Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

mercoledì 29 febbraio 2012

Febbraio di Renzo Pezzani

J.C.Leyendecker§Older woman chasing Cupid on leap year day
Se ridi, o febbraio piccino,
col sole sia pure d’un dì,
è un riso che dura pochino,
pochino pochino così.
Appena quel tanto che basta
a fare cantare le gronde
dell’acqua mutevole e casta
che lascia la neve che fonde.
Ma basta quel primo turchino,
quel po’ d’intravvista speranza
a dare una nuova fragranza
al cuore e al destino

martedì 28 febbraio 2012

Ultimi cori per la Terra Promessa N.9 di Giuseppe Ungaretti

Jan Toorop☼Nirvana
Ogni anno, mentre scopro che febbraio
È sensitivo e, per pudore, torbido,
Con minuto fiorire, gialla irrompe,
La mimosa. S’inquadra alla finestra
Di quella mia dimora d’una volta,
Di questa dove passo gli anni vecchi.
Mentre arrivo vicino al gran silenzio,
Segno sarà che niuna cosa muore
Se ne ritorna sempre l’apparenza?
O saprò finalmente che la morte
Regno non ha che sopra l’apparenza?
Il taccuino del vecchio☼1960

lunedì 27 febbraio 2012

Sera di Febbraio di Hermann Hesse

Wilhelm Hammershoi
Bluastro sul pendio del colle al lago di un bagliore
opaco è il crepuscolo di soffice neve che si scioglie,
nella nebbia labili come pallidi sogni
nuotano corone ramose di alberi morti.
Ma per il villaggio, per i vicoli immersi nel sonno
passa il vento notturno, tiepido, calmo e ozioso,
posa alla siepe e negli oscuri giardini risveglia
e nei sogni dei giovani la primavera.
da Poesie 1902
*****
Februarabend
Bläulich dämmert am Hügel hinab zum See
Matten Schimmers im Schmelzen der weiche Schnee,
In den Nebeln gestaltlos wie bleiche Träume
Schwimmen vielästige Kronen erstorbener Bäume.
Aber durchs Dorf, durch alle schlummernden Gassen
Wandelt der Nachtwind, schlendert lau und gelassen,
Rastet am Zaun und lässt in den dunklen Gärten
Und in den Träumen der Jugend Frühling werden.                                                                                                       

domenica 26 febbraio 2012

Di febbraio a Milano e I treni che languivano di Sandro Penna

Antonio Lopez Garcia○Mari○1962
♪♪♪♪♪
Di febbraio a Milano
non c'erano le nebbie.
Ma numerosi sciami di ciclisti
andavano nel sole silenziosi.
E li fermava come in una gara
sospesa il suonatore siciliano.

○○○○○○
I treni che languivano una volta
sono muti oramai. Mia vita, è stolta
la tua fame testarda. E' solo, e svolta
nella strada notturna l'operaio
con la sua tosse a fine di febbraio.

sabato 25 febbraio 2012

Dalla rocca di Bergamo alta di Salvatore Quasimodo

Raphael Soyer•1946
Hai udito il grido del gallo nell'aria
di là dalle murate, oltre le torri
gelide d'una luce che ignoravi,
grido fulmineo di vita, e stormire
di voci dentro le celle, e il richiamo
d'uccello della ronda avanti l'alba.
E non hai detto parole per te:
eri nel cerchio ormai di breve raggio:
e tacquero l'antilope e l'airone
persi in un soffio di fumo maligno,
talismani d'un mondo appena nato.
E passava la luna di febbraio
aperta sulla terra, ma a te forma
nella memoria, accesa al suo silenzio.
Anche tu fra i cipressi della Rocca
ora vai senza rumore; e qui l'ira
si quieta al verde dei giovani morti,
e la pietà lontana è quasi gioia.

venerdì 24 febbraio 2012

ITALY - Sacro all' Italia raminga di Giovanni Pascoli

Emile Friant♠1897
"Canto secondo"

I          
Italy allora n'ebbe tanta pena.
Povera Molly! E venne un vento buono
che spazzò l'aria che tornò serena.
II
Vieni, poor Molly! Vieni! Dove sono
le nubi? In cielo non c'è più che poca
nebbia, una pace, un senso di perdono,
di quando il bimbo perdonato ha roca
ancor la voce; all'angolo degli occhi
c'era una stilla, e cade, mentre gioca.
Vieni, poor Molly! Porta i tuoi balocchi.
Dove sono le nubi nere nere?
qualche lagrima sgocciola dai fiocchi
delle avellane, e brilla nel cadere.
III
Porta the doll, la bambola, che viene,
povera Doll, anch'essa dal paese
lontano, ed essa ti capisce bene.
E quando tu le parli per inglese,
presso le guance pallide ti pone
le sue color di rosa d'ogni mese.
Dal suo lettino lucido, d'ottone,
levala su, che l'uggia non la vinca.
Non dorme, vedi. Vedi, dal cantone
sgrana que' suoi due fiori di pervinca.
IV
O Moll e Doll, venite! Ora comincia
il tempo bello. Udite un campanello
che in mezzo al cielo dondola? È la cincia.
O Moll e Doll, comincia il tempo bello.
Udite lo squillar d'una fanfara
che corre il cielo rapida? È il fringuello.
Fringuello e cincia ognuno già prepara
per il suo nido il mustio e il ragnatelo;
e d'ora in ora primavera a gara
cantano, uno sul pero, uno sul melo.
V
Altre due voci ora dal monte al piano
s'incontrano: uno scampanare a festa,
con un altro più piano e più lontano.
L'una tripudia, e i mille echi ridesta
del monte, bianco ancora un po' di neve.
Di tanto in tanto ecco la voce mesta;
ecco un rintocco, appena appena un breve
colpo, che pare così lungo al cuore!
No, non vorrebbe, o gente, no; ma deve.
C'è là chi sposa, ma c'è qua chi muore.
VI
Buoni villaggi che vivete intorno
al verde fiume, e di comune intesa
vi dite tutto ciò che fate il giorno!
Si levano. Ora vanno tutti in chiesa,
ora son tutti a desinare, ed ora
c'è in ogni casa la lucerna accesa.
Poi quando immersi ad aspettar l'aurora
sembrano tutti, ecco più su più giù,
più qua più là, le loro voci ancora.
Pensano a quelli che non sono più...
VII
Lèvati, Molly. Gente ode parlare
la tua parlata. Sono qui. Cammina,
se vuoi vederle. Hanno passato il mare.
Fanno un brusìo nell'ora mattutina!
Ma il vecchio Lupo dorme e non abbaia.
È buona gente e fu già sua vicina.
Vengono e vanno, su e giù dall'aia
alla lor casa che da un pezzo è vuota.
Oh! la lor casa, sotto la grondaia,
non gli par brutta, ben che sia di mota!
VIII
Sweet... Sweet... Ho inteso quel lor dolce grido
dalle tue labbra... Sweet, uscendo fuori,
e sweet sweet sweet, nel ritornare al nido.
Palpiti a volo limpidi e sonori,
gorgheggi a fermo teneri e soavi,
battere d'ali e battere di cuori!
In questa casa che tu bad chiamavi,
black, nera, sì, dal tempo e dal lavoro,
son le lor case, là sotto le travi,
di mota sì, ma così sweet per loro!
IX
O rondinella nata in oltremare!
Quando vanno le rondini, e qui resta
il nido solo, oh! che dolente andare!
Non c'è più cibo qui per loro, e mesta
la terra e freddo è il cielo, tra l'affanno
dei venti e lo scrosciar della tempesta.
Non c'è più cibo. Vanno. Torneranno?
Lasciano la lor casa senza porta.
Tornano tutte al rifiorir dell'anno!
Quella che no, di' che non può; ch'è morta.
X
Quando tu sei venuta, o rondinella,
t'hanno pur salutata le campane;
ti venne incontro il nonno con l'ombrella,
ti s'è strusciato alle gambine il cane.
Pioveva; ma tu, bimba, eri coperta;
trovasti in casa il latte caldo e il pane.
Il tuo nonno ansimava su per l'erta,
la tua nonna pregava al focolare.
Brutta la casa, sì, ma era aperta,
o mia figliuola nata in oltremare!
XI
Ha la pena da parte, oggi, e la vita
gli sente, e il capo, alla tua nonna, e il cuore;
e siede al focolare infreddolita.
Ieri si colse malva ed erbe more.
Oggi sta peggio. Ha due rosette rosse,
che non le ha fatte il fuoco che rimuore.
Molly, tu vieni e guardi. Ecco, ha la tosse
che avevi tu. Tosse ogni tanto un po'.
Sta lì nel canto come non ci fosse.
E non tesse e non fila. Oggi non può.
XII
Ha tessuto e filato, anche ha zappato,
anche ha vangato, anche ha portato, oh! tanto
che adesso stenta a riavere il fiato!
O dolce Molly, tu le porti accanto
Doll nel lettino lucido, e tu resti
con loro... Tanto faticato e pianto!
pianto in vedere i figli o senza vesti
o senza scarpe o senza pane! pianto
poi di nascosto, per non far più mesti
i figli che... diceano addio, col canto.
XIII
Addio, dunque! Ed anch'essa Italy, vede,
Italy piange. Hanno un po' più fardello
che le rondini, e meno hanno di fede.
Si muove con un muglio alto il vascello.
Essi, in disparte, con lo sguardo vano,
mangiano qua e là pane e coltello.
E alcun li tende, il pane da una mano,
l'altro dall'altra, torbido ed anelo,
al patrio lido, sempre più lontano
e più celeste, fin che si fa cielo.
XIV
Cielo, e non altro, cielo alto e profondo,
cielo deserto. O patria delle stelle!
O sola patria agli orfani del mondo!
Vanno serrando i denti e le mascelle,
serrando dentro il cuore una minaccia
ribelle, e un pianto forse più ribelle.
Offrono cheap la roba, cheap le braccia,
indifferenti al tacito diniego;
e cheap la vita, e tutto cheap; e in faccia
no, dietro mormorare odono: Dego!
XV
Ma senti, Molly? Dopo pioggie e brume
e nevi e ghiacci, con la sua gran voce
canta passando a' piè dei monti il fiume.
Passa sotto la gran Pania alla Croce
cantando, ed una lunga nube appare,
bianca di sole, al suo passar veloce.
Passa cantando: Al mare! Al mare! Al mare!
e l'Alpe azzurra ne rimbomba in cerchio,
e il cielo azzurro vede là fumare
l'alito che si lascia addietro il Serchio.
XVI
O fiumi, o delle rupi e dei ghiacciai
figli rubesti, che precipitate
a pazza corsa senza posar mai,
con l'eterno fragor delle cascate,
ruzzando come giovani giganti,
senza perché, per atterrir le fate
delle montagne; e trascinate infranti
boschi e tuguri, urtate le città,
struggete i campi, sempre avanti, avanti,
avanti, pieni di serenità...
XVII
Acqua perenne, ottima e pessima, ora
morte ora vita, acqua, diventa luce!
acqua, diventa fiamma! acqua, lavora!
Lavora dove l'uomo ti conduce;
e veemente come l'uragano,
vigile come femmina che cuce,
trasforma il ferro, il lino, il legno, il grano;
manda i pesanti traini come spole
labili; rendi l'operare umano
facile e grande come quel del Sole!
XVIII
La madre li vuol tutti alla sua mensa
i figli suoi. Qual madre è mai, che gli uni
sazia, ed a gli altri, a tanti, ai più, non pensa?
Siedono a lungo qua e là digiuni;
tacciono, tralasciati nel banchetto
patrio, come bastardi, ombre, nessuni:
guardano intorno, e quindi sé nel petto,
sentono su la lingua arida il sale
delle lagrime; infine, a capo eretto,
escono, poi fuggono, poi: - Sii male... -
XIX
Non maledite! Vostra madre piange
su voi, che ai salci sospendete i gravi
picconi, in riva all'Obi, al Congo, al Gange.
Ma d'ogni terra, ove è sudor di schiavi,
di sottoterra ove è stridor di denti,
dal ponte ingombro delle nere navi,
vi chiamerà l'antica madre, o genti,
in una sfolgorante alba che viene,
con un suo grande ululo ai quattro venti
fatto balzare dalle sue sirene.
XX
Non piangere, poor Molly! Esci, fa piano,
lascia la nonna lì sotto il lenzuolo
di tela grossa ch'ella fece a mano.
T'amava, oh! sì! Tu ne imparavi a volo
qualche parola bella che balbetti:
essa da te solo quel die, die solo!
Lascia lì Doll, lasciali accosto i letti,
piccolo e grande. Doll è savia, e tace,
né dorme: ha gli occhi aperti e par che aspetti
che li apra l'altra, ch'ora dorme in pace.
XXI
Prima d'andare, vieni al camposanto,
s'hai da ridire come qua si tiene.
Stridono i bombi intorno ai fior d'acanto,
ronzano l'api intorno le verbene.
E qui tra tanto sussurrìo riposa
la nonna cara che ti volle bene.
O Molly! O Molly! prendi su qualcosa,
prima d'andare, e portalo con te.
Non un geranio né un bocciuol di rosa,
prendi sol un non-ti-scordar-di-me!
«Ioe, bona cianza!...» «Ghita, state bene!...
«Good bye». «L'avete presa la ticchetta?»
«Oh yes». «Che barco?» «Il Prinzessin Irene».
L'un dopo l'altro dava a Ioe la stretta
lunga di mano. «Salutate il tale».
«Yes, servirò». «Come partite in fretta!»
Scendean le donne in zoccoli le scale
per veder Ghita. Sopra il suo cappello
c'era una fifa con aperte l'ale.
«Se vedete il mi' babbo... il mi' fratello...
il mi' cognato...» «Oh yes». «Un bel passaggio
vi tocca, o Ghita. Il tempo è fermo al bello».
«Oh yes». Facea pur bello! Ogni villaggio
ridea nel sole sopra le colline.
Sfiorian le rose da' rosai di maggio.
Sweet sweet... era un sussurro senza fine
nel cielo azzurro. Rosea, bionda, e mesta,
Molly era in mezzo ai bimbi e alle bambine.
Il nonno, solo, in là volgea la testa
bianca. Sonava intorno mezzodì.
Chiedeano i bimbi con vocìo di festa:
«Tornerai, Molly?» Rispondeva: - Sì! -
(Primi Poemetti)

giovedì 23 febbraio 2012

ITALY - Sacro all' Italia raminga di Giovanni Pascoli

Bill Medcalf♣Winter wonderland♣1950
CANTO PRIMO
         
I     
A Caprona, una sera di febbraio,
gente veniva, ed era già per l'erta,
veniva su da Cincinnati, Ohio.        

La strada, con quel tempo, era deserta.
Pioveva, prima adagio, ora a dirotto,
tamburellando su l'ombrella aperta.
La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto
erano, sotto la cerata ombrella
del padre: una ragazza, un giovinotto.

 E c'era anche una bimba malatella,
in collo a Beppe, e di su la sua spalla
mesceva giù le bionde lunghe anella.

Figlia d'un altro figlio, era una talla
del ceppo vecchio nata là: Maria:
d'ott'anni: aveva il peso d'una galla.

Ai ritornanti per la lunga via,
già vicini all'antico focolare,
la lor chiesa sonò l'Avemaria.

Erano stanchi! avean passato il mare!
Appena appena tra la pioggia e il vento
l'udiron essi or sì or no sonare.

Maria cullata dall'andar su lento
sembrava quasi abbandonarsi al sonno,
sotto l'ombrella. Fradicio e contento

veniva piano dietro tutti il nonno.
II
Salivano, ora tutti dietro il nonno,
la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso
non abbaiò; scodinzolò tra il sonno.
E tentennò sotto il lor piede il sasso
davanti l'uscio. C'era sempre stato
presso la soglia, per aiuto al passo.
E l'uscio, come sempre, era accallato.
Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi.
Ed era buia la cucina allato.
 La mamma? Forse scesa per due ciocchi...
forse in capanna a mòlgere... No, era
al focolare sopra i due ginocchi.
Avea pulito greppia e rastrelliera;
ora, accendeva... Udì sonare fioco:
era in ginocchio, disse la preghiera.
Appariva nel buio a poco a poco.
«Mamma, perché non v'accendete il lume?
Mamma, perché non v'accendete il fuoco?»
 «Gesù! che ho fatto tardi col rosume...»
E negli stecchi ella soffiò, mezzo arsi;
e le sue rughe apparvero al barlume.
E raccattava, senza ancor voltarsi,
tutta sgomenta, avanti a sé, la mamma,
brocche, fuscelli, canapugli, sparsi
sul focolare. E si levò la fiamma.
III
E i figli la rividero alla fiamma
del focolare, curva, sfatta, smunta.
«Ma siete trista! siete trista, o mamma!»
Ed accostando agli occhi, essa, la punta
del pannelletto, con un fil di voce:
«E il Cecco è fiero? E come va l'Assunta?»
«Ma voi! Ma voi!» «Là là, con la mia croce».
I muri grezzi apparvero col banco
vecchio e la vecchia tavola di noce.
Di nuovo, un moro, con non altro bianco
che gli occhi e i denti, era incollato al muro,
la lenza a spalla ed una mano al fianco:
roba di là. Tutto era vecchio, scuro.
S'udiva il soffio delle vacche, e il sito
della capanna empiva l'abituro.
Beppe sedé col capo indolenzito
tra le due mani. La bambina bionda
ora ammiccava qua e là col dito.
Parlava, e la sua nonna, tremebonda,
stava a sentire e poi dicea: «Non pare
un luì quando canta tra la fronda?»
Parlava la sua lingua d'oltremare:
«... a chicken-house» «un piccolo luì...»
«... for mice and rats» «che goda a cinguettare,
zi zi» «Bad country, Ioe, your Italy!»
IV
Italy, penso, se la prese a male.
Maria, la notte (era la Candelora),
sentì dei tonfi come per le scale...
tre quattro carri rotolarono... Ora
vedea, la bimba, ciò che n'era scorso!
the snow! la neve, a cui splendea l'aurora.
Un gran lenzuolo ricopriva il torso
dell'Omo-morto. Nel silenzio intorno
parea che singhiozzasse il Rio dell'Orso.
Parea che un carro, allo sbianchir del giorno,
ridiscendesse l'erta con un lazzo
cigolìo. Non un carro, era uno storno,
uno stornello in cima del Palazzo
abbandonato, che credea che fosse
marzo, e strideva: marzo, un sole e un guazzo!
Maria guardava. Due rosette rosse
aveva, aveva lagrime lontane
negli occhi, un colpo ad or ad or di tosse.
La nonna intanto ripetea: «Stamane
fa freddo!» Un bianco borracciol consunto
mettea sul desco ed affettava il pane.
Pane di casa e latte appena munto.
Dicea: «Bambina, state al fuoco: nieva!
nieva!» E qui Beppe soggiungea compunto:
«Poor Molly! qui non trovi il pai con fleva!»
V
Oh! no: non c'era lì né pie né flavour
né tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
«Ioe, what means nieva? Never? Never? Never?»
Oh! no: starebbe in Italy sin tanto
ch'ella guarisse: one month or two, poor Molly!
E Ioe godrebbe questo po' di scianto!
Mugliava il vento che scendea dai colli
bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta
fissò la fiamma con gli occhioni molli.
Venne, sapendo della lor venuta,
gente, e qualcosa rispondeva a tutti
Ioe, grave: «Oh yes, è fiero... vi saluta...
molti bisini, oh yes... No, tiene un frutti-
stendo... Oh yes, vende checche, candi, scrima...
Conta moneta: può campar coi frutti...
Il baschetto non rende come prima...
Yes, un salone, che ci ha tanti bordi...
Yes, l'ho rivisto nel pigliar la stima...»
Il tramontano discendea con sordi
brontoli. Ognuno si godeva i cari
ricordi, cari ma perché ricordi:
quando sbarcati dagli ignoti mari
scorrean le terre ignote con un grido
straniero in bocca, a guadagnar danari
per farsi un campo, per rifarsi un nido...
VI
Un campettino da vangare, un nido
da riposare: riposare, e ancora
gettare in sogno quel lontano grido:
Will you buy... per Chicago e Baltimora,
buy images... per Troy, Memphis, Atlanta,
con una voce che te stesso accora:
cheap!... nella notte, solo in mezzo a tanta
gente; cheap! cheap! tra un urlerìo che opprime;
cheap!... Finalmente un altro odi, che canta...
Tu non sai come, intorno a te le cime
sono dell'Alpi, in cui si arrossa il cielo:
chi canta, è il gallo sopra il tuo concime.
«La mi' Mèrica! Quando entra quel gelo,
ch'uno ritrova quella stufa roggia
per il gran coke, e si rià, poor fellow!
O va per via, battuto dalla pioggia.
Trova un farm. You want buy? Mostra il baschetto.
Un uomo compra tutto. Anche, l'alloggia!»
Diceva alcuno; ed assentiano al detto
gli altri seduti entro la casa nera,
più nera sotto il bianco orlo del tetto.
Uno guardò la piccola straniera,
prima non vista, muta, che tossì.
«You like this country...» Ella negò severa:
«Oh no! Bad Italy! Bad Italy!»
 VII
Italy allora s'adirò davvero!
Piovve; e la pioggia cancellò dal tetto
quel po' di bianco, e fece tutto nero.
Il cielo, parve che si fosse stretto,
e rovesciava acquate sopra acquate!
O ferraietto, corto e maledetto!
Ghita diceva: «Mamma, a che filate?
Nessuna fila in Mèrica. Son usi
d'una volta, del tempo delle fate.
Oh yes! filare! Assai mi ci confusi
da bimba. Or c'è la macchina che scocca
d'un frullo solo centomila fusi.
Oh yes! Ben altro che la vostra rócca!
E fila unito. E duole poi la vita
e ci si sente prosciugar la bocca!»
La mamma allora con le magre dita
le sue gugliate traea giù più rare,
perché ciascuna fosse bella unita.
Vedea le fate, le vedea scoccare
fusi a migliaia, e s'indugiava a lungo
nel suo cantuccio presso il focolare.
Diceva: «Andate a letto, io vi raggiungo».
Vedea le mille fate nelle grotte
illuminate. A lei faceva il fungo
la lucernina nell'oscura notte.
VIII
Pioveva sempre. Forse uscian, la notte,
le stelle, un poco, ad ascoltar per tutto
gemer le doccie e ciangottar le grotte.
Un poco, appena. Dopo, era più brutto:
piovea più forte dopo la quiete.
O ferraiuzzo, piccolino e putto!
Ghita diceva: «Madre, a che tessete?
Là può comprare, a pochi cents, chi vuole,
cambrì, percalli, lustri come sete.
E poi la vita dite che vi duole!
C'è dei telari in Mèrica, in cui vanno
ogni minuto centomila spole.
E ce n'ha mille ogni città, che fanno
ciascuno tanta tela in uno scatto,
quanta voi non ne fate in capo all'anno».
Dicea la mamma: «Il braccio ch'io ricatto
bel bello, vuole diventar rotello.
O figlia, più non è da fare, il fatto».
E tendeva col subbio e col subbiello
altre fila. La bimba, lì, da un canto,
mettea nello spoletto altro cannello.
Stava lì buona come ad un incanto,
in quel celliere della vòlta bassa,
Molly, e tossiva un poco, ma soltanto
tra il rumore dei licci e della cassa.
IX
Tra il rumore dei licci e della cassa
tossiva, che la nonna non sentisse.
La nonna spesso le dicea: «Ti passa?»
«Yes», rispondeva. Un giorno poi le disse:
«Non venir qui!» Ma ella ci veniva,
e stava lì con le pupille fisse.
Godeva di guardare la giuliva
danza dei licci, e di tenere in mano
la navicella lucida d'oliva.
Stava lì buona a' piedi d'un soppiano;
girava l'aspo, riempìa cannelli,
e poi tossiva dentro sé pian piano.
Un giorno che veniva acqua a ruscelli,
fissò la nonna e chiese: «Die?» La nonna
le carezzava i morbidi capelli.
La bimba allora piano per la gonna
le salì, le si stese sui ginocchi:
«Die?» «E che t'ho a dir io povera donna?»
La bimba allora chiuse un poco gli occhi:
«Die! Die!» La nonna sussurrò: «Dormire?»
«No! No!» La bimba chiuse anche più gli occhi,
s'abbandonò per più che non dormire,
piegò le mani sopra il petto: «Die!
Die! Die!» La nonna balbettò: «Morire!»
«Oh yes! Molly morire in Italy!»
(Primi Poemetti)

mercoledì 22 febbraio 2012

Mercoledì delle Ceneri V di Thomas Stearns Eliot

Diaz Olano♦Pettegolezzo e castigo
V
 
Se la parola perduta è perduta, se la parola spesa è spesa
Se la parola non detta e non udita
E' non udita e non detta;
Sempre è la parola non detta, il Verbo non udito,
Il Verbo senza parola, il Verbo
Nel mondo e per il mondo;
E la luce brillò nelle tenebre e
Il mondo inquieto contro il Verbo ancora
Ruotava attorno al centro del Verbo silenzioso.
O mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Dove ritroveremo la parola, dove risuonerà
La parola? Non qui, che qui il silenzio non basta
Non sul mare o sulle isole, né sopra
La terraferma, nel deserto o nei luoghi di pioggia,
Per coloro che vanno nella tenebra
Durante il giorno e la notte
Il tempo giusto e il luogo giusto non sono qui
Non v'è luogo di grazia per coloro che evitano il volto
Non v'è tempo di gioire per coloro che passano in
mezzo al rumore e negano la voce
Pregherà la sorella velata per coloro
Che vanno nelle tenebre, per coloro che ti scelsero e
si oppongono
A te, per coloro che sono straziati sul corno fra stagione
e stagione, tempo e tempo,
Fra ora e ora, parola e parola, potenza e potenza, per
coloro che attendono
Nelle tenebre? Pregherà la sorella velata
Per i fanciulli al cancello
Che non lo varcheranno e non possono pregare:
Prega per coloro che ti scelsero e ti si oppongono
O mio popolo, che cosa ti ho fatto.
Pregherà la sorella velata fra gli alberi magri di tasso
Per coloro che l'offendono e sono
Terrificati e non possono arrendersi
E affermano di fronte al mondo e fra le rocce negano
Nell'ultimo deserto e fra le ultime rocce azzurre
Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
Della secchezza, sputano dalla bocca il secco seme
di mela.
O mio popolo.
       ♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦        
Ash Wednesday
V
If the lost word is lost, if the spent word is spent
If the unheard, unspoken
Word is unspoken, unheard;
Still is the unspoken word, the Word unheard,
The Word without a word, the Word within
The world and for the world;
And the light shone in darkness and
Against the Word the unstilled world still whirled
About the centre of the silent Word.
O my people, what have I done unto thee.
Where shall the word be found, where will the word
Resound? Not here, there is not enough silence
Not on the sea or on the islands, not
On the mainland, in the desert or the rain land,
For those who walk in darkness
Both in the day time and in the night time
The right time and the right place are not here
No place of grace for those who avoid the face
No time to rejoice for those who walk among noise and deny the voice
Will the veiled sister pray for
Those who walk in darkness, who chose thee and oppose thee,
Those who are torn on the horn between season and season, time and time, between
Hour and hour, word and word, power and power, those who wait
In darkness? Will the veiled sister pray
For children at the gate
Who will not go away and cannot pray:
Pray for those who chose and oppose
O my people, what have I done unto thee.
Will the veiled sister between the slender
Yew trees pray for those who offend her
And are terrified and cannot surrender
And affirm before the world and deny between the rocks
In the last desert before the last blue rocks
The desert in the garden the garden in the desert
Of drouth, spitting from the mouth the withered apple-seed.
O my people.

martedì 21 febbraio 2012

Mascherina di Evelina Cattermole Mancini

Alberto Vargas
A l’ultimo veglione aveva un abito
Di raso nero, stretto,
Con un immenso strascico,
Il guanto insino a’l gomito:
E da lì, tutto nudo, un braccio splendido
Da far degna collana a Maometto.
Su’l sen, scoperto in quadro a mo’di vergine,
Fina, femminil’ esca,
Non i gioielli soliti,
Ma de’fiori e de i pampani,
Che in mezzo a le sue carni armonizzavano
Come in un canestrin di frutta fresca.
Sovra il picciolo capo un visibilio
Di ciocche indipendenti,
Impregnate d’ effluvi;
Due occhi che brillavano
A traverso a ’l velluto de la maschera,
Come ne’l tenebror due fari ardenti.
Fra i labbri aperti dei dentini candidi
Pari a chicchi di riso....
Io pensavo, studiandola
Come tipo di femmina,
Quanto sangue, quant’ oro e quante lacrime
Assorbito avrà mai con quel sorriso.

lunedì 20 febbraio 2012

Memento (In un album) di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)

Charles Chaplin
Quando, lettrice mia, quando vedrai
Impazzir per le strade il carnovale,
Oh non scordarti non scordarti mai
Che ci son dei morenti all’ospedale!
Quando bella e gentil tu salirai
Di liete danze alle sonanti sale,
Volgiti indietro e la miseria udrai,
La miseria che piange in sulle scale.
Quando ti riderà negli occhi belli,
Come un raggio di sol giocondo, amore,
Pensa che amor non ride ai poverelli.
Quando ti specchierai, ti dica il core
Che una perla rapita ai tuoi capelli,
Solo una perla può salvar chi muore.
Carnovale del 1869.
(Postuma☻1877)

domenica 19 febbraio 2012

Canzona delle cicale di Lorenzo De Medici

Everett Shinn♠1921
Le fanciulle incominciano:
Donne, siam, come vedete,
giovanette vaghe e liete.
Noi ci andiam dando diletto,
come s’usa il carnasciale:
l’altrui bene hanno in dispetto
gl’invidiosi e le cicale;
poi si sfogon col dir male
le cicale che vedete.
Noi siam pure sventurate!
le cicale in preda ci hanno,
che non canton sol la state,
anzi duron tutto l’anno;
a color che peggio fanno,
sempre dir peggio udirete.
Le cicale rispondono:
Quel ch’è la Natura nostra,
donne belle, facciam noi;
ma spesso è la colpa vostra,
quando lo ridite voi;
vuolsi far le cose, e poi ...
saperle tener secrete.
Chi fa presto, può fuggire
il pericol del parlare.
Che vi giova un far morire,
sol per farlo assai stentare?
Se v’offende il cicalare,
fate, mentre che potete.
Le fanciulle rispondono:
Or che val nostra bellezza,
se si perde per parole?
Viva amore e gentilezza!
Muoia invidia e a chi ben duole!
Dica pur chi mal dir vuole,
noi faremo e voi direte.
(Canti carnacialeschi)

sabato 18 febbraio 2012

Ben ritornato carnoval giocondo di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti)

Antoine Pesne♣Von Chasot
Ben ritornato, carnoval giocondo;
Eccomi serio; ecco ripiglio, o mondo,
La maschera bugiarda.
Oh, non tradire il mio dolor segreto,
Pallido aspetto mio! Mostrati lieto,
Chè la folla ti guarda.
Nelle feste giulive ognun m’addita
E dice: vedi un cor che non ha vita!
Guarda un uom senza fede!
Ed io sorrido fra la turba sciocca.
Ho la morte nel core e il riso in bocca,
Ma il cor nessun lo vede.
Oh, se sapeste ciò che si nasconde
Sotto al mio lieto viso e che profonde
Sanguinanti ferite
M’han lacerato il core, oh se sapeste
Tutto il martirio mio, voi torcereste
Le pupille atterrite!
E tu, ribelle cor, perchè al villano
I muscoli robusti, il sangue sano
E l’ignoranza invidi?
Eccoti danze, fior, chiome fluenti,
Candidi petti, voluttà cocenti...
Ridi una volta... ridi!
(Postuma♣ VIII♣ 1877)

venerdì 17 febbraio 2012

Un gatto nero di Giovanni Pascoli

Piet Van Der Hem
Tu cerchi un Vero. Il tuo pensier somiglia
un mare immenso: nell’immenso mare,
una conchiglia; dentro la conchiglia,
una perla: la vuoi. Vecchio, un gran bosco
nevato, ai primi languidi scirocchi,
per la tua faccia. Un gatto nero, un fosco
viso di sfinge, t’apre i suoi verdi occhi...
(Finestra illuminata)
Myricae 1891

giovedì 16 febbraio 2012

Giovedì grasso di Olindo Guerrini

Jean Gabriel Domergue♠Carnevale di Venezia*1925
I.
Quando il giorno apparì, livido, lento,
tra la nebbia del ciel rannuvolato,
l’ultimo lume per le vie fu spento
e l’ultimo cancan fu galoppato.
Le mascherine allor, col sonnolento
passo e col volto dalla veglia enfiato,
luride di sudor, gialle di stento,
usciron barcollando e senza fiato.
Pierrot, disfatto che mettea spavento,
mezzo briaco e mezzo addormentato,
il ritratto parea del pentimento
e Colombina intanto a lui da lato,
balbettando dicea: «Bada… mi sento…»
E con la testa al muro ha vomitato.
II.
Sotto i cenci di seta entrava il vento
che le carni mordea freddo, spietato,
e la lordura che cadea dal mento
colava a fiotti dentro il sen slacciato.
Il povero Pierrot tutto sgomento,
tossendo le chiedea: «Che cosa è stato?»
e guardava sorpreso il pavimento
dalla compagna sua contaminato.
Poi quando quell’orror fu terminato,
la mascherina si frugò un momento
in sen col fazzoletto ricamato:
indi, ripreso un poco il sentimento,
ruppe in un riso stridulo, ammalato
e sparì urlando: «Ah, che divertimento!»
(noto anche come Lorenzo Stecchetti)

mercoledì 15 febbraio 2012

Canzona delle foreste di Lorenzo De Medici

Antoine Pesne☼The dancer Barbara Campanini
Lasse, in questo carnasciale
noi abbiam, donne, smarriti
tutt’a sei nostri mariti;
e sanz’essi stiam pur male.
Di Narcetri noi siam tutte,
nostr’arte è l’esser forese;
noi cogliemo certe frutte
belle come dà il paese;
se c’è alcuna sì cortese,
c’insegni i mariti nostri;
questi frutti saran vostri,
che son dolci e non fan male.
Cetrïuoli abbiamo e grossi,
di fuor pur ronchiosi e strani;
paion quasi pien’ di cossi,
poi sono apritivi e strani;
e’ si piglion con duo mani:
di fuor lieva un po’ di buccia,
apri ben la bocca e succia;
chi s’avezza, e’ non fa male.
Mellon c’è cogli altri insieme
quanto è una zucca grossa;
noi serbiam questi per seme,
perché assai nascer ne possa.
Fassi lor la lingua rossa,
l’alie e’ piè: e’ pare un drago
a vederlo e fiero e vago;
fa paura, non fa male.
Noi abbiam con noi baccelli
lunghi e teneri da ghiotti;
ed abbiamo ancor di quelli
duri e grossi: e’ son buon cotti
e da far de’ sermagotti;
se la coda in man tu tieni,
su e giù quel guscio meni,
e’ minaccia e non fa male.
Queste frutte oggi è usanza
che si mangin drieto a cena:
a noi pare un’ignoranza;
a smaltirle è poi la pena:
quando la natura è piena,
de’ bastar: pur fate voi
dell’usarle innanzi o poi;
ma dinanzi non fan male.
Queste frutte, come sono,
se i mariti c’insegnate,
noi ve ne faremo un dono:
noi siam pur di verde etate;
se lor fien persone ingrate,
troverrem qualche altro modo,
che ’l poder non resti sodo:
noi vogliam far carnasciale.
(Canti carnacialeschi)

martedì 14 febbraio 2012

Amleto Atto IV scena V di William Shakespeare

William Holman Hunt♫Valentine rescuing Sylvia from Proteus
"I due gentiluomini di Verona"
Ofelia
Di questo non parliamo, ve ne prego;
ma quando vi dovessero richiedere
di che si tratta, ditegli così:
"Sarà domani San Valentino,
ci leveremo di buon mattino,
alla finestra tua busserò,
la Valentina tua diventerò.
Allora egli si alzò,
delle sue robe tutto si vestì,
la porta della camera le aprì,
ed ella non più vergine ne uscì".
Re Claudio
Graziosa Ofelia!
Ofelia 
Ma voglio finirla;
sì, sì, finirla, e senza una bestemmia.
(Canta)
"Per Gesù, per la Santa Carità,
ahimè, quanta vergogna ci verrà!
I giovani lo fanno,
incuranti del danno,
e del biasmo che gliene verrà.
Dice lei: "promettesti di sposarmi,
prima di rovesciarmi."
Dice lui: "Avrei fatto quel che ho detto,
se non fossi venuta nel mio letto."
♫♫♫♫♫♫♫♫♫
Ophelia
Pray you, let's have no words of this; but when they
ask you what it means, say you this:
Sings
"To-morrow is Saint Valentine's day,
All in the morning betime,
And I a maid at your window,
To be your Valentine.
Then up he rose, and donn'd his clothes,
And dupp'd the chamber-door;
Let in the maid, that out a maid
Never departed more."
King Claudius
Pretty Ophelia!
Ophelia
Indeed, la, without an oath, I'll make an end on't:
Sings
"By Gis and by Saint Charity,
Alack, and fie for shame!
Young men will do't, if they come to't;
By cock, they are to blame.
Quoth she, before you tumbled me,
You promised me to wed.
So would I ha' done, by yonder sun,
An thou hadst not come to my bed."

lunedì 13 febbraio 2012

Canzona de' fornai di Lorenzo De Medici

Adrien Moreau
O donne, noi siam giovani fornai,
dell’arte nostra buon' maestri assai.
Noi facciam berlingozzi e zuccherini,
cociamo ancor certi calicioncini:
abbiam de’grandi, e paionvi piccini,
di fuor pastosi e drento dolci assai.
Facciamo ancor bracciatelli ed i gnocchi,
non grati agli occhi, anzi pien’ di bernocchi:
paion duri di fuor, quando li tocchi;
ma drento poi rïescon meglio assai.
Se ci è alcuna a chi la fava piaccia,
la meglio infranta abbiam che ci si faccia,
con un pestel che insino a’ gusci schiaccia,
ma a menar forte ell’esce de’ mortai.
Noi sappiamo ancor fare il pan buffetto,
più bianco che non è ’l vostro ciuffetto;
direnvi il modo che n’abbiam diletto;
pensar, dir, far non vorrem’altro mai.
Convien farina aver di gran calvello,
poi menar tanto il staccio o burattello,
che n’esca il fiore: e l’acqua calda e quello
mescola insieme, e tutto intriderai.
Or qui bisogna aver poi buona stiena:
la pasta è fine quanto più si mena;
se sudi qualche goccia per la pena,
rimena pur insin che fatto l’hai.
Fatto il pan si vuol porre a lievitare;
in qualche loco caldo vorria stare;
sopra un letto puossi assai ben fare;
che in ordine sia bene aspetterai.
Intanto ’l forno è caldo e tu lo spazzi:
lo spazzatoio in qua e in là diguazzi,
se vi resta di cener certi sprazzi;
non l’ha mai netto ben chi cuoce assai.
Sente il pan drento quel calduccio e cresce,
rigonfia, e l’acqua a poco a poco n’esce;
entravi grave e soffice rïesce;
d’un pane allor quasi un boccon farai.
Per cuocere un arrosto ed un pastello,
allato al forno grande è un fornello,
e tutt’a dua han quasi uno sportello,
ma non lo sanno usar tutti i fornai.
O belle donne, questa è l’arte nostra;
se voi volessi per la bocca vostra
qualche cosetta, questa sia la mostra:
al paragon noi starem sempre mai.