Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

mercoledì 31 agosto 2011

Il trovatore di Giovanni Berchet

Eduard Veith
Va per la selva bruna
solingo il trovator,
domato dal rigor
della fortuna.
La faccia sua sì bella
la disfiorò il dolor;
la voce del cantor
non è più quella.
Ardea nel suo segreto;
e i voti, i lai, l'ardor
alla canzon d'amor
fidò indiscreto.
Dal talamo inaccesso
udillo il suo signor:
l'improvvido cantor
tradì se stesso.
Pei dì del giovinetto
tremò alla donna il cor,
ignara fino allor
di tanto affetto.
E supplice al geloso,
ne contenea il furor:
bella del proprio onor
piacque allo sposo.
Rise l'ingenua. Blando
l'accarezzò il signor:
ma il giovin trovator
cacciato è in bando.
De' cari occhi fatali
più non vedrà il fulgor,
non berrà più da lor
l'obblio de' mali.
Varcò quegli atri muto
ch'ei rallegrava ognor
con gl'inni del valor,
col suo lïuto.
Scese, varcò le porte;
stette, guardolle ancor:
e gli scoppiava il cor
come per morte.
Venne alla selva bruna:
quivi erra il trovator,
fuggendo ogni chiaror
fuor che la luna.
La guancia sua sì bella
più non somiglia un fior;
la voce del cantor
non è più quella.

martedì 30 agosto 2011

La vendemmia*Canto secondo di Giovanni Pascoli

Charles Sprague Pearce*The death of the first born
"Rosina! L'hai promesso anche stamane...
Non pianger più!" Ma Rosa pianse ancora,
tra il suono a festa delle due campane.
"O Violetta, mi pareva or ora
fosse la gloria per un angiolino...
oh! come quando... Fu dopo l'aurora.
Sentii parlare ed un odor vicino.
Avean qualche garofano e viola:
una ghirlanda per il mio bambino.
E c'era il prete, il prete con la stola.
- Ma tutto ha qui! le robe sue ben fatte,
la sua cunella con le sue lenzuola,
e un petto ancora pieno del suo latte!
Non vuol venire. È tristo, che fa pena.
Oh! come è tristo! In vero è così poco
che ride un poco! Ci ha imparato appena! -
Ricordo un giorno lo sfasciavo, al fuoco,
e lo guardavo. Ei tese il dito a un occhio.
Lo vide lustro, gli pareva un gioco,
chi sa? vedeva un altro bel rabocchio
lì dentro. E io me lo tenea lontano,
lo patullavo in alto d'in ginocchio,
gli prendea la manina nella mano,
e la scoteva, gli facea le rise;
ed ecco, anch'egli si provò pian piano,
fece bel bello le fossette, e rise.
Rise. M'avea riconosciuta: ero io:
la mamma, ahimè!... Prima, diceva al seno,
con gli occhi e con le due manine, È mio!
Dopo, ero sua, tutta, né più né meno.
E, se vagiva e se piangeva, al suono
della mia voce si facea sereno.
Com'era savio! Come savio e buono!
A volte, quando era a dormir di giorno,
entravo, udito un grido, un tonfo, un tuono...
S'è desto? Nulla. Qualche mosca intorno
ai vetri... Alzavo il velo della culla.
Sul guancialino coi belli orli a giorno,
ridea tra sé, guardando in alto, a nulla.
Oh! non a nulla! Egli rideva, io penso,
con gli angioletti. Io ci sentii l'odore
di gigli, a volte; o un vago odor d'incenso.
Nella sua stanza essi venian nell'ore
calde che i bimbi dormono. Alla gola
uno lo vellicava con un fiore;
e tutti attorno alla cunella sola
facean i giochi, ed e' guardava attento,
come lassù si canta e suona e vola:
scoteano i loro cembali d'argento,
battean sui loro tamburelli vani...
Entravo, e via sparivano col vento:
rideva esso, annaspando con le mani.
Ma poi... piangeva. Mi si fece bianco
e stento, e quando lo attaccavo al petto,
succhiava un poco e poi pareva stanco.
Non mi voleva. E quasi avea dispetto
della sua mamma. Quante n'ho cantate,
di ninnenanne, senza toccar letto!
Me lo ninnavo in collo le nottate
intere al fresco, uscendo con lui fuori
al lucciolìo dell'odorosa estate.
Pensavo ai mesi ch'ebbi in me due cuori...
Come piangeva or l'uno e l'altro, accanto!
E tra quella allegria di grilli mori
come passava triste ora quel pianto!
- Ma che vuoi dunque? Andar con loro? E ch'io
ti lasci andare? A me tu lo domandi?
Per me t'ho fatto! - Eppure un giorno, addio!
- Hai pianto e pianto a ciò che ti rimandi
donde sei sceso. Ora ti lascio alfine! -
Restò con gli occhi aperti fissi grandi.
Gli misi la cuffietta con le trine;
la sua camicia, la sua vesticciola,
gli misi i fiori nelle sue manine.
L'accomodavo senza far parola,
quando d'un tratto udii parlar da basso.
Gli misi le scarpine con la suola
nova, pulita... O Dio, nemmeno un passo!
La terra, non l'avean toccata ancora!
oh! i miei piedini!... I bimbi della scuola
venner coi fiori un po' dopo l'aurora.
E c'era il prete, il prete con la stola.
Era pronto il bambino, era vestito.
Quando sonò la gloria alla chiesuola...
Che scampanìo festoso ed infinito!
L'angiolo andava a gli angioli, a cui tanto
avea sorriso tacito e romito.
E va, va pure, piccolo mio santo...
Cos'è la mamma? E che può darti? Il petto
e un po' di latte; il cuore, un cuore affranto;
e poi, cos'altro? Oh! niente, angiolo eletto.
Va dunque, e tu, veglia su lei, su loro.
E cosa ha fatto ella per te? T'ha fatte
due camicine: non un gran lavoro!
Lassù quell'uomo batte batte batte
sulle campane... Io guardo il bimbo, muto
con gli occhi aperti, gli occhi ancor di latte...
Ah! che capii, che non avea voluto,
che non voleva! Quel gran pianto, oh! era,
che non voleva, e mi chiedeva aiuto!
Nella cassina stava lì, di cera,
con le manine che facean Gesù,
con gli occhi aperti sino da ier sera:
guardava... - O mamma, che non mi vuoi più! -
Piangea più forte, ma s'alzò smarrita.
Sentiva, dentro, un rodere, un discreto
grattar all'uscio, all'uscio della vita;
ma così piano, ma così segreto,
così lontano... Avea tre mesi appena...
Era già buio, e tutto era già cheto.
L'uva era colta, e si dovea far cena.

lunedì 29 agosto 2011

Davanti il Castelvecchio di Verona di Giosuè Carducci

Angelo Dall'Oca Bianca*Verona*1884
Tal mormoravi possente e rapido
sotto i romani ponti, o verde Adige,
brillando dal limpido gorgo,
la tua scorrente canzone al sole,
quando Odoacre dinanzi a l’impeto
di Teodorico cesse, e tra l’erulo
eccidio passavan su i carri
diritte e bionde le donne amàle
entro la bella Verona, odinici
carmi intonando: raccolta al vescovo
intorno, l’italica plebe
sporgea la croce supplice a’ Goti.
Tale da i monti di neve rigidi,
ne la diffusa letizia argentea
del placido verno, o fuggente
infaticato, mormori e vai
sotto il merlato ponte scaligero,
tra nere moli, tra squallidi alberi,
a i colli sereni, a le torri,
onde abbrunate piangon le insegne
il ritornante giorno funereo
del primo eletto re da l’Italia
francata: tu, Adige, canti
la tua scorrente canzone al sole.
Anch’io, bel fiume, canto: e il mio cantico
nel picciol verso raccoglie i secoli,
e il cuore al pensiero balzando
segue la strofe che sorge e trema.
Ma la mia strofe vanirà torbida
ne gli anni: eterno poeta, o Adige,
tu ancor tra le sparse macerie
di questi colli turriti, quando
su le rovine de la basilica
di Zeno al sole sibili il còlubro,
ancor canterai nel deserto
i tedi insonni de l’infinito.
(A mio padre, nato e vissuto sulle rive del suo amato fiume Adige.)
20 anni senza te.

domenica 28 agosto 2011

Una dedica a mia moglie di Thomas Stearns Eliot

Norman Rockwell*1930
Una dedica a mia moglie
A cui devo la gioia palpitante
Che tiene desti i miei sensi nella veglia,
E il ritmo che governa il riposo nel sonno.
Il respiro comune
Di due che si amano, e i corpi
Profumano l'uno dell'altro,
Che pensano uguali pensieri
E non hanno bisogno di parole
E si sussurrano uguali parole
Che non hanno bisogno di significato.
L'irritabile vento dell'inverno non potrà gelare
Il rude sole del tropico non potrà mai dissecare le rose
Nel giardino di rose che è nostro ed è nostro soltanto.
Ma questa dedica è scritta affinchè altri la leggano:
Sono parole private che io ti dedico in pubblico.
*°*°*°*
A DEDICATION TO MY WIFE
To whom I owe the leaping delight
That quickens my senses in our wakingtime
And the rhythm that governs the repose of our sleepingtime,
The breathing in unison
Of lovers whose bodies smell of each other
Who think the same thoughts without need of speech
And babble the same speech without need of meaning.
No peevish winter wind shall chill
No sullen tropic sun shall wither
The roses in the rose-garden which is ours and ours only
But this dedication is for others to read:
These are private words addressed to you in public.
(...e io la dedico a mio marito,
 oggi, nel 35° anniversario di matrimonio) 

sabato 27 agosto 2011

Su una lettera non scritta di Eugenio Montale

Edgar Maxence*1941
Per un formicolìo d'albe, per pochi
fili su cui s'impigli
il fiocco della vita e s'incollani
in ore e in anni, oggi i delfini a coppie
capriolano coi figli? Oh ch'io non oda
nulla di te, ch'io fugga dal bagliore
dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.
Sparir non so né riaffacciarmi; tarda
la fucina vermiglia
della notte, la sera si fa lunga,
la preghiera è supplizio e non ancora
tra le rocce che sorgono t'è giunta
la bottiglia dal mare. L'onda, vuota,
si rompe sulla punta, a Finisterre.
(La Bufera* Finisterre)

venerdì 26 agosto 2011

La vendemmia*Canto Primo di Giovanni Pascoli

George Clausen*1889
Una vendemmia fa, così, piacere!
Nemmeno un chicco marcio nella pigna.
- E tutte pigne, salde fisse nere.
- Uva d'alberi, e pare uva di vigna.
- Ma qui ci son d'agosto le cicale
da levar gli occhi! qui la vite alligna!
- Porta il bigoncio. - È pieno.
- Avessi l'ale!
Avessi l'ale d'una rondinella!
Il nido lo farei nel tuo guanciale.
- Guarda: la vespa vuole la più bella.
- L'ape fa il miele, eppur le basta un fiore,
fior di trifoglio, fior di lupinella.
- Ha fatto buono all'uva lo stridore
di tutta estate. - Ciò che fa per l'una,
non fa per l'altro. - Ora, contava l'ore.
"Qua le canestre, donne".
- O bella bruna!
Quando nascesti, in cielo una campana
sonava sola, al lume della luna.
- Questa la stenderete sull'altana:
è troppo bella per andar nel tino.
- Ma anche quello è come vin di grana!
- Non ci fu pioggie, non ci fu lo strino.
- Portate bere. Molto all'uva aggrada
sentirsi in viso l'alito del vino.
- Pigia il bigoncio un po'.
- "Sono in istrada,
E che mi dài, che mi conviene andare?"
"Un bacio in bocca, perché tu non vada".
- La paradisa ha pigne lunghe e chiare,
e tutti d'oro sono i chicchi, e hanno
il sole dentro, il sole che traspare.
- Rigo, di tutte queste qui, si fanno
cipelle, acché, tu con la moglie accanto,
ne mangi all'alba, il primo dì dell'anno.
L'uva vuol dire il buono, il bello, il tanto.
E porta bene, o Rigo.
- Ho contro, io sento,
fin le finestre, e quando passo e canto,
si chiudono da loro senza vento.
Così staccavi la dolce uva, alfine,
co' tuoi vicini, ché i vicini sono
mezzo parenti, e con le tue vicine,
o Rigo. Il tempo era da un pezzo al buono,
e la vendemmia si cocea matura
anche a bacìo; quando sentisti un tuono.
Dicesti: il bello è bello, ma non dura.
E vendemmiasti. Ed era un giorno asciutto,
si scivolava per la grande asprura,
cupo di vespe era un ronzìo per tutto,
calda era l'uva e, nei bigonci ancora,
rendeva già l'odor del mosto e il flutto.
La gente era venuta sull'aurora
quando la guazza o la nebbietta inerte
vapora in cielo, e il cielo si colora.
Allor le donne ascesero per l'erte,
parlando basso, e recideano a prova
le pigne con le piccole ugne esperte.
Le recideano al nodo che si trova
a mezzo il gambo. Le galline intorno
bandian l'annunzio, ad or ad or, dell'ova.
Ma crebbe il vario favellìo col giorno.
Montava, per tagliare le pinzane,
un giovinetto sul pioppo e sull'orno.
Cantava poi, quand'erano lontane
le donne, quando in una sua cestella
portava il vino Violetta e il pane.
Ell'era in casa della sua sorella
da un mese e più; ma stava per tornare
a casa sua, più pallida e più bella.
"C'è tempo:" Rigo alla gentil comare
diceva "addietro è là da voi la vite.
Poi verrò io: non c'è di mezzo il mare".
Era un piacere rivederle unite
le due sorelle al solito lavoro!
Ma quelle sere, nell'ottobre mite,
anche si dava che piangean tra loro.
Erano quella sera alla finestra.
Salìano gli uni coi bigonci pieni,
l'altre scendean con vuota la canestra.
Parlavano nel lungo va e vieni,
alto, ché in loro anche parlava il vino.
"Si vuol finire, prima che si ceni".
"Non resta che il filare qui vicino.
Saranno due bigonci o tre; ma un poco,
perché li tenga, vuol pigiato il tino".
Il cielo già si colorava in fuoco.
Al colmo tino il giovinetto snello
si lanciò su, come a provar per gioco.
Stette sull'orlo un poco in piedi, bello,
raggiante tutto del suo bel domani,
a braccia spante, simile a un uccello.
Poi si chinò, s'apprese con le mani
all'orlo, e dentro, fra le pigne frante
tuffò le gambe e sul crosciar dei grani.
Il rosso mosto risalì spumante
sopra i garretti; ed ei girava a tondo
premendo coi calcagni e con le piante.
E il sole rosso illuminava il biondo
vendemmiatore; ed ecco, da un remoto
canto del cielo un tintinnìo giocondo.
Uno, dal cielo, accompagnava il moto
dei piedi suoi, di su quei rosei fiocchi,
picchiando in furia sur un bronzo vuoto...
L'altro moveva rapidi i ginocchi
sul rosso mosto, anche movea la testa
ben in cadenza, il sole in mezzo agli occhi.
Ma era un suono di campane a festa.
E quei pigiava; quando, all'improvviso,
Rosa lassù, Rosa, già muta e mesta,
si levò su, molle di pianto il viso,
con un singhiozzo, e Violetta, china
a guardar fuori immersa in un sorriso
si volse bianca, e mormorò: Rosina!
(Nuovi poemetti)

giovedì 25 agosto 2011

Lesbo di Charles Baudelaire

John William Godward*Lesbia with her sparrow*
Madre di giochi latini e greche voluttà,
Lesbo, dove i baci, languidi o gioiosi,
freschi come angurie, caldi come soli,
adornano le notti e i giorni gloriosi,
Madre di giochi latini e greche voluttà,
Lesbo, dove i baci son come cascate
che ardite si gettano nei gorghi infiniti
e corrono con singhiozzi e chioccoli a ondate,
brulicanti e profondi, tempestosi e segreti;
Lesbo, dove i baci son come cascate!
Lesbo, dove le Frini l'un l'altra s'attirano,
dove mai un sospiro restò senz'eco,
come Pafo tutte le stelle ti ammirano,
a buon diritto Venere è gelosa di Saffo!
Lesbo, dove le Frini l'un l'altra s'attirano,
Lesbo, terra di notti calde e struggenti,
dove di fronte a specchi, sterile voluttà!
fanciulle con occhi scavati, dei lor corpi amanti,
carezzano i frutti maturi della nubile età;
Lesbo, terra di notti calde e struggenti,
che s'aggrotti l'occhio grave del vecchio Platone;
amabile e nobile terra, regina del dolce imperio,
nell'eccesso dei tuoi baci trai la tua assoluzione,
e dai continui affinamenti del desiderio.
Che s'aggrotti l'occhio grave del vecchio Platone.
Trai la tua assoluzione dall'eterno martirio,
inflitto senza tregua ai cuori ambiziosi,
e che allontana da noi il radioso sorriso
vagamente intravisto sull'orlo d'altri cieli!
Trai la tua assoluzione dall'eterno martirio!
Chi fra gli Dei, Lesbo, oserà essere tuo giudice
e condannare la tua fronte pallida di fatiche,
senza aver pesato sulle sue auree bilance
il diluvio di lacrime che hai versato in mare?
Chi fra gli Dei, Lesbo, oserà essere tuo giudice?
Che pretendono le leggi del giusto e dell'ingiusto?
Vergini dal cuore eccelso, dell'Arcipelago onore,
come un altro culto il vostro culto è augusto,
e del Cielo e dell'Inferno riderà l'amore!
Che pretendono le leggi del giusto e dell'ingiusto?
Poichè Lesbo fra tutti m'ha scelto sulla terra
per cantare il segreto delle vergini fiorenti,
e io fui, ancor fanciullo, ammesso al nero mistero
di risa sfrenate mescolate a cupi pianti;
poichè Lesbo fra tutti m'ha scelto sulla terra.
E da allora io vigilo in cima a Leucade,
sentinella dallo sguardo profondo e sicuro,
che notte e giorno scruta le sagome lontane,
frementi nell'azzurro, di fregate e tartane;
e da allora io vigilo in cima a Leucade,
per sapere se il mare è indulgente e buono,
e se una sera fra singhiozzi, eco degli scogli,
restituirà a Lesbo (che mai negò il perdono),
l'adorato cadavere di Saffo, che partì
per sapere se il mare è indulgente e buono!
Della maschia Saffo, la poetessa e l'amante,
più bella di Venere nei suoi tristi pallori!
- L'occhio azzurro è vinto dal nero occhio striato
dal cerchio tenebroso segnato dai dolori
della maschia Saffo, la poetessa e l'amante!
- Più bella di Venere che s'erge sul mondo
sparge i tesori del suo sereno spirito
e i raggi del suo giovane corpo biondo
sul vecchio Oceano che ne fu incantato;
più bella di Venere che s'erge sul mondo!
- Di Saffo che morì nel giorno blasfemo,
quando, insultando il rito e il culto inventato,
fece del suo bel corpo il pasto supremo
d'un bruto il cui orgoglio punì il peccato
di colei che morì nel giorno blasfemo.
È da quel tempo che Lesbo si lamenta,
e, malgrado gli onori che l'universo le rende,
ogni notte s'inebria del grido che la tormenta
leva alto al cielo dalle sue deserte sponde.
È da quel tempo che Lesbo si lamenta!
*°*°*°*
LESBOS
Mère des jeux latins et des voluptés grecques,
Lesbos, où les baisers, languissants ou joyeux,
Chauds comme les soleils, frais comme les pastèques,
Font l'ornement des nuits et des jours glorieux,
Mère des jeux latins et des voluptés grecques,
Lesbos, où les baisers sont comme les cascades
Qui se jettent sans peur dans les gouffres sans fonds
Et courent , sanglotant et gloussant par saccades,
Orageux et secrets, fourmillants et profonds ;
Lesbos, où les baisers sont comme les cascades !
Lesbos, où les Phrynés l'une l'autre s'attirent,
Où jamais un soupir ne resta sans écho,
A l'égal de Paphos les étoiles t'admirent,
Et Vénus à bon droit peut jalouser Sapho !
Lesbos, où les Phrynés l'une l'autre s'attirent,
Lesbos, terre des nuits chaudes et langoureuses,
Qui font qu'à leurs miroirs, stérile volupté !
Les filles aux yeux creux, de leur corps amoureuses,
Caressent les fruits mûrs de leur nubilité ;
Lesbos, terre des nuits chaudes et langoureuses,
Laisse du vieux Platon se froncer l'oeil austère ;
Tu tires ton pardon de l'excès des baisers,
Reine du doux empire, aimable et noble terre,
Et des raffinements toujours inépuisés.
Laisse du vieux Platon se froncer l'oeil austère.
Tu tires ton pardon de l'éternel martyre,
Infligé sans relâche aux coeurs ambitieux,
Qu'attire loin de nous le radieux sourire
Entrevu vaguement au bord des autres cieux !
Tu tires ton pardon de l'éternel martyre !
Qui des Dieux osera, Lesbos, être ton juge
Et condamner ton front pâli dans les travaux,
Si ses balances d'or n'ont pesé le déluge
De larmes qu'à la mer ont versé tes ruisseaux ?
Qui des Dieux osera, Lesbos, être ton juge ?
Que nous veulent les lois du juste et de l'injuste ?
Vierges au coeur sublime, honneur de l'Archipel,
Votre religion comme une autre est auguste,
Et l'amour se rira de l'Enfer et du Ciel !
Que nous veulent les lois du juste et de l'injuste ?
Car Lesbos entre tous m'a choisi sur la terre
Pour chanter le secret de ses vierges en fleurs,
Et je fus dès l'enfance admis au noir mystère
Des rires effrénés mêlés aux sombres pleurs ;
Car Lesbos entre tous m'a choisi sur la terre.
Et depuis lors je veille au sommet de Leucate,
Comme une sentinelle à l'oeil perçant et sûr,
Qui guette nuit et jour brick, tartane ou frégate,
Dont les formes au loin frissonnent dans l'azur ;
Et depuis lors je veille au sommet de Leucate,
Pour savoir si la mer est indulgente et bonne,
Et parmi les sanglots dont le roc retentit
Un soir ramènera vers Lesbos, qui pardonne,
Le cadavre adoré de Sapho qui partit
Pour savoir si la mer est indulgente et bonne !
De la mâle Sapho, l'amante et le poète,
Plus belle que Vénus par ses mornes pâleurs !
- L'oeil d'azur est vaincu par l'oeil noir que tachète
Le cercle ténébreux tracé par les douleurs
De la mâle Sapho, l'amante et le poète !
- Plus belle que Vénus se dressant sur le monde
Et versant les trésors de sa sérénité
Et le rayonnement de sa jeunesse blonde
Sur le vieil Océan de sa fille enchanté ;
Plus belle que Vénus se dressant sur le monde !
- De Sapho qui mourut le jour de son blasphème,
Quand, insultant le rite et le culte inventé,
Elle fit son beau corps la pâture suprême
D'un brutal dont l'orgueil punit l'impiété
De celle qui mourut le jour de son blasphème.
Et c'est depuis ce temps que Lesbos se lamente,
Et, malgré les honneurs que lui rend l'univers,
S'enivre chaque nuit du cri de la tourmente
Que poussent vers les cieux ses rivages déserts.
Et c'est depuis ce temps que Lesbos se lamente !

mercoledì 24 agosto 2011

I mattini passano chiari di Cesare Pavese

Georgette Agutte
I mattini passano chiari
e deserti. Così i tuoi occhi
s'aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d'immobile luce.
Taceva. Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
E' buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.
(Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-1950)

martedì 23 agosto 2011

Nel giardino di Stephane Mallarmè

Franz Dvorak
La giovane donna che avanza sul prato
Innanzi all'estate adorna di pomi e di grazie,
Quando delle ore il pieno mezzodì scocca le dodici,
In quella pienezza fermando i bei passi,
Disse un giorno, tragica abbandonata, - sposa -
Alla morte che seduceva il suo Poeta: Trapasso!
Tu menti. O vano clima nullo! io mi so gelosa
Del falso Eden che, triste, egli non abiterà.
Ecco perché i fiori profondi della terra
L'amano con silenzio e scienza e mistero,
Mentre nel loro cuore sogna il puro polline:
Ed egli, quando la brezza, ebbra di delizie,
Sospende per un attimo un nome che i calici rapisce,
Con voce flebile, talvolta, chiama piano: Ellen!
*°*°*°
Dans le jardin
La jeune dame qui marche sur la pelouse
Devant l'été paré de pommes et d'appas,
Quand des heures Midi comblé jette les douze,
Dans cette plénitude arrêtant ses beaux pas,
A dit un jour, tragique abandonnée - épouse -
A la Mort séduisant son Poëte : "Trépas !
Tu mens. Ô vain climat nul ! je me sais jalouse
Du faux Éden que, triste, il n'habitera pas."
Voilà pourquoi les fleurs profondes de la terre
L'aiment avec silence et savoir et mystère,
Tandis que dans leur coeur songe le pur pollen :
Et lui, lorsque la brise, ivre de ces délices,
Suspend encore un nom qui ravit les calices,
A voix faible, parfois, appelle bas : Ellen !

lunedì 22 agosto 2011

Frutta erbaggi di Umberto Saba

Blaise Desgoffe
Erbe, frutta, colori della bella
stagione. Poche ceste ove alla sete
si rivelano dolci polpe crude.
Entra un fanciullo colle gambe nude,
imperioso, fugge via.
S'oscura
l'umile botteguccia, invecchia come
una madre.
Di fuori egli nel sole
si allontana, con l'ombra sua, leggero.

domenica 21 agosto 2011

A di Edgar Allan Poe

Albert Moore*Midsummer
Dormi, oh dormi per un poco ancora!
Perche' cessare un cosi' placido sonno?
Per ridestarti al sole e al piovasco,
al sorriso e al pianto? 
Dormi, dormi, come scolpita immagine,
cosi' colma di belta', di maesta';
i serafini con l' ali ti fan vento,
fan vento alla tua fronte.
Non vorremmo pensarti creatura terrestre,
perche' angelica, oh angelica la tua forma! -
ma che in cielo, piuttosto, avesti origine,
dove mai tempesta
s' abbatte' sul bel fiore perfetto,
ma tutto e' calma e belta' -
e sabbie dorate proclamano ore
che mai non recano alcun male.
Dormi, dormi, forse un sogno fatato passa
sul tuo sonno e con esso s' intreccia.
Ma, oh, il tuo chiaro, sereno spirito
pur dovra' svegliarti al pianto.
*°*°*°*
TO-
Sleep on, sleep on, another hour —
I would not break so calm a sleep,
To wake to sunshine and to show’r,
To smile and weep.
Sleep on, sleep on, like sculptured thing,
Majestic, beautiful art thou;
Sure seraph shields thee with his wing
And fans thy brow —
We would not deem thee child of earth,
For, O, angelic, is thy form!
But, that in heav’n thou had’st thy birth,
Where comes no storm
To mar the bright, the perfect flow’r,
But all is beautiful and still —
And golden sands proclaim the hour
Which brings no ill.
Sleep on, sleep on, some fairy dream
Perchance is woven in thy sleep —
But, O, thy spirit, calm, serene,
Must wake to weep.

sabato 20 agosto 2011

Il pianto della scavatrice I di Pier Paolo Pasolini

Romero De Torres*1930
Solo l'amare, solo il conoscere
conta, non l'aver amato,
non l'aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L'anima non cresce più.
Ecco nel calore incantato
della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume e le sopite
visioni della città sparsa di luci,
echeggia ancora di mille vite,
disamore, mistero, e miseria
dei sensi, mi rendono nemiche
le forme del mondo, che fino a ieri
erano la mia ragione d'esistere.
Annoiato, stanco, rincaso, per neri
piazzali di mercati, tristi
strade intorno al porto fluviale,
tra le baracche e i magazzini misti
agli ultimi prati. Lì mortale
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare
ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri - in tuta o coi calzoni
di lavoro, ma spinti da un festivo ardore-
i giovani, coi compagni sui sellini,
ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori
chiacchierano in piedi con voci
alte nella notte, qua e là, ai tavolini
dei locali ancora lucenti e semivuoti.
Stupenda e misera città,
che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d'estate;
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire
che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognuno, era il mondo.
Una luna morente nel silenzio,
che di lei vive, sbianca tra violenti
ardori, che miseramente sulla terra
muta di vita, coi bei viali, le vecchie
viuzze, senza dar luce abbagliano
e, in tutto il mondo, le riflette
lassù, un po' di calda nuvolaglia.
È la notte più bella dell'estate.
Trastevere, in un odore di paglia
di vecchie stalle, di svuotate
osterie, non dorme ancora.
Gli angoli bui, le pareti placide
risuonano d'incantati rumori.
Uomini e ragazzi se ne tornano a casa
- sotto festoni di luci ormai sole -
verso i loro vicoli, che intasano
buio e immondizia, con quel passo blando
da cui più l'anima era invasa
quando veramente amavo, quando
veramente volevo capire.
E, come allora, scompaiono cantando.
1956

venerdì 19 agosto 2011

Festiva l'estate di Rabindranath Tagore

Francisco Pons Arnau
Festiva l'estate soltanto per i teneri
germi, o non anche per le fronde vizze e
i fiori appassiti?
Il canto del mare è armonioso solo sull'onde
che si levano?
O non anche sull'onde che scendono?
Bensì trapunto di gemme è il tappeto
ove s'erge il mio re, ma pur le umili
zolle aspettan d'essere sfiorate dal suo piede.
Son pochi i savi e i grandi seduti accanto
al mio Maestro, ma Egli ha inalzato sulle
braccia il folle e così mi ha fatto
Suo servitore per sempre.

giovedì 18 agosto 2011

Serenata di grilli di Clemente Rebora

Alexander John White*Memories*1903
O dei grilli in cadenza solitaria
ai poggi senza stelle
dentro il bagnato alitare dell'aria
tenui serenatelle!
Cos'è la vita con le sue rabbie a voi
persi nei solchi fuori
all'ombra inerte, o di silenzi a noi
dolcissimi cantori?
Anima intona la tua voce e nulla
non domandare più:
càntati la canzone della culla
mentre declini giù.

mercoledì 17 agosto 2011

Mezza estate di Emily Dickinson

James Guthrie*Midsummer*1892
Mezza Estate, era, quando morirono -
Un pieno, e perfetto periodo -
L'Estate chiusa in se stessa
In Compiuta Fioritura -
Il Grano, le sue ultime Spighe riempiva
Prima dell'imminente Falce -
Mentre Loro - piegavano verso la Perfezione -
Attraverso la Nebbia del Sepolcro -
*°*°*°*
Midsummer, was it, when They died -
A full, and perfect time -
The Summer closed upon itself
In Consummated Bloom -
The Corn, her furthest Kernel filled
Before the coming Flail -
When These - leaned into Perfectness -
Through Haze of Burial -

martedì 16 agosto 2011

Sereno e Quiete di Giuseppe Ungaretti

Franz Dvorak*In the orchard*1912
SERENO
Arso tutto ha l'estate.
Ma torni un dito d'ombra,
Ritrova il rosolaccio sangue,
E di luna, la voce che si sgrana
I canneti propaga.
Muore il timore e la pietà.
*°*°*°
QUIETE
L'uva è matura, il campo arato,
Si stacca il monte dalle nuvole.
Sui polverosi specchi dell'estate
Caduta è l'ombra,
Tra le dita incerte
Il loro lume è chiaro,
E lontano.
Colle rondini fugge
L'ultimo strazio.
(1929*Sogni e Accordi)

lunedì 15 agosto 2011

Vedo i ragazzi dell'estate di Dylan Thomas

Leon Frederic*The source of life*1890
Nella loro rovina vedo i ragazzi dell'estate
Desolare i campi d'oro,
Non dare importanza alla messe, raggelare il suolo;
Laggiù nel loro ardore che l'inverno inonda
Di gelidi amori, le loro ragazze essi prendono,
Nelle proprie maree le mele cariche annegano.
Questi ragazzi di luce nella follia coagulano,
E inacidiscono il miele bollente;
Negli alveari col dito le cotte di gelo essi toccano;
Laggiù nel sole con frigidi fili
Di dubbio e oscurità nutrono i loro nervi;
Nei loro vuoti è nulla il quadrante della luna.
Vedo i fanciulli dell'estate nelle loro madri
Fender le muscolose intemperie del grembo,
Notte e giorno dividere coi pollici fatati;
Laggiù nel fondo con ombre inquartate
Di sole e luna le genitrici dipingono
Come luce di sole dipinge il guscio delle loro teste.
Da questi ragazzi m'accorgo che uomini da nulla
Per movimenti esausti cresceranno,
O azzopperanno l'aria dai suoi calori balzando;
Laggiù nei loro cuori il palpito canicolare
D'amore e luce esplode nelle loro gole.
Oh, vedi il palpito, nel ghiaccio, dell'estate.
Ma le stagioni han da esser vendicate altrimenti vacillano
In un quartiere di suoni
Dove, come la morte puntuali, faremo squillare le stelle;
Laggiù, nella sua notte, le campane dal cupo linguaggio,
L'insonnolito uomo dell'inverno scuote,
Né le respinge la luna-e-mezzanotte quando soffia.
Noi siamo coloro che negano oscuri, lasciateci evocare
La morte da una donna dell'estate,
Da stretti amanti una vita muscolosa,
Dai morti di gentile aspetto che inondano il mare
Il verme dal vivido occhio sulla lampada di Davy,
E dal piantato grembo l'uomo trascurabile.
Noi ragazzi dell'estate in questa rotazione quadriventosa,
Verde del ferro dell'alghe marine,
Il fragoroso mare sosteniamo e facciamo gocciare i suoi uccelli,
Raccogliamo la sfera del mondo di flutto e di schiuma
Per soffocar deserti con le sue maree,
Pettiniamo i giardini delle contee per farne una ghirlanda.
In primavera sulle nostre fronti un agrifoglio in croce disponiamo,
Sia gloria al sangue e alla bacca,
Ed inchiodiamo all'albero gli allegri possidenti;
Qui l'umido muscolo amoroso si dissecca e muore,
In cava nessuna d'amore un bacio noi spezziamo.
Oh, vedi, nei ragazzi, della promessa i pali.
Nella vostra rovina vi vedo, ragazzi dell'estate.
L'uomo è sterile nella sua larva.
E nella sacca i ragazzi son colmi e stranieri.
Io sono l'uomo che fu vostro padre.
Noi siamo i figli della selce e della pece.
Oh, vedi i pali che si baciano incrociandosi.
*°*°*°*
I SEE THE BOYS OF SUMMER
I see the boys of summer in their ruin
Lay the gold tithings barren,
Setting no store by harvest, freeze the soils;
There in their heat the winter floods
Of frozen loves they fetch their girls,
And drown the cargoed apples in their tides.
These boys of light are curdlers in their folly,
Sour the boiling honey;
The jacks of frost they finger in the hives;
There in the sun the frigid threads
Of doubt and dark they feed their nerves;
The signal moon is zero in their voids.
I see the summer children in their mothers
Split up the brawned womb's weathers,
Divide the night and day with fairy thumbs;
There in the deep with quartered shades
Of sun and moon they paint their dams
As sunlight paints the shelling of their heads.
I see that from these boys shall men of nothing
Stature by seedy shifting,
Or lame the air with leaping from its heats;
There from their hearts the dogdayed pulse
Of love and light bursts in their throats.
O see the pulse of summer in the ice.
But seasons must be challenged or they totter
Into a chiming quarter
Where, punctual as death, we ring the stars;
There, in his night, the black-tongued bells
The sleepy man of winter pulls,
Nor blows back moon-and-midnight as she blows.
We are the dark deniers, let us summon
Death from a summer woman,
A muscling life from lovers in their cramp,
From the fair dead who flush the sea
The bright-eyed worm on Davy's lamp,
And from the planted womb the man of straw.
We summer boys in this four-winded spinning,
Green of the seaweeds' iron,
Hold up the noisy sea and drop her birds,
Pick the world's ball of wave and froth
To choke the deserts with her tides,
And comb the county gardens for a wreath.
In spring we cross our foreheads with the holly,
Heigh ho the blood and berry,
And nail the merry squires to the trees;
Here love's damp muscle dries and dies,
Here break a kiss in no love's quarry.
O see the poles of promise in the boys.
I see you boys of summer in your ruin.
Man in his maggot's barren.
And boys are full and foreign in the pouch.
I am the man your father was.
We are the sons of flint and pitch.
O see the poles are kissing as they cross.

domenica 14 agosto 2011

Sera di Versilia di Alfonso Gatto

Daniel Garber*Madre e figlio
Come il mare deserto stacca il molo
nel cielo puro del tramonto, solo
resta sul tetto di lamiera un fioco
riverbero del giorno. A poco a poco
appassisce nell’aria anche il clamore
monotono d’un grido e nell’odore
largo del vento e della sera stagna
la pineta già d’ombra, la campagna
deserta nei suoi pascoli, nel raro
lume dell’acque. Ora il silenzio è chiaro.
E la notte verrà con l’incantate
terrazze ai balli forti dell’estate,
al novilunio tenero dell’Alpe.

sabato 13 agosto 2011

Mary Morison di Robert Burns

Frank Weston Benson*A summer*1890
O Mary, affacciati alla finestra:
è l'ora desiderata, è l'ora stabilita!
Fa ch'io veda quei sorrisi e quegli sguardi
che rendon povero il tesoro dell'avaro:
come felicemente sopporterei la polvere,
costretto a faticare da un giorno all'altro,
se potessi assicurarmi questa ricca ricompensa:
l'amabile Mary Morison.
Ieri sera, quando al suono della tremolante corda
le danze attraversavano la sala illuminata,
a te è volato il mio pensiero:
lì io sedevo, ma non sentivo niente, niente vedevo.
Sebbene una fosse graziosa, un'altra bella
e l'altra la più bella di tutto il paese,
io sospiravo e dicevo in mezzo a loro:
"Voi non siete Mary Morison ".
O Mary, puoi tu distruggere la pace
di chi morirebbe volentieri per te?
Puoi tu spezzare quel cuore,
la cui sola colpa è quella d'amarti?
Se non vuoi rendere amore per amore,
almeno mostrami un po' di pietà!
Non può essere un pensiero scortese
il pensiero di Mary Morison.
*°*°*°*
O Mary, at thy window be,
It is the wish'd, the trysted hour!
Those smiles and glances let me see,
That makes the miser's treasure poor:
How blythely wad I bide the stoure,
A weary slave frae sun to sun,
Could I the rich reward secure,
The lovely Mary Morison.
Yestreen when to the trembling string
The dance gaed thro' the lighted ha'
To thee my fancy took its wing,
I sat, but neither heard nor saw:
Tho' this was fair, and that was braw,
And yon the toast of a' the town,
I sigh'd, and said amang them a',
"Ye are na Mary Morison."
O Mary, canst thou wreck his peace,
Wha for thy sake wad gladly die?
Or canst thou break that heart of his,
Whase only faut is loving thee?
If love for love thou wilt na gie
At least be pity to me shown:
A thought ungentle canna be
The thought o' Mary Morison.

venerdì 12 agosto 2011

Terra e mare di Luciano Erba

Lucian Freud*1951
Goletta, gentilissimo legno, svelto
prodigio! se il cuore
sapesse veleggiare come sai
tra gli azzurri arcipelaghi!
ma tornerò alla casa sulla rada
verso le sei, quando la Lenormant
avanza una poltrona sul terrazzo
e si accinge ai lavori di ricamo
per le mense d'altare.
Navigazione blu, estivi giorni
sere dietro una tenda a larghe maglie
come una rete! bottiglie
vascelli tra rocchi di conchiglie
e la lettura di Giordano bruno
nel salotto di giunco, nominatim
De la Causa Principio e Uno!
(Il Bel Paese 1955)

giovedì 11 agosto 2011

Voglio uno sciopero di Gioconda Belli

Hans Baluschek*Proletarierinnen*1900
Voglio uno sciopero dove incontrarci tutti.
Uno sciopero di braccia, di gambe, di capelli,
uno sciopero che nasca in ogni corpo.
Voglio uno sciopero
di operai, di colombe
di autisti, di fiori
di tecnici, di bambini
di medici, di donne.
Voglio un grande sciopero,
che arrivi sino all’amore.
Uno sciopero dove si fermi tutto,
l’orologio, le fabbriche
lo stabilimento, le scuole
l’autobus, gli ospedali
la strada, i porti.
Uno sciopero di occhi, di mani, di baci.
Un grande sciopero dove non sia permesso respirare,
uno sciopero dove nasca il silenzio
per ascoltare i passi
del tiranno che si allontana.

mercoledì 10 agosto 2011

L'alloro oceanico di Gabriele D'Annunzio

Sir Lawrence Alma Tadema
Oleandro d'Apollo, ambiguo arbusto
che d'ambra aulisci nell'ardente sera;
melagrano, e il tuo rosso balausto
quasi fiammella in calice di cera;
nautico pino, e il tuo scoglioso fusto
e i coni entro la chioma tua leggera;
olivo intorto da dolor vetusto,
e l'oliva tua dolce che s'annera;
ginepro irsuto, mirto caloroso,
lentisco, terebinto, caprifoglio,
cento corone dell'Estate ausonia;
ma te, sargasso, re del Marerboso,
vasto alloro del gorgo, anche te voglio,
che bacche fai come la fronda aonia.
(Alcyone)

martedì 9 agosto 2011

Siepe di Corrado Govoni

Jean Gabriel Domergue*Summer*1923

All'odore crudele
che viene dalle spine della siepe
il tuo sangue amareggia l'amore,
e ti diventan gli occhi
una luce cattiva pigiata.
Sulla tua statua che cammina
aprendo una nuova strada nel vento
invano battono le mie parole
come gocce di rugiada da me scossa.
Prego l'erba dell'argine ti venga incontro
come la lampada avvelenata del gigaro
per far soffrire la tua bocca rossa.
(Pellegrino d'amore)

lunedì 8 agosto 2011

Con la giovinezza di Ernest Hemingway

Enoch Bolles*1925
Una pelle di porcospino
Indurita dalla cattiva conciatura
Chissà dov'è finita.
Un allocco impagliato
Pomposo
Gli occhi gialli;
Un caprimulgo su un ramo inclinato
Nero di polvere.
Pile di vecchie riviste,
Cassetti di lettere infantili
E la riga dei saluti
Chissà dove sono finiti.
La Tribune di ieri è passata
Con la giovinezza
E la canoa che andò in pezzi sulla spiaggia
L'anno dell'uragano
Quando bruciò l'albergo
A Seney, Michigan.
*°*°*°*
Along with Youth
A porcupine skin,
Stiff with bad tanning,
It must have ended somewhere.
Stuffed horned owl
Pompous
Yellow eyed;
Chuck-wills-widow on a biased twig
Sooted with dust.
Piles of old magazines,
Drawers of boy's letters
And the line of love
They must have ended somewhere.
Yesterday's Tribune is gone
Along with youth
And the canoe that went to pieces on the beach
The year of the big storm
When the hotel burned down
At Seney, Michigan.
Parigi 1922