Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

giovedì 31 marzo 2011

Il suono più triste, il suono più dolce di Emily Dickinson

(Franz Xavier Winterhalter/Contessa Alexandra Nikolaevitch Lamsdorff)
Il suono più triste, il suono più dolce,
Il suono più pazzo che esista, -
Gli uccelli, lo fanno in primavera,
Al delizioso chiudersi della notte,
Sulla linea fra marzo e aprile -
Quella magica frontiera
Al di là della quale l'estate esita,
Quasi troppo celestialmente vicina.
Ci fa pensare a tutti i morti
Che si aggiravano con noi qui,
Dal sortilegio della separazione
Resi crudelmente più cari.
Ci fa pensare a ciò che avevamo,
E a ciò che ora piangiamo.
Quasi vorremmo che quelle gole incantatrici
Se ne andassero e non cantassero più.
Un orecchio può spezzare un cuore umano
Tanto in fretta quanto una lancia.
Vorremmo che l'orecchio non avesse un cuore
Così pericolosamente vicino.
*****
The saddest noise, the sweetest noise,
The maddest noise that grows, -
The birds, they make it in the spring,
At night's delicious close,
Between the March and April line -
That magical frontier
Beyond which summer hesitates,
Almost too heavenly near.
It makes us think of all the dead
That sauntered with us here,
By separation's sorcery
Made cruelly more dear.
It makes us think of what we had,
And what we now deplore.
We almost wish those siren throats
Would go and sing no more.
An ear can break a human heart
As quickly as a spear.
We wish the ear had not a heart
So dangerously near.

mercoledì 30 marzo 2011

Spleen di Sergio Corazzini

Boris Kustodiev/Renèe Notgaft/1909
Che cosa mi canterai tu
questa sera?
Amica, non voglio pensare
troppo: la prima canzone
che ricordi, antica,
non importa;
una di quelle canzoni
che non si cantano più
da tanto,
che non fanno più schiuder balconi
da un secolo. Vuoi
darmi la nostalgia
di una canzone morta?
Sei triste, mi dai pena
questa sera; non canti, non mi parli...
Che hai? malinconia
di morire? Ti duoli
perché siamo soli?
Ricordi l’ultimo ballo
nel tuo salotto giallo
roso dai tarli?
Sai che è primavera?
Io non me n’era accorto;
non ho rosai,
non ne ho avuto mai
nel mio triste orto.
Perché non suoni? Langue
di desiderio
quel tuo piccolo pianoforte esangue,
nell’ombra; o non così,
amica,
l’anima ci sospira nell’attesa
di chi
sappia farla vibrare?
Oh, che tristezza! Pare,
nel biancore lunare,
malata di etisia,
con tutte le sue porte
chiuse, la nostra via
diserta e quel fanale
solo e torbido pare
che attendendo la morte
ne vegli l’agonia.
(Le Aureole)

martedì 29 marzo 2011

Or via comanda di Rabindranath Tagore

Nicolae Gregorescu/Primavera Or via, comanda;
 ed io coglierò i miei frutti e li porterò in colmi panieri alla Tua corte,
 sebbene alcuni sian già mézzi, altri immaturi.
 Però che la stagione s'inoltri grave nella sua pienezza,
e la cornamusa del pastore s'oda flebile nell'ombra.
 Comanda; ed io scioglierò le vele via pel fiume.
 Freme il vento di marzo, e a quel fremito l'onde mormorando si sollevano.
 Il giardino ha donato quanto poteva;
 nell'ora stanca del vespero giunge la chiamata dalla Tua casa sul lido a ponente.

lunedì 28 marzo 2011

Pioggia di primavera di Achille Campanile

Coles Phillips
Mentre la terra era ancora immersa nel riposo invernale, una lunga pioggia leggera è scesa a cullare la fine del suo sonno. Lei sentiva, ma ancora non si svegliava. Dolce dormire. Sorrideva dietro le palpebre chiuse, a sentirsi frugare tra l'erba, a sentirsi toccare le violette ancora nascoste. Picchiettandola con le lunghe dita leggiere, la pioggia le faceva il solletico e le diceva: -Svegliati- E mormorava ancora: -Svegliati. -E poi: -Su,su- E' l'ora,vestiti- E la terra fingeva ancora di dormire, perchè nulla era più dolce di quella carezza leggera e di quel dormiveglia. Alla fine ha aperto gli occhi delle margheritine, ed è rimasto un odore di terra bagnata nei giardini.

domenica 27 marzo 2011

Caro Marzo di Emily Dickinson

Louise Abbema/1878
Caro Marzo - Entra -
Come sono felice -
Ti aspettavo da tanto -
Posa il Cappello -
Devi aver camminato -
Come sei Affannato -
Caro Marzo, come stai tu, e gli Altri -
Hai lasciato bene la Natura -
Oh Marzo, Vieni di sopra con me -
Ho così tanto da raccontare -
Ho avuto la tua Lettera, e gli Uccelli -
Gli Aceri non sapevano che tu stessi arrivando -
L'ho annunciato - come sono diventati Rossi -
Però Marzo, perdonami -
Tutte quelle Colline che mi lasciasti da Colorare -
Non c'era Porpora appropriata -
L'hai portata tutta con te -
Chi bussa? Ecco Aprile -
Chiudi la Porta -
Non voglio essere incalzata -
È stato via un Anno per venire
Ora che sono occupata -
Ma le inezie sembrano così banali
Non appena arrivi tu
Che il Biasimo è caro come la Lode
E la Lode effimera come il Biasimo -
*****

Dear March
Dear March - Come in -
How glad I am -
I hoped for you before -
Put down your Hat -
You must have walked -
How out of Breath you are -
Dear March, how are you, and the Rest -
Did you leave Nature well -
Oh March, Come right up the stairs with me -
I have so much to tell -
I got your Letter, and the Birds -
The Maples never knew that you were coming -
I declare - how Red their Faces grew -
But March, forgive me -
All those Hills you left for me to Hue -
There was no Purple suitable -
You took it all with you -
Who knocks? That April -
Lock the Door -
I will not be pursued -
He stayed away a Year to call
When I am occupied -
But trifles look so trivial
As soon as you have come
That Blame is just as dear as Praise
And Praise as mere as Blame -

sabato 26 marzo 2011

Una signora di Emanuel Carnevali

Ressendi
Le sue labbra sono rose
che imputridiscono nell’acqua.
Le sue palpebre due avvizzite
viole.
I suoi occhi sono pozzanghere.
La sua voce è quella di un uccello
mentre lo strozzano.
La sua giovinezza, passando,
indugia nelle sue mani.
Esse si librano, fluttuando,
come due farfalle
sul cadavere della sua carne.
C’è un capriccio sinistro in lei,
come di una bocca morta
che sorrida.
Le sue gambe ben tornite
raccontano una impudente bugia.
La sua anima giace
nel disordine di un’orgia,
sulle cui ceneri e gli sparsi avanzi
pende, come fili di fumo azzurro,
una eleganza di piccoli gesti.
Marzo 1923
(Il Primo Dio)

venerdì 25 marzo 2011

Hai un sangue, un respiro di Cesare Pavese

Prudence Heward/Mrs. Zimmerman/1943Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano -
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano -
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte -
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.
Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell'aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.

giovedì 24 marzo 2011

Marzo di Giorgio Caproni

Patrick Devonas/Allegoria della primavera
Dopo la pioggia la terra
è un frutto appena sbucciato.
Il fiato del fieno bagnato
è più acre - ma ride il sole
bianco sui prati di marzo
a una fanciulla che apre la finestra.
(Due svolazzi finali)

mercoledì 23 marzo 2011

23 marzo 1923 di Marina Cvetaeva

Dierckx
Mentre l'amico caro attraversava
l'ultimo viale (filare di nodosi
addii) - più grandi degli sguardi
erano gli occhi.
Mentre l'amico amato doppiava
l'estremo promontorio (di sospiri
della mente: torna!) - più grandi delle mani
erano i gesti.
Quasi le braccia volessero lasciare
le spalle e le labbra - indietro,
a supplicare! Lottava con la lingua
la parola, il palmo con le dita...
Mentre l'ospite tenero passava...
- Signore, posa lo sguardo su di noi! -
le lacrime erano più enormi
di occhi umani, e delle stelle
sull'oceano.

martedì 22 marzo 2011

Fontana di luce di Ada Negri

John Collier/Devonshire Nel marzo ebro di sole il grande arbusto
in mezzo al prato si coprì di gialli
fioretti: le novelle accese rame
salenti e ricadenti con superba
veemenza di getto dànno raggi
e barbagli a mirarle; e tu quasi odi
scroscio di fonte uscir da loro; e tutta
la Primavera da quell'aurea polla
ti si versa cantando entro le vene.

lunedì 21 marzo 2011

Dolce primavera di Salvatore Quasimodo

Sandro Botticelli/Primavera/1482 Alle selve, alle foglie dei boschi è dolce primavera;
a primavera gonfia la terra avida di semi.
Allora il Cielo, padre onnipotente, scende
con piogge fertili nel grembo della consorte,
ed immenso si unisce all’immenso suo corpo,
e accende ogni suo germe. Gli arbusti remoti risuonano
del canto degli uccelli, e gli armenti ricercano Venere,
e i prati rinverdiscono alle miti aure di Zèfiro.
Ed i campi si aprono; il tenero umore si sparge
dovunque, ora i germogli si affidano al nuovo sole.
E il tralcio della vite non teme il levarsi degli austri
né la pioggia sospinta per l’aria dai larghi aquiloni,
ma libera le gemme e spiega le sue foglie.
Giorni uguali e così luminosi credo brillarono
al sorgere del mondo: fu primavera, allora:
primavera passava per la terra. Ed Euro
trattenne il soffio gelido quando i primi
animali bevvero la luce, e la razza degli uomini
alzò il capo nei campi aspri, e le belve
furono spinte nelle foreste e le stelle nel cielo.
(Il fiore delle Georgiche/Georgiche di Virgilio)

domenica 20 marzo 2011

Marzo è il Mese dell'Attesa di Emily Dickinson

Eugene De Blaas/Musette
Marzo è il Mese dell'Attesa.
Le cose che non sappiamo -
Le Persone pronosticate
Stanno arrivando ora -
Cerchiamo di esibire un'appropriata serietà -
Ma una pomposa Gioia
Ci tradisce, come il primo Fidanzamento
Tradisce un Ragazzo.
*****

March is the Month of Expectation.
The things we do not know -
The Persons of prognostication
Are coming now -
We try to show becoming firmness -
But pompous Joy
Betrays us, as his first Betrothal
Betrays a Boy.

sabato 19 marzo 2011

Padre che muori tutti i giorni un poco di Camillo Sbarbaro

Franz Xavier Winterhalter/Napoleon A. L. J. Berthier Padre che muori tutti i giorni un poco,
e ti scema la mente e più non vedi
con allargati occhi che i tuoi figli
e di te non t'accorgi e non rimpiangi -
se penso la fortezza con la quale
hai vissuto; il disprezzo c'hai portato
a tutto ciò che è piccolo e meschino;
sotto la rude scorza
il tuo candido cuore di fanciullo;
il bene c'hai voluto alla tua madre,
alla sorella ingrata, a nostra madre
morta;
tutta la vita tua sacrificata
e poi ti guardo come ora sei,
io mi torco in silenzio le mani.
Contro l'indifferenza della vita
vedo inutile anch'essa la virtù
e provo forte come non ho mai
il senso della nostra solitudine.
Io voglio confessarmi a tutti, padre,
che ridi se mi vedi e tremi quando
d'una qualche premura ti fo segno,
di quanto fui codardo verso te.
Benché il rimorso mi si alleggerisca,
che più giusto sarebbe mi pesasse
sul cuore, inconfessato...
Io giovinetto imberbe ti guardai
con ira, padre, per la tua vecchiezza...
Stizza contro te vecchio mi prendeva...
Padre che ci hai tenuto sui ginocchi
nella stanza che s'oscurava, in faccia
alla finestra, e contavamo i lumi
di cui si punteggiava la collina
facendo a gara a chi vedeva primo -
perdono non ti chiedo con le lacrime
che mi sarebbe troppo dolce piangere
ma con quelle più amare te lo chiedo
che non vogliono uscire dai miei occhi.
Una cosa soltanto mi conforta
di poterti guardare a ciglio asciutto:
il ricordo che piccolo, al pensiero
che come gli altri uomini dovevi
morire pure tu, il nostro padre,
solo e zitto nel mio letto la notte
io di sbigottimento lagrimavo.
Di quello che i miei occhi ora non piangono
quell'infantile pianto mi consola,
padre, perché mi par d'aver lasciato
tutta la fanciullezza in quelle lacrime.

venerdì 18 marzo 2011

Auguri per il proprio compleanno di Giuseppe Ungaretti

Fernando Botero/1971 Dolce declina il sole.
Dal giorno si distacca
Un cielo troppo chiaro.
Dirama solitudine
Come da gran distanza
Un muoversi di voci.
Offesa se lusinga,
Quest'ora ha l'arte strana.
Non è primo apparire
Dell'autunno già libero?
Con non altro mistero
Corre infatti a dorarsi
Il bel tempo che toglie
Il dono di follia.
Eppure, eppure griderei:
Veloce gioventù dei sensi
Che all'oscuro mi tieni di me stesso
E consenti le immagini all'eterno,
Non mi lasciare, resta, sofferenza!

giovedì 17 marzo 2011

Canto Nazionale di Goffredo Mameli

Giacomo Balla/Canto patriottico
Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa
Dov’è la vittoria?!
Le porga la chioma
Ché schiava di Roma
Iddio la creò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò
Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi
Perché non siam Popolo
Perché siam divisi
Raccolgaci un’Unica
Bandiera una Speme
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò
Uniamoci, amiamoci
L’unione e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore
Giuriamo far Libero
Il suolo natio
Uniti, per Dio,
Chi vincer ci può!?
Stringiamci a coorte,
Siam pronti alla morte,
L’Italia chiamò.
Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
A l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute
Il sangue d’Italia
Bevé col cosacco
Il sangue Polacco
Ma il cor le bruciò
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò
SI'

mercoledì 16 marzo 2011

Annunzio di primavera di Rainer Maria Rilke

Mondrian S’è sciolto il gelo.
Un’ansia soccorrevole si stende
sui grigi campi ignudi,
all’improvviso.
I ruscelletti mutano la voce.
Labili tenerezze
trascorron, giù dall’etere, la terra.
Vanno i sentieri, lieti d’apparire:
vanno lontano.
E per l’albero spoglio, ecco,
d’incanto,
tu vedi – espressa – un’anima
salire.

martedì 15 marzo 2011

Ricordo di Ripetta di Gabriele D'Annunzio

Georges De Feure
E ne l'anima ancor veggovi quale
io da prima vi amai. Alta e pieghevole
passaste, sorridente e luminante,
pel chiaro gelo del mattin iemale.
Lunghi rami di mandorlo la fante
dietro di voi recava. Inconsapevole,
un bellissimo sogno floreale
dietro di voi lasciaste al riguardante.
— Su da la strada chiara e solitaria
rompeano molti al cielo di turchese
mandorli in fiore, per incantamento.
E stava tra la selva imaginaria
il palazzo del principe Borghese
Come un gran clavicembalo d'argento.
(Intermezzo)

lunedì 14 marzo 2011

Primavera vicina di Johann Wolfgang Von Goethe

Ignac Ujvary/The rite of spring
Più morbida, più lieve
l'aiuola, ecco, s'inturgida;
candide come neve,
ondeggian le campanule,
un vivo ardor di fuoco
va dispiegando il croco;
il suol di sangue stilla,
lo smeraldo sfavilla.
Le primule si gonfiano
con borioso piglio;
mentre l'astuta mammola
s'asconde ad ogni ciglio,
un alito possente
scuote la vita intera.
E' viva, è qui presente
ormai la primavera

domenica 13 marzo 2011

Canto di marzo di Giosuè Carducci

George Frederic Watts/Jane Senior 
Quale una incinta, su cui scende languida
languida l'ombra del sopore e l'occupa,
disciolta giace e palpita su 'l talamo,
sospiri al labbro e rotti accenti vengono
e súbiti rossor la faccia corrono,
tale è la terra: l'ombra de le nuvole
passa a sprazzi su 'l verde tra il sol pallido:
umido vento scuote i pèschi e i mandorli
bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono:
spira da i pori de la glebe un cantico.
- O salïenti da' marini pascoli
vacche del cielo, grigie e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide
al piano e al colle che sorride e verzica,
a la selva che mette i primi palpiti -.
Cosí cantano i fior che si risvegliano:
cosí cantano i germi che si movono
e le radici che bramose stendonsi:
cosí da l'ossa dei sepolti cantano
i germi de la vita e de gli spiriti.
Ecco l'acqua che scroscia e il tuon che brontola:
porge il capo il vitel da la stalla umida,
la gallina scotendo l'ali strepita,
profondo nel verzier sospira il cúculo
ed i bambini sopra l'aia saltano.
Chinatevi al lavoro, o validi omeri;
schiudetevi a gli amori, o cuori giovani;
impennatevi a i sogni, ali de l'anime;
irrompete a la guerra, o desii torbidi:
ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.
(Odi barbare)

sabato 12 marzo 2011

To C. from C. di Cesare Pavese

Vittorio CorcosTu,
screziato sorriso
su nevi gelate
vento di Marzo
balletto di rami
spuntati sulla neve
gemendo e ardendo
I tuoi piccoli "Oh"
daina dalle membra bianche,
graziosa,
potessi io sapere
ancora
la grazia volteggiante
di tutti i tuoi giorni
la trina di spume
di tutte le tue vie -
domani è gelato
giù nella pianura -
tu sorriso screziato
tu risata ardente.
*****
You,
dappled smile
on frozen snows -
wind of March,
ballet of boughs
sprung on the snow,
moaning and glowing
your little"ohs" -
white-limbed doe,
gracious,
would I could know
yet
the gliding grace
off all your days,
the foam-like lace
of all your ways -
to-morrow is frozen
down in the plain -
you dappled smile
you glowing laughter.
(11 marzo 1950)
da Cesare a Constance

venerdì 11 marzo 2011

Una luce esiste in primavera di Emily Dickinson

Telemaco Signorini/Rendez -vous nel bosco/1873 
Una Luce esiste in Primavera
Non presente nell'Anno
In qualsiasi altro periodo -
Quando Marzo è a malapena qui
Un Colore sta là fuori
Su Campi Solitari
Che la Scienza non può cogliere
Ma la Natura Umana avvertire.
Aspetta sul Prato,
Mostra il più remoto Albero
Sul più remoto Pendio che conosci
Quasi ti parla.
Poi quando gli Orizzonti si avviano
O i Mezzogiorni replicano lontani
Senza Formula di suono
Passa e noi restiamo -
Un senso di perdita
Intacca il nostro Contento
Come se un Commercio s'insinuasse d'un tratto
In un Sacramento -
*****A Light exists in Spring
Not present on the Year
At any other period -
When March is scarcely here
A Color stands abroad
On Solitary Fields
That Science cannot overtake
But Human Nature feels.
It waits upon the Lawn,
It shows the furthest Tree
Upon the furthest Slope you know
It almost speaks to you.
Then as Horizons step
Or Noons report away
Without the Formula of sound
It passes and we stay -
A quality of loss
Affecting our Content
As Trade had suddenly encroached
Upon a Sacrament -

giovedì 10 marzo 2011

Marzo, che mette nuvole a soqquadro di Arturo Onofri

Marzo/Hans ThomaMarzo, che mette nuvole a soqquadro
e le ammontagna in alpi di broccati,
per poi disfarle in mammole sui prati,
accende all'improvviso, come un ladro,
un'occhiata di sole,
che abbaglia acque e viole.
Con in bocca un fil d'erba primaticcio,
Marzo è un fanciullo in ozio, a cavalcioni
sul vento che sepàra due stagioni;
e, zufolando, fa, per suo capriccio,
con strafottenti audacie,
il tempo che gli piace.
Stanotte, fra i suoi riccioli, spioventi
sul mio sonno a rovesci e a trilli alati,
il flauto di silenzio dei suoi fiati
vegetali svegliava azzurri e argenti
nel mio sognarlo, e fuori
ne son sbocciati i fiori.
(Vincere il drago!)

mercoledì 9 marzo 2011

Mercoledì delle Ceneri VI di Thomas Stearns Eliot

Charles Chaplin/Dopo il veglione
Bench'io non speri di tornare ancora
Bench'io non speri
Bench'io non speri di più ritornare
A oscillare fra perdita e profitto
In questo breve transito dove i sogni si incrociano
Il crepuscolo incrociato dai sogni fra nascita e morte
(Benedicimi padre) sebbene non desideri più di desiderare queste cose
Dalla finestra spalancata verso la riva di granito
le ali bianche volano ancora verso il mare, verso il mare volano
ali non spezzate
E il cuore perduto si rinsalda e allieta
nel perduto lillà e nelle voci del mare perduto
e lo spirito fragile s'avviva a ribellarsi
Per la ricurva verga d'oro e l'odore del mare perduto
S'avviva a ritrovare
Il grido della quaglia e il piviere che ruota
E l'occhio cieco crea
Le vuote forme fra le porte d'avorio
E l'odore rinnova il sapore salmastro della terra sabbiosa
Questo è il tempo della tensione fra la morte e la nascita
Il luogo della solitudine dove tre sogni s'incrociano
Fra rocce azzurre
Ma quando le voci scosse dall'albero di tasso si partono
Che l'altro tasso sia scosso e risponda.
Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte, spirito del giardino,
non permettere che ci si irrida con la falsità
insegnaci a aver cura e a non curare
insegnaci a starcene quieti
anche fra queste rocce,
En Sua volontade è nostra pace
E anche fra queste rocce
Sorella, madre
Spirito del fiume, spirito del mare,
Non sopportare che io sia separato
E Te giunga il mio grido.

**********
Although I do not hope to turn again
Although I do not hope
Although I do not hope to turn
Wavering between the profit and the loss
In this brief transit where the dreams cross
The dreamcrossed twilight between birth and dying
(Bless me father) though I do not wish to wish these things
From the wide window towards the granite shore The white sails stili
fly seaward, seaward flying
Unbroken wings
And the lost heart stiffens and rejoices
In the lost lilac and the lost sea voices
And the weak spirit quickens to rebel
For the bent golden-rod and the lost sea smeli
Quickens to recover
The cry of quail and the whirling piover
And the blind eye creates
The empty forms between the ivory gates
And smell renews the salt savour of the sandy earth
This is the time of tension between dying and birth
The place of solitude where three dreams cross
Between blue rocks
But when the voices shaken from the yew-tree drift away
Let the other yew be shaken and reply.
Blessèd sister, holy mother, spirit of the fountain, spirit of the garden,
Suffer us not to mock ourselves with falsehood
Teach us to care and not to care
Teach us to sit still
Even among these rocks,
Our peace in His will
And even among these rocks
Sister, mother
And spirit of the river, spirit of the sea,
Suffer me not to be separated
And let my cry come unto Thee.
(1930)

martedì 8 marzo 2011

E Dio mi fece donna di Gioconda Belli

A liberate woman/John George Brown/1895 (vista da un uomo....) 
E Dio mi fece donna,
con capelli lunghi,
occhi,
naso e bocca di donna.
Con curve
e pieghe
e dolci avvallamenti
e mi ha scavato dentro,
mi ha reso fabbrica di esseri umani.
Ha intessuto delicatamente i miei nervi
e bilanciato con cura
il numero dei miei ormoni.
Ha composto il mio sangue
e lo ha iniettato in me
perché irrigasse tutto il mio corpo;
nacquero così le idee,
i sogni,
l’istinto
Tutto quel che ha creato soavemente
a colpi di mantice
e di trapano d’amore,
le mille e una cosa che mi fanno donna
ogni giorno
per cui mi alzo orgogliosa
tutte le mattine
e benedico il mio sesso.
--------------------Y Dios me hizo mujerY Dios me hizo mujer,
de pelo largo,
ojos,
nariz y boca de mujer.
Con curvas
y pliegues
y suaves hondonadas
y me cavó por dentro,
me hizo un taller de seres humanos.
Tejió delicadamente mis nervios
y balanceó con cuidado
el número de mis hormonas.
Compuso mi sangre
y me inyectó con ella
para que irrigara
todo mi cuerpo;
nacieron así las ideas,
los sueños,
el instinto.
Todo lo que creó suavemente
a martillazos de soplidos
y taladrazos de amor,
las mil y una cosas que me hacen mujer todos los días
por las que me levanto orgullosa
todas las mañanas
y bendigo mi sexo.

lunedì 7 marzo 2011

Colombina di Paul Verlaine

Auguste Toulmouche Leandro lo sciocco,
Pierrot che con un salto
di pulce
scavalca la siepe,
Cassandro sotto
il cappuccio,
e poi Arlecchino,
quel birbante così
fantasioso
dai folli costumi,
con gli occhi lucidi
sotto la maschera,
- do, mi, sol, mi, fa, -
e tutti vanno,
ridono, cantano
e danzano davanti
a una bella bambina
cattiva
i cui occhi perversi
come gli occhi verdi
delle gatte
difendono le sue bellezze
e dicono: "Giù
le zampe!".
- Continuano ad andare!
Fatidico corso
degli astri,
oh, dimmi verso quali
cupi o crudeli
disastri
la bambina implacabile,
che svelta solleva
le gonne,
la rosa sul cappello,
conduce il suo gregge
di gonzi?
(Feste galanti)
*****
Colombine
Léandre le sot,
Pierrot qui d'un saut
De puce
Franchit le buisson,
Cassandre sous son
Capuce,
Arlequin aussi,
Cet aigrefin si
Fantasque
Aux costumes fous,
Ses yeux luisant sous
Son masque,
- Do, mi, sol, mi, fa, -
Tout ce monde va,
Rit, chante
Et danse devant
Une belle enfant
Méchante
Dont les yeux pervers
Comme les yeux verts
Des chattes
Gardent ses appas
Et disent : " À bas
Les pattes ! "
- Eux ils vont toujours ! -
Fatidique cours
Des astres,
Oh ! dis-moi vers quels
Mornes ou cruels
Désastres
L'implacable enfant,
Preste et relevant
Ses jupes,
La rose au chapeau,
Conduit son troupeau
De dupes ?
(Fêtes galantes)

domenica 6 marzo 2011

Fantasia di carnevale XI di Clemente Rebora

Lovis Corinth/1908 Noi siam dell'inquieta brigata
e scontentezza ci guida:
spietata alla gente è la sfida,
ma dentro si accascia gemente.
Ci spàsima intorno il vestito
dell'universo stordito:
annaspa e non trova gli occhielli
da chiudere i mondi,
per sempre,
sull'eterna minaccia
che la ràffica a tutti
svela ora più aperta più diaccia.
Squassa e non fugge,
il dolor ce l'inchioda:
rugge se l'oda il pensiero
che balugina nero,
ma divìncola muto
in lancinanti vipere!
Cieco prodigio,
grandezza tradita,
asfissia del certo alveare
fra miele e vischio mordace,
perchè si redima nel rischio
il tétano dell'uomo
la nausea del mondo
in sprazzi di respiro
avvèntaci alla prova,
martirio che irrora,
olocausto vivo!
Se no, nel guizzo felice
d'un giorno ben triste,
ai passanti innocenti
scaglieremo le bombe
colmeremo le tombe
che la carie dell'ore ci aprì.
Del resto, il destino
ha stomaco sano,
per smaltire anche noi...
A cena intanto. Olà,
del festino: carne al sangue,
rosso vino forte,
evviva l'appetito della morte!
(Poesie sparse)

sabato 5 marzo 2011

Il mare brucia le maschere di Giorgio Caproni

Max Beckmann/Artista e moglie/1925 
Il mare brucia le maschere,
le incendia il fuoco del sale.
Uomini pieni di maschere
avvampano sul litorale.
Tu sola potrai resistere
nel rogo del Carnevale.
Tu sola che senza maschere
nascondi l'arte d'esistere.

venerdì 4 marzo 2011

Carnevale di Gerti di Eugenio Montale

Egon Schiele/Gerti Schiele/1911 Se la ruota s'impiglia nel groviglio
delle stelle filanti ed il cavallo
s'impenna tra la calca, se ti nevica
sui capelli e le mani un lungo brivido
d'iridi trascorrenti o alzano i bimbi
le flebili ocarine che salutano
il tuo viaggio ed i lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul fiume,
se si sfolla la strada e ti conduce
in un mondo soffiato entro una tremula
bolla d'aria e di luce dove il sole
saluta la tua grazia - hai ritrovato
forse la strada che tentò un istante
il piombo fuso a mezzanotte quando
finì l'anno tranquillo senza spari.
Ed ora vuoi sostare dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i sorridenti ed acri
fumi che ti compongono il domani:
ora chiedi il paese dove gli onagri
mordano quadri di zucchero alle tue mani
e i tozzi alberi spuntino germogli
miracolosi al becco dei pavoni.
(Oh il tuo Carnevale sarà più triste
stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti: carri dalle tinte
di rosolio, fantocci ed archibugi,
palle di gomma, arnesi da cucina
lillipuziani: l'urna li segnava
a ognuno dei lontani amici l'ora
che il Gennaio si schiuse e nel silenzio
si compì il sortilegio. È Carnevale
o il Dicembre s'indugia ancora? Penso
che se tu muovi la lancetta al piccolo
orologio che rechi al polso, tutto
arretrerà dentro un disfatto prisma
babelico di forme e di colori...)
E il Natale verrà e il giorno dell'Anno
che sfolla le caserme e ti riporta
gli amici spersi, e questo Carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate ti sfiorano, le logge
sospingono all'aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d'argento sopra il borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi tu i mattini
trepidi delle tue prode lontane?
Come tutto si fa strano e difficile,
come tutto è impossibile, tu dici.
La tua vita è quaggiù dove rimbombano
le ruote dei carriaggi senza posa
e nulla torna se non forse in questi
disguidi del possibile. Ritorna
là fra i morti balocchi ove è negato
pur morire; e col tempo che ti batte
al polso e all'esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti che non s'aprono
al gorgo degli umani affaticato,
torna alla via dove con te intristisco,
quella che additò un piombo raggelato
alle mie, alle tue sere:
torna alle primavere che non fioriscono.
(Le occasioni/1928)

giovedì 3 marzo 2011

Il vestito di Arlecchino di Gianni Rodari

Leyendecker Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un'altra Pulcinella,
una Gianduia, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
"Ti assicuro e te lo giuro
che ti andra' bene il mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l'altro bolletta!".

mercoledì 2 marzo 2011

Fantasia di carnevale II/III/IV/V/VI/VII/VIII/IX/X di Clemente Rebora

Guillaume Seignac II
Tanto ubertosa la civile gloria,
tanto ignorato il sottostante danno!
Ma giovinetto è l'anno:
sarà vecchia la baldoria?
III
Noi serbiamo la pace
candida e intatta
contro la ruggine
in còfani d'ovatta:
ancora brillerà la sua speranza
al dimentico amor di chi verrà
IV
La sciagura ritmava in lontananza;
or s'avvicina. Il patrio terreno
in bìlico, già crolla:
è un invito di danza...
Signori, alla coda!
V
Or sù, giovanotti,
la morte è in amore.
Ha baci d'un vigore
da incidervi l'ossa.
Chi ne voglia un'Idea,
si raccomandi a Dio
che la rivela.
VI
In tempo di clessidra
miope volo d'api
sono quest'ombre di noi
e doman forse nùgolo d'eroi!
VII
Poesia, arpeggiante
zanzara che succhi dal sangue
ora ciascuno t'intende
e si difende.
VIII
'Era avventizia
che strozzi il costume
vendendolo implume
al ghiotto destin
senza principio nè fin!
'Era propizia.
IX
Oltre la patria e la terra
c'è da salvare qualcosa,
anche solo una rosa
da tanta guerra sbocciata.
X
Morir vendicati
d'esser nati così!

martedì 1 marzo 2011

Canzona de' cialdoni di Lorenzo De Medici

Ariadne/Lovis Corinth/1913
Giovani siam, maestri molto buoni,
donne, come udirete, a far cialdoni.
In questo carnascial siamo svïati
dalla bottega, anzi fummo cacciati:
non eron prima fatti che mangiati
da noi, che ghiotti siam, tutt'i cialdoni.
Cerchiamo avviamento, donne, tale,
che ci passiamo in questo carnasciale;
ma sanza donne inver si può far male:
e insegnerenvi come si fan buoni.
Metti nel vaso acqua, e farina drento
quanto ve n'entra, e mena a compimento:
quand'hai menato, e' vien come un unguento,
un'acqua quasi par di maccheroni.
Chi non vuole al menar presto esser stanco,
meni col dritto e non col braccio manco;
poi vi si getta quel ch'è dolce e bianco
zucchero; e fa' il menar non abbandoni.
Conviene, in quel menar, cura ben aggia,
per menar forte, che di fuor non caggia,
fatto l'intriso, poi col dito assaggia:
se ti par buon, le forme a fuoco poni.
Scaldale bene, e, se sia forma nuova,
il fare adagio ed ugner molto giova;
e mettivene poco prima, e pruova
come rïesce, e se li getta buoni.
Ma, se la forma sia usata e vecchia,
quanto tu vuoi, per metterne, apparecchia,
perché ne può ricevere una secchia;
e da Bologna i romaiuol' son buoni.
Quando l'intriso nelle forme metti
e senti frigger, tieni i ferri stretti,
mena le forme, e scuoti acciò s'assetti,
volgi sozzopra, e fien ben cotti e buoni.
Il troppo intriso fuori spesso avanza,
esce pe' fessi, ma questo è usanza:
quando ti par che sia fatto abbastanza,
apri le forme e cavane i cialdoni.
Nello star troppo scema, non già cresce:
se son ben unte, da sé quasi n'esce,
e 'l ripiegarlo allor facile rïesce
caldo, e in un panno bianco lo riponi.
Piglia le grattapugie od un pannuccio
ruvido, e netta bene ogni cantuccio;
la forma è quasi una bocca di luccio;
tien ne' fessi lo intriso che vi poni.
Esser vuole il cialdone un terzo o piùe
grosso, a ragione aver le parti sue:
ed a farli esser vogliono almen due,
l'un tenga, l'altro metta; e' fansi buoni.
Se son ben cotti, coloriti e rossi,
son belli, e quanto un vuol mangiarne puossi;
perché, se paion ben vegnenti e grossi,
strignendo e' son pur piccioli bocconi.
Donne, terrete voi e noi mettiamo;
se noi mettessin troppo forte o piano,
pigliate voi il romaiuolo in mano:
mettete voi, purché facciam de' buoni.