dalla pozza
ai miei piedi
i pesci rastrellano l’acqua e la trasformano in fuoco
È inutile chiedere chi ci sia dietro a questi occhi
nella neve incastonati come stelle
o dare nome alle creature che vengono alla luce
dall’esplosione dell’iride
Una cena di ferro e mercurio
apparecchiata su una tavola di acqua verde
e divorata da cucchiai, forchette e coltelli!
Seguo le luci di un ponte dondolante
e quel vecchio sguardo emerge dalla baia
allo scoppiettar dell’alba
Notte che non arriva, trattenuta
dagli aghi e dagli spilli dal sole versati
uno sguardo antico di vincoli sciolti,
di agnelli alla volontà degli innocenti sacrificati –
Questo sguardo sul ponte inattraversabile –
un occhio si chiude sulla ruvida superficie –
Se avesse potere esigerei espiazione
Se parlasse gli risponderei
Se avesse corpo ci farei a botte!
3
Penso allora
una catena di parole
infranta dalla caduta di un pugno di parole
Penso degli imbuti verdi di luce
che setacciano acque bianche
che s’innalzano in un volo blu
tagliando un petto di miele per liberare l’aria
Ecco
toglimi il respiro
da tutte le città non viste
dai piaceri fugaci mai notati
dalla camera senza porte che stento a lasciare
scambia il mio respiro per il tuo
In una camera segreta sogno
l’occhio del padre che si chiude
l’occhio della madre che si chiude
l’occhio della figlia
aperto
Guardano verso il sole invernale
che dorata scogliera verso le nuvole solleva
Penso una qualche droga impossibile
portata in volo da una mano non una mano
ma una lingua
non una lingua
ma una frusta
non una frusta ma una tazza!
Penso
di passare per una strada
troppo lunga alla vista
ma non stretta quanto basta a sfuggire all’occhio
la mia casa tra i giunti del selciato!
18 esseri e L’Altro
si abbinano per costruire una dimora a Dio
e la luce della quale non esistono parti
disintegra i messaggeri dell’inferno
che gridano fesserie in faccia alla luce.
Nell’uomo esiste in segreto Quello che
farà innalzare le acque
fino a sommergere tutto
e scatenerà un gran Vento
per sfruttare le acque
ed Egli, o Quello che, è pieno di luce che da lui si diffonde
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
INTERSECTION
1
No longer scouring mangoed islands
no longer doves flown from my fingers
no longer the first wave
rainbowed
over the white stone
flinging
light to the black reef
No longer the razor from a sheaf of stars
over the face of day
come back from night
no longer
nautical sleep to float me by the blood cry of doves
on miasma, the sight of crime envelopes day
under cover of love
2
An old look follows me through the town:
a look of daggers and autumn winds
a look that betrays where it came from in the pool
at my feet
fish comb water and change it into fire
It’s useless to ask who’s behind these eyes
set like stars in snow
or name the creatures coming alive
out of the exploding iris
A supper of iron and mercury
is spread out on a table of green water
and the knives, forks and spoons devour it!
I follow the light of a swayed bridge
and that old look’s thrown up from the bay
at the sputter of dawn
Night does not come, held back
by pins and needles spilt from the sun
- an old look of ties undone,
of lambs martyred by the will of the innocent—
This look on the uncrossable bridge –
an eye closes on a rough surface –
if it had power I’d demand atonement
if it spoke I’d speak back
if it were a body I’d wrestle with it!
3
I’m thinking then
a chain of words
breaking at the fistfall of words
I’m thinking green funnel of light
sifting white water
flown in blue
that cut a breast of honey to free the air
Here
take my breath
out of all cities I haven’t seen
from quick pleasures I haven’t noticed
from a room without doors I wouldn’t want to leave
Take my breath for your breath
In a secret room I dream
the eye of the father closing
the eye of the mother closing
the eye of the daughter
opened
they look into the winter sun
that lifted a golden reef into the clouds
I’m thinking some impossible drug
flown by a hand not a hand
but a tongue
not a tongue
but a whip
not a whip but a cup!
I’m thinking
going down the street
too long to be seen
not wide enough to be missed
my house in the cracks of the pavement!
18 beings and The Other
combine to make a residence for God
and the light of which there are no parts
disintegrates hell messengers
screaming bullshit in the face of the light.
In man there exists secretly The One
who shall raise the water
to cover everything
and raise the great Wind
to harness the water
and he, who is the one, is full of light going out of him.
(Trad. Pina Piccolo)

domenica 26 agosto 2012

Soffia nel vento di Bob Dylan

Mary Alayne Thomas*Wind poppies
Quante strade deve percorrere un uomo
prima che lo si possa chiamare uomo?
Sì, e quanti mari deve sorvolare una bianca colomba
prima che possa riposare nella sabbia?
Sì, e quante volte le palle di cannone dovranno volare
prima che siano per sempre bandite?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
Quante volte un uomo deve guardare verso l'alto
prima che riesca a vedere il cielo?
Sì, e quante orecchie deve avere un uomo
prima che possa ascoltare la gente piangere?
Sì, e quante morti ci vorranno perchè egli sappia
che troppe persone sono morte?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
Quanti anni può esistere una montagna
prima di essere spazzata fino al mare?
Sì, e quanti anni la gente deve vivere
prima che possa essere finalmente libera?
Sì, e quante volte un uomo può voltare la testa
fingendo di non vedere?
La risposta, amico, sta soffiando nel vento
*********************
Blowin In The Wind
How many roads must a man walk down
before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind.
How many times must a man look up
before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
that too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind.
How many years can a mountain exist
before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind.

sabato 25 agosto 2012

Certi giorni di Billy Collins

Giorgio De Chirico*Le Muse in villeggiatura*1927
Certi giorni
metto la gente
al loro posto a tavola,
piego loro le gambe alle ginocchia,
se le ginocchia sono snodate,
li sistemo nelle loro sedie di legno piccoline.
Tutto il pomeriggio si guardano fisso
l’uomo col vestito marrone,
la donna col vestito blu,
perfettamente immobili,
perfettamente composti.
Ma in altri giorni sono io quello
che viene preso per le costole
e sistemato nel soggiorno di una casa delle bambole
a sedere insieme agli altri al tavolo da pranzo.
Molto divertente,
ma a te piacerebbe
non sapere se il giorno dopo
lo passerai camminando a grandi passi, come un dio vigoroso
con le spalle tra le nuvole,
o seduto laggiù tra la carta da parati
a fissare dritto avanti a te
con la tua piccola faccia di plastica?
******************
Some days
Some days
I put the people in their places at the table
Bend their legs at the knees
If they come with that feature
And fix them into the tiny wooden chairs
All afternoon
They face one another
The man in the brown suit
The woman in the blue dress
Perfectly motionless
Perfectly behaved
But other days
I am the one who is lifted up by the ribs
Then lowered
Into the dining room of a doll house
To sit with the others at the long table
Very funny
But how would you like it
If you never knew from one day to the next
If you were going to spend it
Striding around Like a vivid god
Your shoulders in the clouds
Or
Sitting down there, amidst the wallpaper
Staring straight ahead
With your little plastic face?

venerdì 24 agosto 2012

Agosto di Raymond Carver

John Sherrin*Agosto
In sei mesi 
non ho letto un libro
a parte una cosa intitolata La ritirata da Mosca
di Caulaincourt.
Comunque sono contento.
Vado in macchina con mio fratello,
beviamo una pinta di Old Crow.
Non abbiamo in mente nessuna meta,
andiamo e basta.
Chiudessi gli occhi per un minuto
Ecco, sarei perduto, ma
potrei stendermi e dormire per sempre
sul ciglio della strada.
Mio fratello mi dà di gomito.
Tra un minuto, chissà, accadrà qualcosa.

giovedì 23 agosto 2012

Notte di Sine di Léopold Sédar Senghor

Esther Erlich*Twinkle Twinkle
Donna, posa sulla mia fronte le tue mani balsamiche,
le tue mani più morbide della pelliccia.
In alto le palme oscillano, stormiscono appena nell'alta brezza
notturna. Non s'ode neppure il canto della nutrice.
Ci culli il silenzio ritmato.
Ascoltiamo il suo canto, ascoltiamo battere il nostro sangue oscuro, ascoltiamo
battere il polso profondo dell'Africa nella bruma dei villaggi perduti.
Ecco, declina la luna stanca verso il suo letto di mare disteso
Ecco che si assopiscono gli scoppi di riso, che gli stessi narratori
ciondolano il capo come bimbo sul dorso della madre
Ecco che i piedi dei danzatori si appesantiscono, si fa pesante la lingua dei cori alternati.
E' l'ora delle stelle e della Notte che sogna
Si appoggia a questa collina di nubi, drappeggiata nel suo lungo perizoma di latte.
I tetti delle case luccicano teneramente. Che dicono, così confidenziali, alle stelle?
Dentro il focolare si spegne nell'intimità di odori acri e dolci
Donna, accendi la lampada dall'olio chiaro, perchè parlino intorno gli antenati come i genitori, i bambini nel letto.
Ascoltiamo la voce degli Antichi d'Elissa. Come noi esiliati
non hanno voluto morire, che si perdesse nelle sabbie il loro torrente seminale.
Che io senta, nella casa fumosa visitata da un riflesso di anime amiche
la mia testa sul tuo seno caldo come un dang tratto fumante dal fuoco
che respiri l'odore dei nostri Morti, che raccolga e ripeta la loro viva voce, che apprenda a
vivere prima di discendere, più in là del tuffatore, nelle alte profondità del sonno.
(Chantes d'ombre)

mercoledì 22 agosto 2012

Cartina di Diego Valverde Villena

Margaret Keane
La cartina che mi hai dato 
del tuo cuore
è come quelle cartine turistiche:
tutto il più bello
è vicino
e le strade sono corte
e diafani gli itinerari.
Dopo però
le distanze non corrispondono
ci sono strade non riportate
e i percorsi sono complessi
e intricati.
E si è fatto già molto tardi, perché mi sono addentrato
nella città, e da qui non c’è più
ritorno.
I tuoi occhi guardano molto lontano,
e non mi servono più da riferimento.
Irremissibilmente
mi sono perso.
(trad. Valerio Nardoni)

martedì 21 agosto 2012

Chi vuol conoscer, donne di Gaspara Stampa

Bouguereau*Douleur d'amour
Chi vuol conoscer, donne, il mio signore,
miri un signor di vago e dolce aspetto,
giovane d’anni e vecchio d’intelletto,
imagin de la gloria e del valore:
di pelo biondo, e di vivo colore,
di persona alta e spazioso petto,
e finalmente in ogni opra perfetto,
fuor ch’un poco (oimè lassa!) empio in amore.
E chi vuol poi conoscer me, rimiri
una donna in effetti ed in sembiante
imagin de la morte e de’ martiri,
un albergo di fé salda e costante,
una, che, perché pianga, arda e sospiri,
non fa pietoso il suo crudel amante.
(Rime d'amore VI)

lunedì 20 agosto 2012

In Memoriam di Federico Garcia Lorca

Gustave Dorè*Sogno di una notte di mezza estate
Dolce pioppo,
dolce pioppo,
ti sei rivestito
d'oro.
Ieri eri verde,
un verde pazzo
di superbi
uccelli.
Oggi sei prostrato
sotto il cielo d'agosto
come me sotto il cielo
del mio spirito rosso.
Il profumo prigioniero
del tuo tronco
si accorderà col mio cuore
misericordioso.
Duro antenato del prato!
Noi ci siamo rivestiti
d'oro.
Agosto 1920
************
Dulce chopo,
dulce chopo,
te has puesto
de oro.
Ayer estabas verde,
un verde loco
de pájaros
gloriosos.
Hoy estás abatido
bajo el cielo de agosto
omo yo bajo el cielo
de mi espíritu rojo.
La fragancia cautiva
de tu tronco
vendrá a mi corazón
piadoso.
¡Rudo abuelo del prado!
Nosotros
nos hemos puesto
de oro.
Agosto de 1920

domenica 19 agosto 2012

Ode a Federico Garcia Lorca di Pablo Neruda

Josè Benlliure Y Gil
Se potessi piangere di paura in una casa abbandonata,
se potessi cavarmi gli occhi e mangiarmeli,
lo farei per la tua voce di arancio in lutto
e per la tua poesia che vien fuori gridando.
Perchè per te dipingono di azzurro gli ospedali
e crescono le scuole e i rioni sul mare
e s’infoltiscono di piume gli angeli feriti
e si rivestono di squame i pesci nuziali
e i porcospini volano verso il cielo:
per te le sartorie con le nere membrane
si gremiscono di cucchiai e di sangue
e inghiottono nastri rotti e si uccidono a baci
e vestono di bianco.
Quando voli vestito di pèsca,
quando, ridendo, sembri sconvolto da un turbine,
quando per cantare scuoti le arterie e i denti
e la gola e le dita,
vorrei morire tanto dolce sei,
vorrei morire per i laghi rossi
dove abiti avvolto dall’autunno
con un corsiero caduto e un dio insanguinato,
vorrei morire per i cimiteri
che come fiumi di cenere passano
con acque e tombe,
di notte, le campane affogate:
fiumi gremiti come camerate
di soldati ammalati, che all’improvviso crescono
verso la morte in fiumi con numeri di marmo
e corone marcite e oli funerari:
vorrei morire per vederti di notte
mentre guardi passare le croci annegate,
in piedi e piangendo,
perchè davanti al fiume della morte
piangi ferito e abbandonato,
piangi piangendo, con gli occhi gonfi
di lacrime, di lacrime, di lacrime.
Se potessi di notte, perdutamente solo,
accumulare oblio e ombra e fumo
su ferrovie e vapori,
con un imbuto nero,
mordendo le ceneri,
lo farei per l’albero in cui cresci,
per i nidi d’acque dorate che raccogli
e per il rampicante che ti riveste le ossa
partecipandoti il segreto della notte.
Città con odore di rorida cipolla
attendono che tu passi col tuo canto arrochito
e t’incalzano silenziose navi di sperma
e verdi rondini fanno il nido nei tuoi capelli,
e poi chiocciole e settimane,
alberature avviluppate e ciliege
si muovono per sempre se si affacciano
la tua pallida testa di quindici occhi
e la tua bocca di sangue inabissato.
Se potessi impregnare i municipi di fuliggine,
e coi singhiozzi abbattere orologi,
lo farei per vedere quando a casa tua
giunge l’estate con le labbra rotte,
giunge una folla in abiti morenti,
giungono plaghe di amaro splendore,
giungono morti vomeri e papaveri,
giungono uomini a cavallo e becchini,
giungono astri e mappe insanguinate,
giungono palombari coperti di cenere,
giungono uomini in maschera che trascinano
vergini trafitte da grandi coltelli,
giungono radici, vene, ospedali,
sorgive, formiche,
giunge la notte col letto dove muore
un ussaro tra i ragni solitario,
giunge una rosa di odio e di spilli,
giunge una nave dal colore scialbo,
giunge un giorno di vento con un bimbo,
giungo io con Oliverio, Norah,
Vicente Aleixandre, Delia,
Maruca, Malva Marina, Maria Luisa e Larco,
la Rubia, Rafael, Ugarte,
Cotapos, Rafael Alberti,
Carlos, Bebè, Manolo Altolaguirre,
Molinari,
Rosales, Concha Méndez,
e altri che non rammento.
Vieni perchè t' incoroni, giovane della salute
e della farfalla, giovane puro
come un nero baleno sempre libero,
e conversando tra noi,
ora che non c’è più nessuno tra le rocce,
parliamoci con la nostra solita semplicità:
a cosa servono i versi se non alla rugiada?
A cosa servono i versi se non a quella notte
in cui un pugnale amaro ci esplora, a quel giorno,
a quel crepuscolo, a quel cantuccio offeso
dove il cuore stremato dell’uomo si prepara a morire?
Sopratutto di notte,
di notte vi sono molte stelle,
tutte dentro un fiume
come un nastro di lutto alle finestre
delle case piene di povera gente.
Qualcuno è morto loro, forse
hanno perduto il lavoro negli uffici,
negli ospedali, negli ascensori,
nelle miniere,
soffrono gli uomini costantemente feriti
e dappertutto c’è volere e pianto:
mentre le stelle scorrono in un fiume senza fine,
c’è molto pianto alle finestre,
le soglie sono corrose dal pianto,
le camere sono molli di pianto
che arriva come un’onda a mordere i tappeti.
Federico,
tu vedi il mondo, le strade,
l’aceto,
gli addii nelle stazioni
quando il fumo alza le sue spire decisive
verso un luogo dove trovi soltanto
qualche separazione, ciottoli, strade ferrate.
C’è tanta gente che fa domande
dappertutto:
il cieco sanguinante e l’iracondo e
l’avvilito
e il miserabile, l’albero delle unghie,
il bandito con l’invidia sulle spalle.
Così è la vita, Federico, ecco
le cose che può offrirti la mia amicizia
di malinconico uomo virile.
Anche da solo sai già molte cose
e altre ne saprai un pò alla volta.
******************
Si pudiera llorar de miedo en una casa sola, 
si pudiera sacarme los ojos y comérmelos,
lo haría por tu voz de naranjo enlutado 
y por tu poesía que sale dando gritos. 
Porque por ti pintan de azul los hospitales 
y crecen las escuelas y los barrios marítimos, 
y se pueblan de plumas los ángeles heridos,
y se cubren de escamas los pescados nupciales, 
y van volando al cielo los erizos: 
por ti las sastrerías con sus negras membranas 
se llenan de cucharas y de sangre 
y tragan cintas rotas, y se matan a besos, 
y se visten de blanco. 
Cuando vuelas vestido de durazno, 
cuando ríes con risa de arroz huracanado, 
cuando para cantar sacudes las arterias y los dientes, 
la garganta y los dedos, 
me moriría por lo dulce que eres, 
me moriría por los lagos rojos 
en donde en medio del otoño vives 
con un corcel caído y un dios ensangrentado, 
me moriría por los cementerios 
que como cenicientos ríos pasan 
con agua y tumbas, 
de noche, entre campanas ahogadas: 
ríos espesos como dormitorios 
de soldados enfermos, que de súbito crecen 
hacia la muerte en ríos con números de mármol 
y coronas podridas, y aceites funerales: 
me moriría por verte de noche 
mirar pasar las cruces anegadas, 
de pie llorando, 
porque ante el río de la muerte lloras 
abandonadamente, heridamente, 
lloras llorando, con los ojos llenos 
de lágrimas, de lágrimas, de lágrimas. 
Si pudiera de noche, perdidamente solo, 
acumular olvido y sombra y humo 
sobre ferrocarriles y vapores, 
con un embudo negro, 
mordiendo las cenizas, 
lo haría por el árbol en que creces, 
por los nidos de aguas doradas que reúnes, 
y por la enredadera que te cubre los huesos 
comunicándote el secreto de la noche. 
Ciudades con olor a cebolla mojada 
esperan que tú pases cantando roncamente, 
y silenciosos barcos de esperma te persiguen, 
y golondrinas verdes hacen nido en tu pelo, 
y además caracoles y semanas, 
mástiles enrollados y cerezas 
definitivamente circulan cuando asoman 
tu pálida cabeza de quince ojos 
y tu boca de sangre sumergida. 
Si pudiera llenar de hollín las alcaldías 
y, sollozando, derribar relojes, 
sería para ver cuándo a tu casa 
llega el verano con los labios rotos, 
llegan muchas personas de traje agonizante, 
llegan regiones de triste esplendor, 
llegan arados muertos y amapolas, 
llegan enterradores y jinetes, 
llegan planetas y mapas con sangre, 
llegan buzos cubiertos de ceniza, 
llegan enmascarados arrastrando doncellas 
atravesadas por grandes cuchillos, 
llegan raíces, venas, hospitales, 
manantiales, hormigas, 
llega la noche con la cama en donde 
muere entre las arañas un húsar solitario, 
llega una rosa de odio y alfileres, 
llega una embarcación amarillenta, 
llega un día de viento con un niño,
llego yo con Oliverio, Norah 
Vicente Aleixandre, Delia, 
Maruca, Malva Marina, María Luisa y Larco, 
la Rubia, Rafael Ugarte, 
Cotapos, Rafael Alberti, 
Carlos, Bebé, Manolo Altolaguirre, 
Molinari, 
Rosales, Concha Méndez,
 y otros que se me olvidan. 
Ven a que te corone, joven de la salud 
y de la mariposa, joven puro 
como un negro relámpago perpetuamente libre, 
y conversando entre nosotros, 
ahora, cuando no queda nadie entre las rocas, 
hablemos sencillamente como eres tú y soy yo: 
para qué sirven los versos si no es para el rocío? 
Para qué sirven los versos si no es para esa noche 
en que un puñal amargo nos averigua, para ese día,
para ese crepúsculo, para ese rincón roto 
donde el golpeado corazón del hombre se dispone a morir? 
Sobre todo de noche, 
de noche hay muchas estrellas, 
todas dentro de un río 
como una cinta junto a las ventanas 
de las casas llenas de pobres gentes. 
Alguien se les ha muerto, tal vez 
han perdido sus colocaciones en las oficinas, 
en los hospitales, en los ascensores, 
en las minas, 
sufren los seres tercamente heridos 
y hay propósito y llanto en todas partes: 
mientras las estrellas corren dentro de un río interminable 
hay mucho llanto en las ventanas, 
los umbrales están gastados por el llanto, 
las alcobas están mojadas por el llanto 
que llega en forma de ola a morder las alfombras. 
Federico, 
tú ves el mundo, las calles, 
el vinagre, 
las despedidas en las estaciones 
cuando el humo levanta sus ruedas decisivas
hacia donde no hay nada sino algunas 
separaciones, piedras, vías férreas. 
Hay tantas gentes haciendo preguntas 
por todas partes. 
Hay el ciego sangriento, y el iracundo, y el 
desanimado, 
y el miserable, el árbol de las uñas, 
el bandolero con la envidia a cuestas. 
Así es la vida, Federico, aquí tienes 
las cosas que te puede ofrecer mi amistad 
de melancólico varón varonil. 
Ya sabes por ti mismo muchas cosas, 
y otras irás sabiendo lentamente.
(Federico Garcia Lorca venne ignobilmente assassinato all'alba del 19 agosto
1936, questa Ode gli fu dedicata quando era ancora in vita, ma è dominata dal presentimento   ossessivo di una morte violenta.)

sabato 18 agosto 2012

Sulle Grazie di Pindaro

Albert Joseph Moore*Pomegranates
O della ricca Orcomeno
Reine alme e famose,
Grazie, ridenti Grazie,
Cui le devote spose
De’ prischi Minii offrirono
Trono e votivo altar;
Voi di Cefiso i limpidi
Fonti ed i campi aprici,
Illustre sede e nobile
Di corridor felici,
Dive abitaste; e facili
Scendete al mio pregar.
Dolce e per voi piacevole
Tutto nel mondo apparve;
Chi sapiente e splendido
Per vostro don comparve;
Chi lieto ottenne il florido
Onor della beltà.
Gli stessi Dei dell’etere
Ne’ metrici intervalli
Senza le Grazie archetipe
Non ordinaro i balli;
E il convito amichevole
Gioia e piacer non ha.
In ciel d’ogni bell’opera
Dispositrici siete,
presso al Pizio Apolline
Dall’arco d’or sedete,
Al sommo padre Olimpico
Recando eterno onor.
Fian le mie voci supplici
O Aglaia, a te gradite,
Degl’inni amica Eufrosine,
Figlie dì lui m’udite,
Che ha su gli Dei l’imperio
Possente regnator.
M’odi, o degl’inni egregia
Diva gentil Talia,
Onde alle danze accordasi
La liquida armonia,
Che agli augurati numeri
Lieve modella il piè.
Io quì del prode Asopico
A celebrare il vanto
Venni, sul ritmo lidio
Sciogliendo all’aure il canto,
Che nella polve Olimpica
Vinto ha Minea per te.
Della crudel Persefone
Alla magione oscura.
Eco tu vanne, or nunzia
Di nobile ventura,
A lui che il non degenere
Cleodamo educò.
Di’che poc’anzi il giovine
Suo figlio hai visto alfine,
Cui Pisa illustre e splendida
In sull’Eleo confine
Di piume or or fra gl’incliti
Certami il crine ornò.
(Trad. Angelo Maria Ricci)

venerdì 17 agosto 2012

La lettera di Maria Luisa Spaziani

Maxine Pollak*Theresa
VII
La tua lettera giunse quando l'orto
volgeva al colmo dell'estate. Il pesco
maturava fra grappoli sontuosi.
Tutto m'hanno strappato i tuoi marosi,
fiori, frutti, talenti, amore e fede.
E il tempo è fermo come sangue morto.
(Il fuoco dipinto-1959)

giovedì 16 agosto 2012

Migranti di Derek Walcott

Joan Eardley*Brother and sister
L'onda della marea dei rifugiati, non un semplice passo di oche 
selvatiche, gli occhi di carbone nei vagoni merci, le facce
smunte, e in particolare lo sguardo fisso dei bambini
emaciati, gli enormi fardelli che traversano i ponti, gli assali
che cricchiano con un suono di giunture e di ossa, la macchia scura
che passa le frontiere sulle carte geografiche e ne dissolve le forme,
come succede ai corpi dei morti dentro le fosse di calce, o come
fa il pacciame luccicante che si disfa sotto i piedi in autunno
nel fango, mentre il fumo di un cipresso segnala Sachenhausen,
e quelli che non stanno sopra un treno, che non hanno muli o cavalli,
quelli che hanno messo la sedia a dondolo e la macchina per cucire
sul carretto a mano perché da tempo le bestie hanno lasciato
i loro campi al galoppo per tornare alla mitologia del perdono,
alle campane di pietra sui ciottoli della domenica e al cono
della guglia del campanile aranciato che buca le nubi sopra i tigli,
quelli che appoggiano la mano stanca sulla sponda del carro
come sul fianco del mulo, le donne con la faccia di selce
e gli zigomi di vetro, con gli occhi velati di ghiaccio che hanno
il colore degli stagni dove posano le anitre, e per le quali
c'è un solo cielo e una sola stagione nel corso di un anno
ed è quando il corvo come un ombrello rotto sbatte le ali,
si sono tutti ridotti alla comune e incredibile lingua
della memoria, e questa gente che non ha una casa e nemmeno
una provincia parla delle fonti limpide e parla delle mele,
e del suono del latte in estate dentro le zangole piene,
e tu da dove vieni, da quale regione, io conosco
quel lago e anche le locande, la birra che si beve,
e quelle sono le montagne dove riponevo la mia fede,
ma adesso sulla carta, che è simile a un mostro, altro non si vede
che una rotta che ci porta verso il Nulla, anche se sul retro
c'è la veduta di un posto che si chiama la Valle del Perdono,
dove il solo governo è quello dell'albero dei pomi e le forze
schierate dell'esercito sono gli striscioni di orzo
all’interno di umili tenute, e questa è la visione
che a poco a poco si restringe dentro le pupille
di chi muore e di chi si abbandona in un fosso,
rigido e con la fronte che diventa fredda come le pietre
che ci hanno bucato le scarpe e grigia come le nuvole
che, quando il sole si leva, si trasformano subito in cenere
sopra i pioppi e sopra le palme, nell'ingannevole aurora
di questo nuovo secolo che è il vostro.
********************
THE MIGRANTS
The tidal motion of refugees, not the flight of wild geese,
the faces in freight-cars, haggard and coal-eyed,
particularly the peaked stare of children,
the huge bundles crossing bridges, axles creaking
as if joints and bones were audible, the dark stain
spreading on maps whose shapes dissolve their frontiers
the way that corpses melt in a lime-pit, or
the bright mulch of autumn is trampled into mud
and the smoke of a cypress signals Sachenhausen,
those without trains, without mules or horses,
those who have the rocking-chair and the sewing-machine
heaped on a human cart, a wagon without horses
for horses have long since galloped out of their field
back to the mythology of mercy, back to the cone
of the orange steeple piercing clouds over the lindens
and the stone bells of Sunday over the cobbles,
those who rest their hands on the sides of carts
as if they were the flanks of mules, and the women
with their flint faces, with glazed cheekbones, with eyes
the colour of duck-ponds glazed over with ice,
for whom the year has only one season, one sky:
that of the rocks flapping like torn umbrellas,
all have been reduced into a common language,
the homeless, the province-less, to the incredible memory
of apples and clean streams, and the sound of milk
filling the summer churns, where are you from,
what was your district, I know that lake, I know the beer
and its inns, I believed in its mountains,
now there is a monstrous map that is called Nowhere
and that is where we're all headed, behind it
there is a view called the Province of Mercy,
where the only government is that of the apples
and the only army the wide banners of barley,
and its farms are simple, and that is the vision
that narrows in the irises of the dying
and the tired whom we leave in ditches
before they stiffen and their brows go cold
as the stones that have broken our shoes,
as the clouds that grow ashen so quickly after dawn
over palm and poplar, in the deceitful sunrise
of this, your new century.
St. Lucia, Caribbean, June 16, 2000
(Trad. di Luigi Sampietro)

mercoledì 15 agosto 2012

A Maria di Giovanni Pascoli

William McGregor Paxton*Elizabeth Paxton
NEL GIORNO DELL'ASSUNZIONE
Quando eri così buona e piccolina
bastavano due paia d'angioletti
a portarti nel cielo, o Mariuccina,
tra suon di vïolini e d'organetti:
ora ce ne vorrebbe una dozzina,
or che se' così grande e birichina;
or che se' così birba e così grassa
ce ne vorrebbe una dozzina e passa.
Dunque rimani ancora per molt'anni
ritenuta dal peso dei peccati;
non dar tante fatiche e tanti affanni
a quei celesti bambinelli alati:
mangia amaretti libretti confetti,
e più non basteranno gli angioletti;
non basterà tutta la schiera bella,
a portari nel cielo, o ghiotterella!
Sogliano, 1883 (15 agosto 1884).
Poesie sparse

martedì 14 agosto 2012

Incontro di Cesare Pavese

Harold Brett+Summer Moonlight
Queste dure colline che han fatto il mio corpo 
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio 
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla. 
L'ho incontrata, una sera: una macchia piú chiara 
sotto le stelle ambigue, nella foschía d'estate. 
Era intorno il sentore di queste colline 
piú profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò 
come uscisse da queste colline, una voce più netta 
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.
Qualche volta la vedo, e mi vive dinanzi 
definita, immutabile, come un ricordo. 
Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà 
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano. 
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane: 
mi sorprende, e pensarla, un ricordo remoto 
dell'infanzia vissuta tra queste colline, 
tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi 
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti. 
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce piú netta 
che abbia avuto mai l'alba su queste colline. 
L'ho creata dal fondo di tutte le cose 
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.
(Dopo)

lunedì 13 agosto 2012

Fine di Ada Negri

Irene Zurkinden*Meret Oppenheim
La rosa bianca, sola in una coppa
di vetro, nel silenzio si disfoglia
e non sa di morire e ch'io la guardo
morire. Un dopo l'altro si distaccano
i petali; ma intatti, immacolati,
un presso l'altro con un tocco lieve
posano, e stanno: attenti, se un prodigio
li risollevi o li ridoni, ancora
vivi, candidi ancora, al gambo spoglio.
Tal mi sento cadere sul cuore i giorni
del mio tempo fugace: intatti, e il cuore
vorrebbe, ma non può, comporli in una
rosa novella, su più alto stelo.

domenica 12 agosto 2012

Conta, se puoi, le stelle...di Maria Luisa Spaziani

Jean Delville*Forgetting Passions
Conta, se puoi, le stelle...Ma ho passato
anni a perdere il segno, ad ostinarmi
in complicati calcoli affidati
alla rena dei lidi: e altre stelle
sempre nuove sgranavano gli abissi.
Lanterne sopra alberi di nave
verdi o rosso-rubino, incandescenti
piogge di piume d'angelo, e barbagli
che dal mare in ardore risalivano,
capovolta tempesta, verso il cielo.
Poi lucciole e pupille, e sfrigolanti
comete che chiudendo gli occhi al buio
mi gremivano l'anima di favola
se solo ti pensavo. E ancora scaglie
di sirene, gli infausti sotterfugi
del mare inesplicato, e le striscianti
anime dei convogli, infaticati
lèmuri che infestavano le coste
saracene, la notte che di colpo
seppi esser quei lumi il tuo linguaggio
senza finestre, codice o speranza,
monade silenziosa, abbacinata
tèrmite ignara d'ogni zenith.
(L'occhio del ciclone)

sabato 11 agosto 2012

Metro di Chicago e Come un libro di Diego Valverde Villena

Norman Rockwell
METRO DI CHICAGO
Durante il viaggio
la donna della tua vita ripetute volte ti sfugge,
sempre nel lato opposto della via,
nell’altro binario,
nell’altra fila,
uscendo dal museo o dal ristorante quando tu entri:
un secondo di esitazione è sufficiente.
*********************
A lo largo del viaje
la mujer de tu vida se te escapa repetidas veces,
siempre en el lado opuesto de la vía,
en el otro andén,
en la otra cola,
saliendo del museo o del restaurante cuando tú entras:
un segundo de vacilación es suficiente.
♥♥♥♥♥♥♥♥♥
COME UN LIBRO
Perduto,
abbandonato tra file estranee,
ostaggio di congeneri fortuiti che intendono altro idioma,
vittima dell’azzardo di un bibliotecario burlone
o una mano inesperta,
solo e lasciato da una parte,
finché qualcuno non mi trovi.
***********************
Perdido,
abandonado entre filas extrañas,
rehén de congéneres fortuitos que entienden otro idioma,
víctima del azar de un bibliotecario burlón
o una mano inexperta,
solo y soslayado,
hasta que alguien me encuentre.
(traduz. di Valerio Nardoni)

venerdì 10 agosto 2012

L'anello di Giovanni Pascoli

Alexandre Seon*La Pensèe
Nella mano sua benedicente
l'anello brillava lontano.
Egli alzò quella mano, morente:
di caldo s'empì quella mano..
o mio padre, di sangue! L'anello
lo tenne sul cuore mia madre...
o mia madre! Poi l'ebbe il fratello
mio grande... o mio piccolo padre!
Nel suo gracile dito il tesoro
raggiò di benedizïone.
Una macchia avea preso quell'oro,
di ruggine, presso il castone...
o mio padre, di sangue! Una sera,
la macchia volevi lavare,
o fratello? che pianto fu ! t'era
caduto l'anello nel mare.
E nel mare è rimasto; nel fondo
del mare che grave sospira:
una stella dal cielo profondo
nel mare profondo lo mira.
Quella macchia! S'adopra a lavarla
il mare infinito; ma in vano.
E la stella che vede, ne parla
al cielo infinito; ah! in vano.
(Elegie*Myricae)

giovedì 9 agosto 2012

Vuoi di Leksa Manus

Charles Courtney Curran*Memories
Vuoi? Tutti gli uccelli del bosco
Ti apprestano perle di canti.
Vuoi? Dico ai venti del mare
Di portarti fiori dai campi.
Vuoi? Chiederò al rosso sole
Di salire la volta della nera notte.
E farò per te orecchini di luna,
E spargerò stelle su di te a piene mani.
Se tu mi amerai come io t’arno,
Sopporteremo tutto, spalla a spalla lacrime e gioia
Tu vedrai solo quello che io ti indicherò
Tu crederai a quanto io ti dirò.
Ti amo da tanto con tutto il cuore.
Per te non temo morire.
Come un sole mi riscaldano i tuoi occhi.
Senza di te non potrei più vivere al mondo!
*****************
Kame's?
Kamés? Sare cirikloré vešitka
Keréna tuke miriklé giljéndir.
Kamés? Phenáv te balvaljá morítka
Janna tuke luludjá feldéndir.
Kamés? Mangáva me lolé khaméstir,
Te džal opré pro bolibén kalé ratjása.
Cenjá keráva tuke chonoréstir,
Cerhenjorjá churdáva burnikása.
Te sir tu mán, sir mé tut, pokamésa,
Saró po paš - jasvá te báxt - lidžása,
So me phendjóm tu korkorí davá dikhésa,
Saré miré lavénge tu patjása.
A me hará kamáva tut ílésa.
Vaš túke te meráv me na darávas.
Sir khám jakhénca man tu tatkirésa.
Mé bi tiró pro svéto na dživávas!

mercoledì 8 agosto 2012

Ho conosciuto in te le meraviglie di Alda Merini

Tora Vega Holstrom
Ho conosciuto in te le meraviglie
meraviglie d'amore sì scoperte
che parevano a me delle conchiglie
ove odoravo il mare e le deserte
spiagge corrive e lì dentro l'amore mi son persa come alla bufera
sempre tenendo fermo questo cuore
che (ben sapevo) amava una chimera.
(Le rime petrose)

martedì 7 agosto 2012

Stella cadente di Trilussa

Robert Delaunay*Jean Metzinger*1906
Quanno me godo da la loggia mia
quele sere d’agosto tanto belle
ch’er celo troppo carico de stelle
se pija er lusso de buttalle via,
ad ognuna che ne casca penso spesso
a le speranze che se porta appresso.
Perchè la gente immaggina sur serio
che chi se sbriga a chiede quarche cosa
finchè la striscia resta luminosa,
la stella je soddisfa er desiderio;
ma, se se smorza prima, bonanotte:
la speranzella se ne va a fa’ fotte.
Jersera, ar Pincio, in via d’esperimento,
guardai la stella e chiesi: - Bramerei
de ritrovamme a tuppertù co’ lei
come trent’anni fa: per un momento.
Come starà Lullù? dov’è finita
la donna ch’ho più amato ne la vita? -
Allora chiusi l'occhi e ripensai
a le gioje, a le pene, a li rimorsi,
ar primo giorno quanno ce discorsi,
a quela sera che ce liticai...
E rivedevo tutto a mano a mano,
in un nebbione piucchemmai lontano.
Ma ner ricordo debbole e confuso
ecco che m’è riapparsa la biondina
quanno venne da me quela matina,
giovene, bella, dritta come un fuso,
che me diceva sottovoce: - E’ tanto
che sospiravo de tornatte accanto! -
Er fatto me pareva così vero
che feci fra de me: - Questa è la prova
che la gioja passata se ritrova
solo nel labirinto der pensiero.
Qualunquesia speranza è un brutto tiro
de l’illusione che ce pija in giro - .
Però ce fu la mano der Destino:
perchè doppo nemmanco un quarto d’ora,
giro la testa e vedo una signora
ch’annava a spasso con un cagnolino.
Una de quelle bionde ossiggenate
che perloppiù ricicceno d’estate.
- Chissà - pensai - che pure ‘sta grassona
co’ quer po’ po’ de robba che je balla
nun sia stata carina? - E ner guardalla
trovai ch’assomijava a ‘na persona...
Speciarmente er nasino pe’ l’insù
me ricordava quello de Lullù...
Era lei? Nu’ lo so. Da certe mosse,
da la maniera de guardà la gente,
avrei detto: - E’ Lullù sicuramente... -
Ma ner dubbio che fosse o che nun fosse
richiusi l’occhi e ritornai da quella
ch’avevo combinato co’ la stella.
1938
(Acqua e vino)

lunedì 6 agosto 2012

Agosto di Angel Crespo

William Shih-Chieh Hung
1 Esco al balcone e, in verità, non vedo
se non la notte, come l'altre notti,
ora sì, con le stelle
più pallide - l'agosto
le induce con la sua tepida nebbia
a smorzare la voce -
non vedo quel che cercano i miei occhi
molto vicino ma più in là
delle costellazioni.
Rimango sul balcone, conto i gradi
dell'arco che m'immagino
corso da passi umani - mi figuro
che anche saran passi d'altra specie -,
da passi umani, da battiti
di cuore d'uomo.
Ecco, sì, vedo. Pongo
la mano innanzi agli occhi
per veder meglio,
sì che le stelle e nubi,
questo caldo d'agosto,
non mi stornino. Stringo
tra le mani i miei occhi
e vedo. Annuso. Ascolto.
Vado al fianco dell'uomo
ch'è giunto a quell'altezza. E mi contemplo
- da tanta cima - solo
e appoggiato al balcone
sotto la notte resasi più umana.
2 Quando dovremo scendere, diremo
ch'era la verità l'apparsa Aurora?
Forse racconteremo che vedemmo
sotto di noi le sue labbra spuntare,
sorridente? Diremo
che i suoi chiari capelli si spargevano
sulle nubi, sui muri,
sui fiumi, le città
e l'oceano verde;
che i suoi seni s'alzavano
come promesse,
voci che salutavano l'intruso?
Diremo ch'è verità
la meteora del Sole e del suo carro
e dell'Ore
che si prendon per mano in girotondo
intorno all'aere?
3 Tolgo la mano dagli occhi. Sollevo
le palpebre. La notte,
sorvolata dall'uomo, arriva
e, come cane umile,
abbaia alla mia porta, lecca
i piedi ai passanti.

domenica 5 agosto 2012

Per la morte della madre di L.G. di Andrea Zanzotto

Léon Bazile Perrault
attraversando un ruscello, in estate
Quando nella calura
nella selva di miele tutto giace
e tutti
il miele suggono del sonno
tu buona
perchè l'opera mite
che ogni tuo giorno fu, non tralasciavi?
Ahi prodiga
troppo di te, che ai sussurri agl'inganni
del rivo discendevi.
Perchè il mal cauto piede
allo specchio instancabile fidasti
al capriccioso gelo?
E non vista
ti saettava Diana, quando al varco
dell'acque, forse, altrove già toccavi -
e fu la riva donde non ha ritorno
sguardo agli sguardi, non il grido ai gridi
dei figli d'Eva.
Eternamente ora di pace
t'abbevera la grande estate, in coro
di cicale e di messi.
Che questa prece
ti sia soave come l'ombra estiva.
(Appendice)

sabato 4 agosto 2012

Viaggio Verona-Parigi (1987-1990) VIII

Françoise Adnet*Marie France au perroquet
Parigi dorme. Un enorme silenzio
è sceso ad occupare ogni interstizio
di tegole e di muri. Gatti e uccelli
tacciono. Solo io di sentinella.
Agosto senza clacson. Sopravvivo
unica, forse. Tengo fra le braccia
come Sainte Geneviève la mia città
che spunta dal mantello, in fondo al quadro.

venerdì 3 agosto 2012

L'Abazia di Newark di Thomas Love Peacock

William Turner*Newark Abbey*1807
Agosto 1842, con una reminiscenza dell'Agosto 1807
Fisso lo sguardo sul raggio di sole d'agosto,
Su grigie mura abbandonate, io sosto,
Fino a cogliere nel freddo riflesso
L'eco di un lontano passato, trentacinque anni or sono.
Se qualcosa vi è di mutato non vedo
In questo luogo sacro;
Pareti senza tetto e volte senza cornice,
E pure del passaggio di Rovina non v'è segno:
E boschi e colli, pianure e ruscelli
Vedo crogiolare al sole dello stesso raggio:
E cascate che muovono invisibili pale
Mormoravano allora e mormorano ancora.
In unica miniatura scolpite
Sembrano il presente e le fantasie passate;
A colmare, quale ponte sublime,
Il terribile incedere del tempo;
Incolmabile iato
Che il vivo dal morto separa.
Ma chiaro il mio spirito avverte
ll mutamento unico, trasparente.
I raggi s'intrecciano, e soffiano le brezze,
Ma invisibili e inerti e mute a colei
Che un lontano meriggio d'agosto
Con me vide queste grigie rovine.
Qualunque sia il tempo concesso dal fato,
Qui io giacerò, come ella ora giace,
Immobile: nel più profondo del cuore
Il ricordo prezioso di lei;
O tu, umana parola non basta,
Tu, di grazia miracolo puro,
Così dolce la voce e luminosi gli occhi,
Musica all'animo, e luce,
Benedetti quei giorni di vita appena sbocciata,
Di dolce illusione, di amore sincero.
******************
NEWARK ABBEY
August, 1842, with a reminiscense of August, 1807
I gaze where August's sunbeam falls
Along these gray and lonely walls,
Till in its light absorbed appears
The lapse of five-and thirty years.
If change there be, I trace it not
In all this consecrated spot:
No new imprint of Ruin's march
On roofless wall and frameless arch:
The woods, the hills, the fields, the stream,
Are basking in the selfsame beam:
The fall, that turns the unseen mill,
As then it murmured, murmurs still.
It seems as if in one were cast
The present and the imaged past;
Spanning, as with a bridge sublime,
That fearful lapse of human time;
That gulf unfathomably spread
Between the living and the dead.
For all too well my spirit feels
The only change that time reveals.
The sunbeams play, the breezes stir,
Unseen, unfelt, unheard by her,
Who, on that long-past August day,
Beheld with me these ruins gray.
Whatever span the fates allow,
Ere I shall be as she is now,
Still in my bosom's inmost cell,
Shall that deep-treasured memory dwell;
That, more than language can express,
Pure miracle of loveliness,
Whose voice so sweet, whose eyes so bright,
Were my soul's music and its light,
In those blest days when life was new,
And hope was false, but love was true.

giovedì 2 agosto 2012

Agosto di Folgore da San Gimignano

Edgar Maxence*1900
D’agosto si vi do trenta castella
in una valle d’alpe montanina,
che non vi possa vento di marina,
per istar sani e chiari come stella;
e palafreni da montare ’n sella,
e cavalcar la sera e la mattina:
e l’una terra a l’altra sia vicina,
ch’un miglio sia la vostra giornatella,
tornando tuttavia verso la casa;
e per la valle corra una fiumana,
che vada notte e dí traente e rasa;
e star nel fresco tutta meriggiana:
la vostra borsa sempre a bocca pasa,
per la miglior vivanda di Toscana.
(Sonetti dei mesi)

mercoledì 1 agosto 2012

Vù cumprà di Vivian Lamarque

Robert McGinnis
Agosto ce ne andiamo
solo vi lasciamo Milano
vigilate voi, noi assenti
sulle nostre case eleganti
sui bei ladri distinti
sui governanti
noi ce ne andiamo, vi lasciamo
i nostri cani adorati
affamati assetati
ce ne andiamo, vigilate voi
sulla statuina che è d'oro
che non se la portino via 
vi lasciamo per compagnia
i nostri cani adorati
affamati assetati
e poi piccioni e piccioni
e sotto i piccioni
statue dai grandi nomi
statue rinomate
ma voi come vi chiamate?
Vi abbiamo tolto anche i nomi
nelle nostre città
vigilate voi, voi Persone
che chiamano Vù Cumprà.