Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

martedì 31 luglio 2007

La morte del cardellino di Guido Gozzano

Flegel
La via del rifugio
La morte del cardellino
Chi pur ieri cantava, tutto spocchia,
e saltellava, caro a Tita, è morto.
Tita singhiozza forte in mezzo all'orto
e gli risponde il grillo e la ranocchia.
La nonna s'alza e lascia la conocchia
per consolare il nipotino smorto:
invano! Tita, che non sa conforto,
guarda la salma sulle sue ginocchia.
Poi, con le mani, nella zolla rossa
scava il sepolcro piccolo, tra un nimbo
d'asfodeli di menta e lupinella.
Ben io vorrei sentire sulla fossa
della mia pace il pianto di quel bimbo.
Piccolo morto, la tua morte è bella!

lunedì 30 luglio 2007

La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi

Frederick Childe Hassam*Summer*1886
CANTI - XXVII
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso.
Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville.
Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli;
il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo a' suoi studi intende?
O torna all'opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali.
Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.

domenica 29 luglio 2007

Io qui vagando al limitare intorno III frammento di Giacomo Leopardi

Bouguereau*L'amore s'invola
CANTI - II
III FRAMMENTO
Io qui vagando al limitare intorno,
Invan la pioggia invoco e la tempesta,
Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
Pure il vento muggìa nella foresta,
E muggìa tra le nubi il tuono errante,
Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta.
O care nubi, o cielo, o terra, o piante,
Parte la donna mia: pietà, se trova
Pietà nel mondo un infelice amante.
O turbine, or ti sveglia, or fate prova
Di sommergermi, o nembi, insino a tanto
Che il sole ad altre terre il dì rinnova.
S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto
Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia
Le luci il crudo Sol pregne di pianto.

sabato 28 luglio 2007

Canto notturno di un pastore errante dell'Asia di Giacomo Leopardi

Osbert*Moonlight
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale? Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale. Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
E` lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera, A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.

venerdì 27 luglio 2007

Per le nozze di mia figlia di Giosuè Carducci

Leighton*My fair lady
O nata quando su la mia povera
casa passava come uccel profugo
la speranza, e io disdegnoso
battea le porte de l'avvenire;
or che il piè saldo fermai su 'l termine
cui combattendo valsi raggiungere
e rauchi squittiscon da torno
i pappagalli lusingatori;
tu mia colomba t'involi, trepida
il nuovo nido voli a contessere
oltre Apennino, nel nativo
aëre dolce de' colli tóschi.
Va' con l'amore, va' con la gioia,
va' con la fede candida.
L'umide pupille fise al vel fuggente,
la mia Camena tace e ripensa.
Ripensa i giorni quando tu parvola
coglievi fiori sotto le acacie,
ed ella reggendoti a mano
fantasmi e forme spïava in cielo.
Ripensa i giorni quando a la morbida
tua chioma intorno rogge strisciavano
le strofe contro a gli oligarchi
librate e al vulgo vile d'Italia.
E tu crescevi pensosa vergine,
quand'ella prese d'assalto intrepida
i clivi de l'arte e piantovvi
la sua bandiera garibaldina.
Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite
teco fia dolce forse ritessere,
e risognare i cari sogni
nel blando riso de' figli tuoi?
O forse meglio giova combattere
fino a che l'ora sacra richiamine?
Allora, o mia figlia, - nessuna
me Beatrice ne' cieli attende -
allora al passo che Omero ellenico
e il cristïano Dante passarono
mi scorga il tuo sguardo,
la nota voce tua m'accompagni.
Odi barbare

giovedì 26 luglio 2007

Alceta e Melisso di Giacomo Leopardi

Charles Gleyre*Daphne e Chloe
CANTI - X FRAMMENTO
ALCETA
Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno
Di questa notte, che mi torna a mente
In riveder la luna. Io me ne stava
Alla finestra che risponde al prato,
Guardando in alto: ed ecco all'improvviso
Distaccasi la luna; e mi parea
Che quanto nel cader s'approssimava,
Tanto crescesse al guardo; infin che venne
A dar di colpo in mezzo al prato; ed era
Grande quanto una secchia, e di scintille
Vomitava una nebbia, che stridea
Sì forte come quando un carbon vivo
Nell'acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
La luna, come ho detto, in mezzo al prato
Si spegneva annerando a poco a poco,
E ne fumavan l'erbe intorno intorno.
Allor mirando in ciel, vidi rimaso
Come un barlume, o un'orma, anzi una nicchia,
Ond'ella fosse svelta; in cotal guisa,
Ch'io n'agghiacciava; e ancor non m'assicuro.
MELISSO
E ben hai che temer, che agevol cosa
Fora cader la luna in sul tuo campo.
ALCETA
Chi sa? non veggiam noi spesso di state
Cader le stelle?
MELISSO
Egli ci ha tante stelle,
Che picciol danno è cader l'una o l'altra
Di loro, e mille rimaner. Ma sola
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
Cader fu vista mai se non in sogno.

mercoledì 25 luglio 2007

Passero solitario di Giacomo Leopardi

De Riquer*Summer
CANTI - IV
D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo:
e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

martedì 24 luglio 2007

L'amica di nonna Speranza di Guido Gozzano

Federico Andreotti
La via del rifugio
L'amica di nonna Speranza28 giugno 1850 "...alla sua Speranza la sua Carlotta..." (dall'album: dedica d'una fotografia)
I.Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),
il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito, salve, ricordo, le noci di cocco,
Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po' scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d'anemoni arcaici,
le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature,
i dagherottìpi: figure sognanti in perplessità,
il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,
il cùcu dell'ore che canta, le sedie parate a damasco
chèrmisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!
II.I fratellini alla sala quest'oggi non possono accedere
che cauti (hanno tolte le fodere ai mobili. È giorno di gala).
Ma quelli v'irrompono in frotta. È giunta, è giunta in vacanza
la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta.
Ha diciassett'anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso:
da poco hanno avuto il permesso d'aggiungere un cerchio alla gonna,
il cerchio ampissimo increspa la gonna a rose turchine.
Più snella da la crinoline emerge la vita di vespa.
Entrambe hanno uno scialle ad arancie a fiori a uccelli a ghirlande;
divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo le guance.
Han fatto l'esame più egregio di tutta la classe. Che affanno
passato terribile! Hanno lasciato per sempre il collegio.
Silenzio, bambini! Le amiche - bambini, fate pian piano! -
le amiche provano al piano un fascio di musiche antiche.
Motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto
di Arcangelo del Leùto e d'Alessandro Scarlatti.
Innamorati dispersi, gementi il core e l'augello,
languori del Giordanello in dolci bruttissimi versi:
... ...caro mio ben credimi almen! senza di te languisce il cor!
Il tuo fedel sospira ognor, cessa crudel tanto rigor! ...
Carlotta canta. Speranza suona. Dolce e fiorita
si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita.
O musica. Lieve sussurro! E già nell'animo ascoso
d'ognuna sorride lo sposo promesso: il Principe Azzurro,
lo sposo dei sogni sognati... O margherite in collegio
sfogliate per sortilegio sui teneri versi del Prati!
III.Giungeva lo Zio, signore virtuoso, di molto riguardo,
ligio al Passato, al Lombardo-Veneto, all'Imperatore;
giungeva la Zia, ben degna consorte, molto dabbene,
ligia al passato, sebbene amante del Re di Sardegna...
"Baciate la mano alli Zii!" - dicevano il Babbo e la Mamma,
e alzavano il volto di fiamma ai piccolini restii.
"E questa è l'amica in vacanza: madamigella Carlotta
Capenna: l'alunna più dotta, l'amica più cara a Speranza."
"Ma bene... ma bene... ma bene..." - diceva gesuitico e tardo
lo Zio di molto riguardo "Ma bene... ma bene... ma bene...Capenna?
Conobbi un Arturo Capenna... Capenna... Capenna...Sicuro!
Alla Corte di Vienna! Sicuro... sicuro... sicuro..."
"Gradiscono un po' di moscato?"
"Signora sorella magari..."
E con un sorriso pacato sedevano in bei conversari.".
"..ma la Brambilla non seppe..." -
"È pingue già per l'Ernani...""
"La Scala non ha più soprani..." -
"Che vena quel Verdi... Giuseppe!..."
"...nel marzo avremo un lavoro alla Fenice, m'han detto,
nuovissimo: il Rigoletto. Si parla d'un capolavoro".
"..Azzurri si portano o grigi?" -
"E questi orecchini? Che bei
rubini! E questi cammei..." -
"la gran novità di Parigi..."
"...Radetzki? Ma che? L'armistizio... la pace, la pace che regna..."
"...quel giovine Re di Sardegna è uomo di molto giudizio!"
"È certo uno spirito insonne, e forte e vigile e scaltro..."
"È bello?" - "Non bello: tutt'altro." -
"Gli piacciono molto le donne..."
"Speranza!" (chinavansi piano, in tono un po' sibillino)
"Carlotta! Scendete in giardino: andate a giocare al volano!"
Allora le amiche serene lasciavano con un perfetto
inchino di molto rispetto gli Zii molto dabbene.
IV.Oimè! che giocando un volano, troppo respinto all'assalto,
non più ridiscese dall'alto dei rami d'un ippocastano!
S'inchinano sui balaustri le amiche e guardano il Lago
sognando l'amore presago nei loro bei sogni trilustri.
"Ah! se tu vedessi che bei denti!" -
"Quant'anni?..." - "Vent'otto."
"Poeta?" - "Frequenta il salotto della Contessa Maffei!"
Non vuole morire, non langue il giorno. S'accende più ancora
di porpora: come un'aurora stigmatizzata di sangue;
si spenge infine, ma lento. I monti s'abbrunano in coro:
il Sole si sveste dell'oro, la Luna si veste d'argento.
Romantica Luna fra un nimbo leggiero, che baci le chiome
dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di bimbo,
il sogno di tutto un passato nella tua curva s'accampa:
non sorta sei da una stampa del Novelliere Illustrato?
Vedesti le case deserte di Parisina la bella?
Non forse non forse sei quella amata dal giovine Werther?
"...mah! Sogni di là da venire!" -
"Il Lago s'è fatto più denso
di stelle" - "...che pensi?" -
"...Non penso." -
"...Ti piacerebbe morire?"
"Sì!" -
"Pare che il cielo riveli più stelle nell'acqua e più lustri.
Inchìnati sui balaustri: sognamo così, tra due cieli..."
"Son come sospesa! Mi libro nell'alto..." -
"Conosce Mazzini..."-
"E l'ami?..." -
"Che versi divini!" -
"Fu lui a donarmi quel libro,
ricordi? che narra siccome, amando senza fortuna,
un tale si uccida per una, per una che aveva il mio nome."
V.Carlotta! nome non fine, ma dolce che come l'essenze
risusciti le diligenze, lo scialle, le crinoline...
Amica di Nonna, conosco le aiuole per ove leggesti
i casi di Jacopo mesti nel tenero libro del Foscolo.
Ti fisso nell'albo con tanta tristezza, ov'è di tuo pugno
la data: vent'otto di Giugno del mille ottocento cinquanta.
Stai come rapita in un cantico: lo sguardo al cielo profondo
e l'indice al labbro, secondo l'atteggiamento romantico.
Quel giorno - malinconia - vestivi un abito rosa,
per farti - novissima cosa! - ritrarre in fotografia...
Ma te non rivedo nel fiore, amica di Nonna! Ove sei
o sola che, forse, potrei amare, amare d'amore?

lunedì 23 luglio 2007

In morte del fratello Giovanni e Alla sera di Ugo Foscolo

John Singer Sargent*Oreste e le Furie*1921
SONETTI X
IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de' tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol, suo dì tardo traendo,

Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Sento gli avversi Numi, e le secrete

Cure che al viver tuo furon tempesta,
E prego anch'io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!

Straniere genti, l'ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
**********************

SONETTI I
ALLA SERA
Forse perché della fatal quiete/Tu sei l'immago a me sì cara vieni/ 0 sera! E quando ti corteggian liete/ Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete/ Tenebre e lunghe all'universo meni /Sempre scendi invocata, e le secrete /Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme/ Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge/ Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;/ E mentre lo guardo la tua pace, dorme/ Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

domenica 22 luglio 2007

A Zacinto di Ugo Foscolo

Rennie Mackintosh
SONETTI IX
A ZACINTO
Né più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
Del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L'inclito verso di colui che l'acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il, canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.

sabato 21 luglio 2007

John Anderson di Robert Burns

Sir Lawrence Alma Tadema
John Anderson, mio caro, John,
quando ci conoscemmo,
i tuoi capelli eran simili a corvo,
la tua bella fronte era liscia;
ma ora la tua fronte è spoglia, John,
i tuoi capelli son come neve;
ma sia benedetta la tua testa bianca,
John Anderson, mio caro.
John Anderson, mio caro, John,
il colle abbiam salito insieme;
e molti lieti giorni, John,
l'un con l'altro abbiamo trascorsi:
ora, barcollando, lo dobbiamo discendere, John,
ma scenderemo tenendoci per mano,
e a piè del colle dormiremo insieme,
John Anderson, mio caro.

venerdì 20 luglio 2007

Quando fra l'altre donne ad ora ad ora di Francesco Petrarca

Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna è men bella di lei
tanto cresce 'l desio che m'innamora.
I' benedico il loco e 'l tempo e l'ora
che sì alto miraron gli occhi mei,
e dico: - Anima, assai ringraziar dêi,
che fosti a tanto onor degnata allora:
da lei ti vèn l'amoroso pensero,
che, mentre 'l segui, al sommo ben t'invia,
poco prezando quel ch'ogni uom desia;
da lei vien l'animosa leggiadria
ch'al ciel ti scorge per destro sentero;
sì ch'i' vo già de la speranza altèro
(Dipinto di Leighton)

giovedì 19 luglio 2007

19 luglio 1943 di Elio Fiore

Swinnerton
Nell'orto di mio padre,
sovente rincorrevo farfalle, curavo il basilico
e il rosmarino e gustavo gli odori
dei bianchi capperi sul muro.
Com'erano altissime le volte degli Archi Felici!
Mio padre zappava la terra accanto
a una piscina bianca e azzurra di calce.
Le nuvole ubbidivano al cielo, in forme
strane, gigantesche.
Ineffabili scoperte dei segreti delle formiche!
Sulla via Casilina, sull'ampia strada
della mia infanzia, a poco a poco,
si svelavano tutti i giochi tutti i riti.
Poi, d'improvviso un attimo
del 19 luglio 1943 tutto scomparve,
e rimasi per dieci ore sotto le macerie,
abbracciato a mia madre. Non lo sapevo
ma ascoltando il suo eterno grido,
fu in quel momento che divenni poeta.

mercoledì 18 luglio 2007

Uomini di Evgenij Evtusenko

Oskar Zwintscher
Non esistono al mondo uomini non interessanti.
I loro destini sono come le storie dei pianeti.
Ognuno ha la sua particolarità
e non ha un pianeta che gli sia simile.
E se uno viveva inosservato
e amava questa sua insignificanza,
proprio per la sua insignificanza
egli era interessante tra gli uomini.
Ognuno ha il suo segreto mondo personale.
In quel mondo c’è l’attimo felice.
C’è in quel mondo l’ora più terribile,
ma tutto ci resta sconosciuto.
Quando un uomo muore,
muore con lui la sua prima neve,
e il primo bacio e la prima battaglia….
Tutto questo egli porta con sé.
Rimangono certo i libri,
i ponti,
le macchine,
le tele dei pittori.
Certo , molto è destinato a restare,
eppur sempre qualcosa se ne va.
E’ la legge d’un gioco spietato.
Non sono uomini che muoiono, ma mondi.
Ricordiamo gli uomini,
terrestri e peccatori,
ma che sapevamo in fondo di loro?
Che sappiamo dei fratelli nostri,
degli amici?
Di colei che sola ci appartiene?
E del nostro stesso padre,
tutto sapendo non sappiamo nulla.
Gli uomini se vanno…. e non tornano più.
Non risorgono i loro mondi segreti.
E ogni volta vorrei gridare ancora
contro questo irrevocabile destino.

martedì 17 luglio 2007

A mio padre di Alfonso Gatto

Redon*Silenzio
A MIO PADRE
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l'ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni libertà s'accenda
di speranze di poveri di cielo,
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.
Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un'ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
"Com'è bella la notte e com'è buona
ad amarci così con l'aria in piena
fin dentro al sonno". Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgente a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l'alba.

lunedì 16 luglio 2007

Pensiero d'amore di Pierfrancesco Zen

Salvador Dalì Non ti invento nè ti scopro.
La rete nella quale m'aggroviglio
piu' mi agito e piu' saldamente
m'avvinghia a te tenendomi sospeso
tra vaghi tormenti e insicurezze,
in dolci e ineluttabili amplessi.
Prigioniero ti assaporo

Ringrazio il caro amico Pierfrancesco.

domenica 15 luglio 2007

Sogno d'estate di Giosuè Carducci

Giovanni Boldini*Passeggiata d'estate
(Odi barbare)
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggí su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non piú libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su dal castello
annunzïando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spirituale di primavera;
ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,
e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giú da 'l mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questi che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passâr le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguia cheta l'opra de l'ago.

sabato 14 luglio 2007

Memoria di Natalia Ginzburg

Stone*Absence
Gli uomini vanno e vengono
per le strade della citta'
Comprano libri e giornali,
muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso,
le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo
per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo
con un gesto consueto.
Ma era l'ultima volta.
Era il viso consueto,
solo un poco piu' stanco.
E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre.
E le mani erano quelle che
spezzavano il pane e
versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo
che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso
per l'ultima volta.
Se cammini per strada
nessuno ti è accanto
Se hai paura
nessuno ti prende per mano
E non è tua la strada,
non è tua la città.
Non è tua la città
illuminata. La città
illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno
e vengono comprando
cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco
alla quieta finestra
a guardare il silenzio,
il giardino nel buio.
Allora quando piangevi
c'era la sua voce serena.
Allora quando ridevi
c'era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera
s'apriva, restera' chiuso
per sempre, e deserta
è la tua giovinezza.
Spento il fuoco,
vuota la casa.
(in memoria del marito Leone Ginzburg, letterato, morto per le torture in un carcere fascista)

venerdì 13 luglio 2007

Le ondine di Aleardo Aleardi

Gustav Klimt
D'un lago tacito
cinto di betulle
sopra le immobili
onde turchine
ridde volubili
danzano, intrecciano
famiglie aeree
d'agili Ondine.
Volano, volano
in giro languide
coi bracci pendoli,
come chi dorme;
i veli nivei
tessuti d'alito
lasciano scorgere
le dive forme.
Le membra àn gelide,
le labbra pallide,
il crin cinereo,
non ànno il core.
Sono una nuvola
di fredde vergini,
che mai non seppero
che fosse amore.
Lieve uno strepito,
come per l'aride
foglie fa il zefiro,
danno i lor balli;
altere ammirano
le proprie immagini
pinte sui liquidi
cupi cristalli.
Quando la candida
luna le irradia,
sembrano un'orbita
d'iride stanca;
ombre di giovani,
larve di silfidi,
altro che l'anima
a lor non manca.
Con volo instabile
girano in garrulo
vortice assiduo
i tuoi pensieri,
Elisa, simili
ai fochi fatui,
che a notte danzano
pei cimiteri. I
tuoi sarebbero
baci adorabili,
se non sentissero
di labbra spente:
degne degli angeli
le tue blandizie,
s'elle non fossero
fatte di niente.
O sciolga il tenero
cinto di Venere,
o inesorabile
ricusi amore,
sereno, gelido
sempre ed immobile
in solitudine
stagna il tuo core.
Superba e vacua
divina statua
non ài delizie,
non ài tormenti;
l'inerzia vegeta
ne le tue viscere,
leggiadra sterile
di sentimenti.

giovedì 12 luglio 2007

Sei tutta spume di Pablo Neruda

Sei tutta spume... Sete di te m'incalza nelle notti affamate.
Sei tutta spume agili e leggere
e i baci ti percorrono e t'irrigano i giorni.
Il mio gesto, la mia ansietà, pendono dal tuo sguardo.
Vaso di risonanze e di stelle prigioniere.
Son stanco, tutte le foglie cadono, muoiono.
Cadono, muoiono gli uccelli. Cadono, muoiono le vite.
Stanco, son stanco. Vieni, desiderami, fammi vibrare.
Oh, mia povera illusione, mia accesa ghirlanda!
L'ansia cade, muore. Cade, muore il desiderio.
Cadono, muoiono le fiamme nella notte infinita.
Fiammata di luci, colomba di crete bionde,
liberami da questa notte che incalza e distrugge.
Sommergimi nel tuo nido di vertigine e di carezza.
Desiderami, trattienimi.
L'ebbrezza all'ombra fiorita dei tuoi occhi,
le cadute, i trionfi, gli sbalzi della febbre.
Amami, amami, amami.
In piedi ti grido! Amami.
Infrango la mia voce gridandoti e faccio ore di fuoco
nella notte pregna di stelle e di levrieri.
Infrango la mia voce e grido. Donna, amami, desiderami.
La mia voce arde nei venti, la mia voce che cade e muore.
Stanco. Son stanco. Fuggi.
Allontanati. Estinguiti.
Non imprigionare la mia sterile testa tra le tue mani.
Mi segnino la fronte le fruste del gelo.
La mia inquietudine si sferzi con i venti dell'Atlantico.
Fuggi. Allontanati. Estinguiti.
La mia anima deve star sola.
Deve crocifiggersi, sbriciolarsi, rotolare,
versarsi, contaminarsi sola,
aperta alla marea dei pianti,
ardendo nel ciclone delle furie,
eretta tra i monti e tra gli uccelli,
distruggersi, sterminarsi sola,
abbandonata e unica come un faro di spavento.
da Il Fromboliere Entusiasta

(Nu sulla spiaggia è di Godward)

mercoledì 11 luglio 2007

Cloe Claudia Polla e Marcella di Marziale

L'EPIGRAFE POSTA DA CLOE
Sulle tombe dei sette suoi mariti
la scellerata Cloe
questa lapide pose:
«Sono opera mia.»
Si può esser più schietti di così?

• UN AUGURIO
Benché Claudia sia una discendente
dei tatuati Britanni, che gran cuore
ha proprio della gente laziale!
Quanto decoro nella sua bellezza!
Le matrone romane una romana
la posson credere e le donne greche
una nata nell'Attica.
Sian benedetti i numi! Ha partorito
figli al marito virtuoso,
spera di aver generi e nuore
ancora in età giovane.
Così piaccia agli dèi, che goder possa
d'un sol marito e, finché vive,
dell'amor dei tre figli.


IL DONO DI POLLA
Polla,
corone di rose tu mi mandi,
pure da ogni contatto. Io preferisco
aver le rose che hai toccato tu.

A MARCELLA
Chi ti direbbe, Marcella, generata
fra la gente del gelido Salone,
nel mio luogo natio?
Tanta squisitezza è nel tuo gusto
e in te tanta dolcezza.
Se una volta il Palatino
udirà la tua voce,
dirà che sei romana.
Nessuna donna nata alla Suburra
o nutrita sul colle Campidoglio
oserebbe gareggiar con te.
Non sì presto sorriderà la gloria
d'uno straniero parto
alla quale possa meglio convenire
di esser nuora romana.
Tu mi rendi più mite
la nostalgia della città sovrana:
tu da sola per me sei tutta Roma.
(ritratto di L.A.Tadema)

martedì 10 luglio 2007

A Erotion di Marziale

AFFIDA AI GENITORI L'OMBRA DI EROTION
A te padre Frontone,
a te madre Flaccilla
affido questa bimba,
bacio e delizia mia.
Che la piccola e tenera Erotion
non provi orrore per le ombre nere
e per le bocche mostruose
del tartareo cane.
Avrebbe intero compiuto il sesto inverno,
se fosse vissuta ancor sei giorni.
Oh, ch'essa giuochi e folleggi
tra i suoi patroni tanto vecchi
e cinguetti il mio nome
con la boccuccia ancora balbettante.
Ricopra una zolla non dura
le sue tenere ossa:

tu, terra,
non essere pesante su di lei:
essa su di te pesò sì poco.

EPICEDIO PER LA PICCOLA EROTION
Bimba per me dalla voce più dolce
dei cigni che stanno per morire,
più morbida del vello d'un'agnella
del Galeso dei campi falantini,
più squisita di una conchiglia
del lago di Lucrino.
A lei non potresti tu anteporre
le perle pescate nel Mar Rosso,
né l'avorio di un dente d'elefante
pulito di recente,
né i primi fiocchi della neve
oppure un giglio intatto in fioritura.
Vinse per morbidezza dei capelli
il vello delle pecore andaluse,
le chiome delle femmine del Reno
e lo splendor dell'oro.
Dalla bocca mandava una fragranza
come quella ch'esala
dai rosari di Pesto,
ovver dal primo miele
dei favi dell'Attica
o quale emana da una palla d'ambra
tolta di mano.
Messo di fronte a lei a paragone
sfigurava il pavone,
sgradevole sembrava lo scoiattolo,
un uccello comune la fenice.
Tiepido ancora è il corpo di Erotion
nel sepolcro recente,
lei che la legge amara
del più crudel destino
nel sesto dei suoi inverni non compiuto,
portò via da noi,
lei ch'era il nostro amore,
la gioia ed il trastullo.
Ed or Peto non vuole ch'io sia triste
e battendosi il petto come me
e i capelli strappandosi:
«Non ti vergogni di pianger sì a lungo
per la morte d'una bambina schiava?
Io ho portato la moglie in sepoltura
e vivo tuttavia:
era ben nota a tanti, uno splendore,
e nobile e ricca.»
Che può esserci più forte del mio Peto?
Duecento milioni di sesterzi
ebbe in eredità!
E vive tuttavia.
(dipinto di Collier)