Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

mercoledì 31 ottobre 2012

La danza macabra di Johann Wolfgang von Goethe

Albrecht Kauw*Danza macabra*1649
Il campanaro, lui a mezzanotte
sulla fila di tombe china lo sguardo:
la luna ha diffuso dovunque il chiarore,
è come se fosse giorno nel camposanto.
Si muove una tomba, e poi un'altra:
ne vengono fuori, una donna, ecco, un uomo,
in candidi e lunghi sudari.
Si stira i malleoli - vogliono divertirsi
subito - per il girotondo quella brigata
di poveri e di giovani, di vecchi e di ricchi;
ma gli strascichi sono di inciampo alla danza,
e poiché qui il pudore non ha niente da fare
tutti si scuotono: sparse
giacciono sui tumuli le camiciole.
Ora il femore salta, la gamba si scrolla,
si dànno contorte movenze, e frammezzo
ogni tanto si scricchia e si crocchia,
come se le bacchette battessero il tempo.
Per il campanaro la scena è così comica!
E il tentatore, il burlone, gli mormora:
Vai a prenderti uno dei lenzuoli!
Detto fatto! E lui in fretta si rifugia
dietro porte consacrate. 
Limpido è sempre il chiarore della luna
sulla danza che fa raccapriccio.
Ma alfine si dilegua uno dopo l'altro,
se ne va ravvolto nel suo sudario,
ed ecco, è sotto la zolla erbosa.
In coda sgambetta e inciampa uno soltanto
e brancola vicino alle tombe e le aggraffa;
ma la grave offesa non è di un compagno,
lui fiuta il panno per aria.
Lo ricaccia la porta della torre, che scuote,
adorna e benedetta, per la buona sorte
del campanaro: riluce di croci metalliche.
Deve avere la camicia, e non si ferma,
pensarci a lungo non è necessario;
ora l'omiciattolo il fregio gotico afferra
e s'arrampica di pinnacolo in pinnacolo.
Per il poveretto, per il campanaro, è finita!
Lui s'inerpica, di voluta in voluta,
simile a un ragno dalle lunghe zampe.
Il campanaro sbianca, il campanaro trema,
ora vorrebbe rendergli il lenzuolo.
Adesso - per lui è l'ora estrema -
un uncino di ferro aggranfia l'orlo.
Si dilegua la luce, s'intorbida la luna,
la campana tuona un possente tocco dell'una,
e lo scheletro in basso si sfracella.
******************
Der Totentanz
Der Türmer, der schaut zu Mitten der Nacht
Hinab auf die Gräber in Lage;
Der Mond, der hat alles in's Helle gebracht;
Der Kirchhof, er liegt wie am Tage.
Da regt sich ein Grab und ein anderes dann:
Sie kommen hervor, ein Weib da, ein Mann,
In weißen und schleppenden Hemden.
Das reckt nun, es will sich ergetzen sogleich,
Die Knöchel zur Runde, zum Kranze,
So arm und so jung und so alt und so reich;
Doch hindern die Schleppen am Tanze.
Und weil hier die Scham nun nicht weiter gebeut,
Sie schütteln sich alle, da liegen zerstreut
Die Hemdelein über den Hügeln.
Nun hebt sich der Schenkel, nun wackelt das Bein,
Gebärden da gibt es vertrackte;
Dann klippert's und klappert's mitunter hinein,
Als schlüg' man die Hölzlein zum Takte.
Das kommt nun dem Türmer so lächerlich vor;
Da raunt ihm der Schalk, der Versucher, ins Ohr:
Geh'! hole dir einen der Laken.
Getan wie gedacht! und er flüchtet sich schnell
Nun hinter geheiligte Türen.
Der Mond und noch immer er scheinet so hell
Zum Tanz, den sie schauderlich führen.
Doch endlich verlieret sich dieser und der,
Schleicht eins nach dem andern gekleidet einher
Und husch! ist es unter dem Rasen.
Nur einer der trippelt und stolpert zuletzt
Und tappet und grapst an den Grüften;
Doch hat kein Geselle so schwer ihn verletzt;
Er wittert das Tuch in den Lüften.
Er rüttelt die Turmtür, sie schlägt ihn zurück
Geziert und gesegnet, dem Türmer zum Glück;
Sie blinkt von metallenen Kreuzen.
Das Hemd muß er haben, da rastet er nicht,
Da gilt auch kein langes Besinnen;
Den gotischen Zierat ergreift nun der Wicht
Und klettert von Zinne zu Zinnen.
Nun ist's um den armen, den Türmer getan!
Es ruckt sich von Schnörkel zu Schnörkel hinan,
Langbeinigen Spinnen vergleichbar.
Der Türmer erbleichet, der Türmer erbebt,
Gern gäb' er ihn wieder, den Laken.
Da häkelt - jetzt hat er am längsten gelebt -
Den Zipfel ein eiserner Zacken.
Schon trübet der Mond sich verschwindenden Scheins,
Die Glocke, sie donnert ein mächtiges Eins,
Und unten zerschellt das Gerippe.
.....e buon Halloween...

martedì 30 ottobre 2012

Anche tu sei collina di Cesare Pavese

Dod Procter*Self portrait
Anche tu sei collina
e sentiero di sassi
e gioco nei canneti,
e conosci la vigna
che di notte tace.
Tu non dici parole.
C'è una terra che tace
e non è terra tua.
C'è un silenzio che dura
sulle piante e sui colli.
Ci son acque e campagne.
Sei un chiuso silenzio
che non cede, sei labbra
e occhi bui. Sei la vigna.
E' una terra che attende
e non dice parola.
Sono passati giorni
sotto cieli ardenti.
Tu hai giocato alle nubi.
E' una terra cattiva -
la tua fronte lo sa.
Anche questo è la vigna.
Ritroverai le nubi
e il canneto, e le voci
come un'ombra di luna.
Ritroverai parole
oltre la vita breve
e notturna dei giochi,
oltre l'infanzia accesa.
Sarà dolce tacere.
Sei la terra e la vigna.
Un acceso silenzio
brucerà la campagna
come i falò la sera.
30-31 ottobre '45
(Verrà la morte e avrà i tuoi occhi)

lunedì 29 ottobre 2012

Zilpha Marsh di Edgar Lee Masters

Arthur Rackham*Sigfried und Grimhilde
Alle quattro, sul finire di ottobre,
sedevo solo nella scuola di campagna
dietro la strada fra i campi battuti,
e un turbine di vento sbatteva le foglie contro il vetro,
e bisbigliava nel camino della stufa,
che dallo sportello aperto soffondeva le ombre
con lo spettrale bagliore di un fuoco morente.
Pigramente spostavo la planchette...
d’improvviso il polso mi cedette
e la mano cominciò a muoversi in fretta sulla lavagna,
finché il nome di «Charles Guiteau» fu compitato
e minacciò di concretarsi davanti a me.
Mi alzai e fuggii dalla stanza a testa nuda
nel crepuscolo, atterrito dal mio talento.
Da allora gli spiriti sciamarono -
Chaucer, Cesare, Poe e Marlowe,
Cleopatra e Mrs. Surrat -
dovunque andassi, con messaggi...
Tutte sciocchezze, sentenziò Spoon River.
Ma si dicono sciocchezze ai bambini, nevvero?
Supponete allora che io veda ciò che voi non vedeste mai
e di cui mai udiste parlare e per cui non avete parole,
dovrò ben dire sciocchezze, quando m'interrogate
su ciò che io vedo!
******************
At four o’clock in late October
I sat alone in the country school-house
Back from the road ’mid stricken fields,
And an eddy of wind blew leaves on the pane,
And crooned in the flue of the cannon-stove,
With its open door blurring the shadows
With the spectral glow of a dying fire.
In an idle mood I was running the planchette—
All at once my wrist grew limp,
And my hand moved rapidly over the board,
Till the name of “Charles Guiteau” was spelled,
Who threatened to materialize before me.
I rose and fled from the room bare-headed
Into the dusk, afraid of my gift.
And after that the spirits swarmed -
Chaucer, Cæsar, Poe and Marlowe,
Cleopatra and Mrs. Surrat—
Wherever I went, with messages,—
Mere trifling twaddle, Spoon River agreed.
You talk nonsense to children, don’t you?
And suppose I see what you never saw
And never heard of and have no word for,
I must talk nonsense when you ask me
What it is I see!

domenica 28 ottobre 2012

Abissi di libertà di Pierfrancesco Zen

Alexandra Tyng*Vision to Hand
Era un ottobre gelido e solare
lo spirito ingialliva
appesantito da tempo e dolore.
Dalla finestra vedo
inseguire aquiloni
cullati da un suono di sirena.
Sentimenti storditi
e discendenti come foglie sfatte
rumoreggiano al suolo.
Ammaliato mi lego allo scanno
per osservarti insieme al peccato
con distacco ma dolce tenerezza.
Sono tornato al quotidiano andare
ma rimarrò per sempre
sugli abissi di libertà assorto.
Della mancata scelta il rancore
più non avvampa il ricordo
d'una stagione d'accesi colori;
già dilegua tra i vetri appannati
mentre lo so, stai ancora aspettando
mie rinascite o altre illusioni...
...e poi come sempre dubitare.
Ottobre 1997
(Farfalle Beat 1998)

sabato 27 ottobre 2012

Histrion di Ezra Pound

Adrian Waggoner*Young Saints and old Martyrs
Nessuno mai osò scrivere questo,
ma io so come le anime dei grandi
talvolta dimorano in noi,
e in esse fusi non siamo che
il riflesso di queste anime.
Così son Dante per un po' e sono
un certo Francois Villon, ladro poeta
o sono chi per santità nominare
farebbe blasfemo il mio nome;
un attimo e la fiamma muore.
Come nel centro nostro ardesse una sfera
trasparente oro fuso, il nostro "Io"
e in questa qualche forma s'infonde:
Cristo o Giovanni o il Fiorentino;
e poi che ogni forma imposta
radia il chiaro della sfera,
noi cessiamo dall'essere allora
e i maestri delle nostre anime perdurano.
*******************
No man hath dared to write this thing as yet,
And yet I know, how that the souls of all men great
At times pass athrough us,
And we are melted into them, and are not
Save reflexions of their souls.
Thus am I Dante for a space and am
One Francois Villon, ballad-lord and thief,
Or am such holy ones I may not write
Lest blasphemy be writ against my name;
This for an instant and the flame is gone.
'Tis as in midmost us there glows a sphere
Translucent, molten gold, that is the "I"
And into this some form projects itself:
Christus, or John, or eke the Florentine;
And as the clear space is not if a form's
Imposed thereon,
So cease we from all being for the time,
And these, the Masters of the Soul, live on.

venerdì 26 ottobre 2012

Le foglie morte di Jacques Prevert

Christian Berard
Oh! Vorrei tanto che tu ricordassi
i giorni felici quando eravamo amici.
La vita era più bella.
Il sole più bruciante.
Le foglie morte cadono a mucchi...
Vedi: non ho dimenticato.
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti
e il vento del nord le porta via
nella fredda notte dell'oblio.
Vedi: non ho dimenticato
la canzone che mi cantavi.
È una canzone che ci somiglia.
Tu mi amavi
io ti amavo.
E vivevamo noi due insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo.
Ma la vita separa chi si ama
piano piano
senza far rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi.
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti.
Ma il mio amore silenzioso e fedele
sorride ancora e ringrazia la vita.
Ti amavo tanto, eri così bella.
Come potrei dimenticarti.
La vita era più bella
e il sole più bruciante.
Eri la mia più dolce amica ...
Ma non ho ormai che rimpianti.
E la canzone che cantavi
sempre, sempre la sentirò.
È una canzone che ci somiglia.
Tu mi amavi
io ti amavo.
E vivevamo noi due insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo.
Ma la vita separa chi si ama
piano piano
senza far rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi
******************
Les Feuilles mortes
Oh, je voudrais tant que tu te souviennes,
Des jours heureux quand nous étions amis,
Dans ce temps là, la vie était plus belle,
Et le soleil plus brûlant qu'aujourd'hui.
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle,
Tu vois je n'ai pas oublié.
Les feuilles mortes se ramassent à la pelle,
Les souvenirs et les regrets aussi,
Et le vent du nord les emporte,
Dans la nuit froide de l'oubli.
Tu vois, je n'ai pas oublié,
La chanson que tu me chantais...
C'est une chanson, qui nous ressemble,
Toi qui m'aimais, moi qui t'aimais.
Nous vivions, tous les deux ensemble,
Toi qui m'aimais, moi qui t'aimais.
Et la vie sépare ceux qui s'aiment,
Tout doucement, sans faire de bruit.
Et la mer efface sur le sable,
Les pas des amants désunis.
Nous vivions, tous les deux ensemble,
Toi qui m'aimais, moi qui t'aimais.
Et la vie sépare ceux qui s'aiment,
Tout doucement, sans faire de bruit.
Et la mer efface sur le sable
Les pas des amants désunis...

giovedì 25 ottobre 2012

Rimanenze II di Camillo Sbarbaro

Giuseppe Pelizza da Volpedo
Scapitozzano gelsi; batton cerchi
a botti. Si rovescia sui selciati
la legna per l'inverno e suona d'ascia
ogni corte.
La castagna che sfrombola nei boschi
liberala dal riccio, castagnaio!
insaccala; chè già in città fan ressa
alla padella delle caldarroste,
con le mani intascate e i nasi rossi,
i ragazzi all'uscita della scuola.
E pure noi la sera, chiaccherando
tra il vino con gli amici, sgusceremo
bruciate; chè non è più saggia cosa.
Guarda la terra la sua genitura,
affaticata madre che, tra il pianto
tremolandole un riso, il nato guarda
che la fece gridare...
L'anima fascia una raccolta pace;
e la tiene a spiar, di là dai vetri,
lo stambugio, le nere
mani del ciabattino, come fosse
in quel cerchio di luce la pensata
felicità.
Che il borbottar della pignatta esali
un odor di legumi, altro non chiede,
e al suo deschetto lo ritrovi l'alba.
E la sera nel gotto denso vede
avverate le povere speranze
che pure a lui fanciullo
avranno fatto palpitare il cuore.
Autunno, primavera della terra:
serba l'albero il fuoco dei passati
soli,
come l'anima il caldo dei ricordi.
Autunno, tarda nostra primavera:
tempo che sull'amara
bocca dell'uomo
spunta il fiore tremante del soriso.
1922

mercoledì 24 ottobre 2012

Per Giuseppe, in ottobre di Attilio Bertolucci

Maxfield Parrish
Per quali strade di campagna vai
nel sole troppo caldo d’ottobre,
la mano chiusa in sé, la luce
a metà del tuo viso, a metà l’ombra?
È il quieto pomeriggio d’un bel giorno,
il bel giorno cammina coi tuoi passi
incerti fra le foglie che di ruggine
macchiano i rustici viali dell’Emilia.
Come il passero arrossa le sue penne
e ci dice che è il mattino ancora
tu camminando assorto fai che venga
sera e accogli nella pupilla severa
di bambino i colori del tramonto.
Così per me s’apre e si chiude un giorno
d’autunno, entro vi si muove gente
di queste parti e si ferma e discorre,
o tira via, saluta, altra porta
secchi d’acqua lontana. Presto
sarà l’inverno, lasciate che fermi
la stagione che indugia su una trama paziente.

martedì 23 ottobre 2012

Desolazione del povero poeta sentimentale di Sergio Corazzini

Melchior Lechter*Orpheus*1896
I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d'amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l'aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII
Io amo la vita semolice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.
"Piccolo libro inutile"

lunedì 22 ottobre 2012

Canzone autunnale di Walter Savage Landor

Winslow Homer*Autumn*1877
E' vero, i fanelli cantano
Più dolcemente tra le foglie di primavera:
E tu hai trovato in mezzo alle foglie
Ciò che inganna e si trasforma.
Così false come sono le hai lasciate
A lamentarsi alla luce del sole e delle stelle.
Ma c'è chi cammina accanto alle foglie d'autunno
Finchè tutte non sono morte,
Prestando orecchio paziente
Alle note basse tra i rami secchi.
***************
AUTUMNAL SONG
Very true, the linnets sing
Sweetest in the leaves of spring:
You have found in all these leaves
That which changes and deceives,
And, to pine by sun on star,
Left them, false ones as they are.
But there be who walk beside
Autumn's, till they all have died,
And who lend a patient ear
To low notes from branches sere.

domenica 21 ottobre 2012

Netta e silente di Wystan Hugh Auden

Balthus*Self*1935
Netta e silente nella
chiara luce di un mattino
d'ottobre, una domenica,
giace la grande città;
e io da una finestra
guardo oltre l'acqua il mondo
degli Affari con gli occhi
d'un innamorato.
Tutti gli uomini, penso,
quando sono in attesa
d'un evento eccitante
come un appuntamento,
passano il tempo solo
in pensieri casuali,
ché logica non vale
quando amore aspetta.
E per quanto si sforzi
di concentrarsi tutto
sul prezioso Oggetto, non ne ha
il potere Amore;
Goethe l'ha detta giusta:
a nessuno interessa
il tramonto più bello
dopo un quarto d'ora.
Così, tesoro, mentre
ti aspetto, passo il tempo
scrivendo ogni sciocchezza
che mi viene alla mente;
possa la vita, in breve
seppellita nel mio
inconscio personale,
risorgere dal buio.
Perchè l'associazione
trovi opportuno mettere
un trombone e un bull-dog
vicini su un piano verde
sparso di vecchie lettere,
semplicemente non 
vedo: suppongo sia La Con-
-dition Humaine.
Come da un proiettore
segue immagine a immagine;
qui un rullo compressore
percorre un aranceto,
guidato da una bambinaia
che tristemente mormora:
"Zola, povero vecchio Zola
ucciso da una stufa".
Sento ora san Francesco
dirmi gioioso mentre
a una centrale elettrica
ci avviciniamo:
"Amare gli uccelli è cosa semplice;
chiunque è in grado di farlo;
il difficile, ammetto,
è amare il pidocchio".
Benedict, Malinowski,
Rivers e altri insegnano
che la cultura comune
plasma la vita dei singoli:
progenie matrilinee
uccidono in sogno i fratelli
delle madri e si prendono
per mogli le sorelle.
Quale rappresentante
intellettuale delle
classi medie o quant'altro,
così devo sognare:
libera sì, ma senza
Forma è vana l'Essenza
ceto e istruzione guidano
il flusso vitale.
Chi in metropolitana,
tante facce osservando,
così diversa ognuna,
non vorrebbe sapere
quale forma più adatta
alla loro miseria
disperazione e amore
assumano per farvi fronte?
Non vorrebbe sapere
come i mestieri incidano
sull'idea che si fanno
gli uomini del fato?
Se un archivio i burocrati
ritengano il creato,
la Cosa-in-sè un immobile
gli agenti immobiliari?
Un politico, quando
sogna la donna amata,
moltiplica in un pubblico
il suo volto? Le sue
dolci risposte sono
reazioni decisive,
cerca di comperarla,
è rumoroso il bacio?
In guise strane muta
amore: così il poema
antico della carne
sub rosa ogni tanto
si sa che è diventato
l'Amor intellectualis
di Spinoza; in che
modo non sappiamo.
Lenti impariamo, almeno
sappiamo di dovere
molto disimparare
di quanto ci insegnarono,
e agli enfatici dogmi
resistiamo; molto più strano
come Materia è Amore
di quanto mai pensassimo.
Amore chiede un Oggetto,
ma questo varia tanto
che ogni cosa, o quasi,
può soddisfarlo, immagino:
amavo da bambino
una pompa meccanica,
la ritenevo bella
in tutto come te.
Amore non ha un posto,
esso è un modo di vivere,
un tipo di rapporto
possibile tra
cose o persone d'ogni genere,
a una condizione, quella
sine qua non essendo
il mutuo bisogno.
Con l'amore scopriamo
un segreto essenziale,
che chiamano Salvezza
certi, Successo altri;
volere la luna è
insolenza e invidia,
possiamo amare solo
quel che possediamo.
Per anni pensai che
amore fosse unione
di due opposti; ma era
tutta una menzogna;
ogni giovane teme
di essere indegno d'amore:
fortuna che in te, mio 
bene, me ho trovato.
Amerei dire ancora 
quanto t'amo, ringraziarti
per le felici svolte
che ho avuto nella vita,
ma stupido sarebbe 
perchè so che lo sai
e che potresti giungere
da un momento all'altro.
Se due amanti s'incontrano,
pensiero ed analitica
non han più senso: come
i morti, gli amanti
sono pari in amore;
studenti e contadini,
poeti e critici sono
uguali nel letto.
(Ballate, canzoni, blues e altri versi)
****************
Sharp and silent in the
Clear October lighting
Of a Sunday morning
The great city lies;
And I at a window
Looking over water
At the world of Business
With a lover's eyes.
All mankind, I fancy,
When anticipating
Anything exciting
Like a rendez-vous,
Occupy the time in
Purely random thinking,
For when love is waiting
Logic will not do.
Much as he would like to
Concentrate completely
On the precious Object,
Love has not the power;
Goethe put it neatly:
No one cares to watch the
Loveliest sunset after
Quarter of an hour.
So I pass the time, dear,
Till I see you, writing
Down whatever nonsense
Comes into my head;
Let the life that has been
Lightly buried in my
Personal Unconscious
Rise up from the dead.
Why association
Should see fit to set a
Bull-dog by a trombone
On a grassy plain
Littered with old letters,
Leaves me simply guessing,
I suppose it's La Con-
-dition Humaine.
As at lantern lectures
Image follows image;
Here comes a steam-roller
Through an orange grove,
Driven by a nursemaid
As she sadly mutters:
"Zola, poor old Zola
Murdered by a stove".
Now I hear Saint Francis
Telling me in breezy
Tones as we are walking
Near a power-house:
"Loving birds is easy,
Any fool can do it,
But I must admit it's
Hard to love the louse".
Malinowski, Rivers,
Benedict and others
Show how common culture
Shapes the separate lives:
Matrilineal races
Kill their mother's brothers
In their dreams and turn their
Sisters into wives.
As an intellectual
Member of the Middle
Classes or what-have-you
So I have to dream:
Essence without Form is
Free but ineffectual,
Birth and education
Guide the living stream.
Who when looking over
Faces in the subway,
Each with its uniqueness,
Would not, did he dare,
Ask what forms exactly
Suited to their weakness
Love and desperation
Take to govern there.
Would not like to know what
Influence occupation
Has on human vision
Of the human fate:
Do all clerks for instance
Pigeon-hole creation,
Brokers see the Ding-an-
-sich as Real Estate?
When a politician
Dreams about his sweetheart,
Does he multiply her
Face into a crowd,
Are her fond responses
All-or-none reactions,
Does he try to buy her,
Is the kissing loud?
Strange are love's mutations:
Thus, the early poem
Of the flesh sub rosa
Has been known to grow
Now and then into the
Amor intellectu-
-alis of Spinoza;
How we do not know.
Slowly we are learning,
We at least know this much,
That we have to unlearn
Much that we were taught,
And are growing chary
Of empathic dogmas;
Love like Matter is much
Odder than we thought.
Love requires an Object,
But this varies so much,
Almost, I imagine,
Anything will do:
When I was a child, I
Loved a pumping-engine,
Thought it every bit as
Beautiful as you.
Love has no position,
Love's a way of living,
One kind of relation
Possible between
Any things or persons
Given one condition,
The one sine qua non
Being mutual need.
Through it we discover
An essential secret
Called by some Salvation
And by some Success;
Crying for the moon is
Naughtiness and envy,
We can only love what-
-ever we possess.
I believed for years that
Love was the conjunction
Of two oppositions;
That was all untrue;
Every young man fears that
He is not worth loving:
Bless you, darling, I have
Found myself in you.
I should love to go on
Telling how I love you,
Thanking you for happy
Changes in my life,
But it would be silly
Seeing that you know it
And that any moment
Now you may arrive.
When two lovers meet, then
There's an end of writing
Thought and Analytics:
Lovers, like the dead,
In their loves are equal;
Sophomores and peasants,
Poets anf their critics
Are the same in bed.
(Lighter Poems)

sabato 20 ottobre 2012

Chiamò il mio cuore di Antonio Machado

Sigismund Ivanovski*1905
Chiamò il mio cuore, un chiaro giorno,
nel profumo di un giardino, il vento.
- In cambio dell'aroma,
chiedo tutto l'aroma delle rose.
- Io non ho rose; fiori
non ha il mio giardino; son tutti morti.
Porterò via i pianti delle fonti,
le foglie gialle e i petali appassiti.
E il vento sparì...Il cuore sanguinava...
Anima, che ne è del tuo povero orto?
****************
Llamó a mi corazón, un claro día,
con un perfume de jardín, el viento.
- A cambio de este aroma,
todo el aroma de tus rosas quiero.
- No tengo rosas; flores
en mi jardín no hay ya; todas han muerto.
Me llevaré los llantos de las fuentes,
las hojas amarillas y los mustios pétalos.
Y el viento huyó... Mi corazón sangraba...
Alma, ¿qué has hecho de tu pobre huerto?

venerdì 19 ottobre 2012

Mattini d'ottobre di Vincenzo Cardarelli

Jean Bèraud*The Place and Pont de l'Europe*1878
Di giorno in giorno il sole
si fa sempre più pallido.
E' un pallore che fiacca i nervi
e l'anima rattrista:
un'agonia di luce che si spegne,
un singhiozzo che muore lentamente.
In queste mattine d'ottobre
io vagolante in mezzo alla ressa
vo come un'ombra che cader potrebbe
senza rumore,
assaporando il sole d'autunno
ch'è il solicello della lunga morte.

giovedì 18 ottobre 2012

Alla nuova luna di Salvatore Quasimodo

Jules Guerin*1902
In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo
e al settimo giorno si riposò.
Dopo miliardi di anni l'uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d'una notte d'ottobre
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.

mercoledì 17 ottobre 2012

Una campana di Federico Garcia Lorca

Maria del Carmen Corredoira Y Ruiz*Soidade* c.1920-23
Una campana serena
crocifissa nel suo ritmo
delinea il mattino
in una parrucca di nebbia
e fiumi di lacrime.
Il mio vecchio pioppo
turbolento di usignoli
sperava
di disporre i suoi rami
tra le erbe
molto prima che l'autunno
indorasse.
Ma lo sosteneva
l'appoggio dei miei sguardi.
Vecchio pioppo, attento!
Non senti com'è spezzato
il legno del mio amore?
Distenditi sul prato
quando la mia anima scricchiola,
abbandonata com'è stata
da un uragano di patole
e baci,
prostrata e straziata.
Ottobre 1920
**************
Una campana serena
crucificada en su ritmo
define a la mañana
con peluca de niebla
y arroyos de lágrimas.
Mi viejo chopo
turbio de ruiseñores
esperaba
poner entre las hierbas
sus ramas
mucho antes que el otoño
lo dorara.
Pero los puntales
de mis miradas
lo sostenìan
¡Viejo chopo, aguarda!
¿No sientes la madera
de mi amor desgarrada?
Tiéndete en la pradera
cuando cruja mi alma,
que un vendaval de besos
y palabras
ha dejado rendida,
lacerada.
Octubre de 1920 .

martedì 16 ottobre 2012

Il cacciatore di Giovanni Pascoli

Winslow Homer
Frulla un tratto l'idea nell'aria immota;
canta nel cielo. Il cacciator la vede,
l'ode; la segue: il cuor dentro gli nuota.
Se poi col dardo, come fil di sole
lucido e retto, bàttesela al piede,
oh il poeta! gioiva; ora si duole.
Deh! gola d'oro e occhi di berilli,
piccoletta del cielo alto sirena,
ecco, tu più non voli, più non brilli,
più non canti: e non basti alla mia cena.
(Le pene del poeta*Myricae)

lunedì 15 ottobre 2012

LA QUERCIA SRADICATA DAL VENTO di Andrea Zanzotto

Adams*Fine di una giornata autunnale
nella notte del 15 ottobre MCMLVIII
Nel campo d'una non placabile idea,
d'una sera che il vento era tutto,
sì, tutto, e mi premeva
col suo gelo verso il più profondo
di quell'idea di quel sogno,
tricosa Gordio
da atterrire il filo della spada.
Nel seno d'energia
di quella inibizione nera
che faceva le cose sempre più
sempre più terra nella terra.
Vedi: troppo vicine le mie stanze
sono a te, quercia: resisti
ora, sull'orlo, sta
anche per tutto il mio
mancare.
..............................
Ti rinvenimmo
attraverso la squallida bocca del giorno,
rovesciata. Nel basso,
empito umbrifero, plurimo,
di calme e aromi che ti spiegavi fin là,
sino alla fonte mai vista del fiume
sino all'infanzia fantastica balbettante degli avi.
Ai nostri abietti piedi
tu ch'eri la vetta cui corre
l'occhio e il tempo al riposo.
E ora il sole allarga aride ali
sul paese svuotato di te.
................................
Quercia, come la messe
d'embrici e vetri, la dispersione
per selciati ed asfalti
- nostre irrite grida, irriti aneliti-,
quercia umiliata ai piedi
miei, di me inginocchiato
invano a alzarti come si alza il padre
colpito, invano
prostrato ad ascoltare
in te nostri in te antichissimi
irriti aneliti, irriti gridi.
(INTERMEZZO)

domenica 14 ottobre 2012

Lo spettro di Maria Luisa Spaziani

Jack Vettriano*Rose
Il Danubio era grigio come un rimorso inutile,
vattene spettro, vattene, dicevi a un'altra bruma,
l'odio è un oppio leggero, la passeggera spuma
di un tifone per altre ragioni memorabile.
Ai piedi di re Stefano l'onda gonfia scorreva
con straccetti di neve, sfatte corolle in fuga.
VIAGGIO VIAGGIARE IL VIAGGIO. Nemmeno più una ruga
di questo vecchio mondo per noi si nascondeva.
Prigionieri di nulla trascinavamo il cuore
saldato alla caviglia per continenti e mari.
Rodano, Don, Tamigi, il Nilo, l'Equatore,
lo Stige dagli odori più persistenti e amari.
L'odio è un oppio leggero quando l'odiato è morto,
un incenso che dura a candelabri spenti
sull'altare deserto, un pipistrello sorto
dalle macerie, un fascio di grida evanescenti.
Budapest, 14 ottobre 1977

sabato 13 ottobre 2012

Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock IV di Thomas Stearns Eliot

William McGregor Paxton*La Russe*1913
No! lo non sono il Principe Amleto, né ero destinato 
ad esserlo;
Io sono un cortigiano, sono uno
Utile forse a ingrossare un corteo, a dar l'avvio a una 
scena o due,
Ad avvisare il principe; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po' ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo -
E qualche volta, quasi, il Buffone. 
Divento vecchio... divento vecchio...
Porterò i pantaloni arrotolati in fondo.
Dividerò i miei capelli sulla nuca? Avrò il coraggio di 
mangiare una pesca?
Porterò pantaloni di flanella bianca, e camminerò 
sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare l'una all'altra.
Non credo che canteranno per me.
Le ho viste al largo cavalcare l'onde
Pettinare la candida chioma dell'onde risospinte
Quando il vento rigonfia l'acqua bianca e nera.
Ci siamo troppo attardati nelle camere del mare
Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune
Finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.
****************
No! I am not Prince Hamlet, nor was meant to be;
Am an attendant lord, one that will do
To swell a progress, start a scene or two,
Advise the prince; no doubt, an easy tool,
Deferential, glad to be of use,
Politic, cautious, and meticulous;
Full of high sentence, but a bit obtuse;
At times, indeed, almost ridiculous -
Almost, at times, the Fool.
I grow old … I grow old …
I shall wear the bottoms of my trousers rolled.
Shall I part my hair behind? Do I dare to eat a peach?
I shall wear white flannel trousers, and walk upon the 
beach.
I have heard the mermaids singing, each to each.
I do not think that they will sing to me.
I have seen them riding seaward on the waves
Combing the white hair of the waves blown back
When the wind blows the water white and black.
We have lingered in the chambers of the sea
By sea-girls wreathed with seaweed red and brown
Till human voices wake us, and we drown.

venerdì 12 ottobre 2012

La scoperta dell'America di Cesare Pascarella

Sebastiano Del Piombo*Cristoforo Colombo*1520c.
a la memoria de mi' matre
I
Ma che dichi? Ma leva mano, leva!
Ma prima assai che lui l'avesse trovo,
Ma sai da quanto tempo lo sapeva
Che ar monno c'era pure er monno novo! 
(.....)
XII
Fece lei, lei che vò - Tre navicelli.
- E ognuno, putacaso, quanto granne?
- Eh, fece lui, sur genere de quelli
Che porteno er marsala a Ripa granne.
- Va bene, fece lei, vi sia concesso. -
Capischi si com'è? Je venne bene,
Che je li fece dà quer giorno stesso.
E lui, sortito appena da Palazzo,
Prese l'omini, sciorse le catene,
E agnede in arto mare com'un razzo.
(.....)
XIII
Passa un giorno... due... tre... 'na settimana...
Passa un mese che già staveno a mollo...
Guarda... riguarda... Hai voja a slungà er collo,
L'America era sempre più lontana.
E 'gni tanto veniva 'na buriana:
Lampi, furmini, giù a rotta de collo,
Da dì: qui se va tutti a scapicollo.
E dopo? Dopo 'na giornata sana
De tempesta, schiariva a poco a poco,
L'aria scottava che pareva un forno,
A respirà se respirava er foco,
E come che riarzaveno la testa,
Quelli, avanti! Passava un antro giorno,
Patapùnfete! giù, n'antra tempesta.
(.....)
XXIII
Ma lui, capischi, lui la pensò fina!
Lui s'era fatto già l'esperimenti,
E dar modo ch'agiveno li venti,
Lui capì che la terra era vicina;
Percui, lui fece: intanto se cammina,
Be', dunque, dice, fàmoli contenti,
Ché tanto qui se tratta de momenti...
Defatti, come venne la matina,
Terra... Terra...! Percristo!... E tutti quanti
Ridevano, piagneveno, zompaveno...
Terra... Terra...! Percristo!... Avanti... Avanti!
E lì, a li gran pericoli passati
Chi ce pensava più? S'abbraccicaveno,
Se baciaveno... E c'ereno arrivati!
(.....)
XXIX
- E quelli? - Quelli? Je successe questa:
Che mentre, lì, framezzo ar villutello
Cusì arto, p'entrà ne la foresta
Rompeveno li rami cor cortello,
Veddero un fregno buffo, co' la testa
Dipinta come fosse un giocarello,
Vestito mezzo ignudo, co' 'na cresta
Tutta formata de penne d'ucello.
Se fermorno. Se fecero coraggio...
- A quell'omo! je fecero, chi séte?
- E, fece, chi ho da esse? Sò un servaggio.
E voi antri quaggiù chi ve ce manna?
- Ah, je fecero, voi lo saperete
Quando vedremo er re che ve commanna.
(.....)
XXX
E quello, allora, je fece er piacere
De portalli dar re, ch'era un surtano,
Vestito tutto d'oro: co' 'n cimiere
De penne che pareva un musurmano.
E quelli allora, co' bone maniere,
Dice: - Sa? Noi venimo da lontano,
Per cui, dice, voressimo sapere
Si lei siete o nun siete americano.
- Che dite? fece lui, de dove semo?
Semo de qui, ma come sò chiamati
'Sti posti, fece, noi nu' lo sapemo. -
Ma vedi si in che modo procedeveno!
Te basta a dì che lì c'ereno nati
Ne l'America, e manco lo sapeveno.
(.....)
XXXVIII
Ma perché? Perché lì nun c'è impostura,
Ché lì, quanno er servaggio è innamorato,
Che lui decide de cambià de stato,
Lo cambia co' la legge de natura.
Invece qui... le carte, la scrittura,
Er municipio, er sindico, er curato...,
Er matrimonio l'hanno congegnato
Che quanno lo vòi fà mette pavura.
E dove lassi poi l'antri pasticci
Der notaro? La dote, er patrimonio...
Si invece nun ce fossero st'impicci
Che te credi che ce se penserebbe?
Si ar monno nun ce fosse er matrimonio,
Ma sai si quanta gente sposerebbe!
(.....)
XLV
E poi semo sur solito argomento,
Ch'hai voja a fà, ma l'omo è sempre quello!
Ponno mutà li tempi, ma er cervello
De l'omaccio ci ha sempre un sentimento.
Ma guarda! Si c'è un omo de talento,
Quanno ch'è vivo, invece de tenello
Su l'artare, lo porteno ar macello,
Dopo more, e je fanno er monumento.
Ma quanno è vivo nu' lo fate piagne,
E nun je fate inacidije er core,
E lassate li sassi a le montagne.
Tanto la cosa è chiara e manifesta:
Che er monumento serve per chi more?
Ma er monumento serve per chi resta.
(.....)
XLVII
- De dov'era? Lo vedi com'è er monno?
Quann'era vivo, ch'era un disgraziato,
Se pò dì che nessuno ci ha badato,
E mo' che nun c'è più, tutti lo vonno.
Nun fa gnente? Ma intanto te risponno.
Li Francesi ci aveveno provato:
E si loro nun se lo sò rubato,
È proprio, caro mio, perché nun ponno.
Eh, quelli, già, sò sempre d'un paese!
E tutto, poi, perché? Pe la gran boria
De poté dì che quello era francese.
Ma la storia de tutto er monno sano...
Eh, la storia, percristo, è sempre storia!
Cristofero Colombo era italiano.
(.....)
L
Cusì Colombo. Lui cor suo volere,
Seppe convince l'ignoranza artrui.
E come ce 'rivò! Cor suo pensiere!
Ècchela si com'è... Dunque, percui
Risemo sempre lì... Famme er piacere:
Lui perchè la scoprì? Perché era lui.
Si invece fosse stato un forestiere
Che ce scopriva? Li mortacci sui!
Quello invece t'inventa l'incredibile:
Che si poi quello avesse avuto appoggi,
Ma quello avrebbe fatto l'impossibile.
Si ci aveva l'ordegni de marina
Che se troveno adesso ar giorno d'oggi,
Ma quello ne scopriva 'na ventina!

giovedì 11 ottobre 2012

Ottobre di Francesco Pastonchi

Elizabeth Sonrel*Autumn
Ottobre ha una cara anima pensosa
che gli sorride fra le ciglia d'oro,
ma sentendo partirsi un vol canoro
talvolta vuole piangere e non osa.
Dolce sui colli, quando in radiosa
pace, concesso tutto il suo tesoro
d'uve, spenta l'eco ultima di un coro,
serenamente stanco si riposa.
Ma più l'amo nei piani, ove ampio
svaria e gli orizzonti ceruli vapora,
mite persuadendo alla fatica.
Tutto è divino: il cielo intento, l'aria
che tace e splende, l'uomo che lavora
coi bovi, il grembo della madre antica.

mercoledì 10 ottobre 2012

Nel giardino di Giovanni Pascoli

Charles Sprague Pearce
Nel mio giardino, là nel canto oscuro
dove ora il pettirosso tintinnìa,
col gelsomino rampicante al muro,
c'è la gaggìa;
e or che ottobre dentro la vermiglia
foresta il marzo rende morto al suolo,
e sembra marzo, come rassomiglia
bacca a bocciuolo,
alba a tramonto; nelle tenui trine
l'una si stringe, al roseo vespro, quando
l'altro i suoi fiori, candide stelline,
apre, alitando;
ed al sospiro dell'avemaria,
quando nel bosco dalle cime nude
il dì s'esala, il cuore in una pia
ombra si chiude;
e l'anima in quell'ombra di ricordi
apre corolle che imbocciar non vide;
e l'ombra di fior d'angelo e di fior di
spina sorride.
(Alberi e fiori/Myricae)

martedì 9 ottobre 2012

Il canto d'amore di J.Alfred Prufrock III di Thomas Stearns Eliot

Mehoffer*The rose of Sharon*1923
E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormentata... stanca... o gioca a fare la malata,
Sdraiata sul pavimento, qui fra te e me.
Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?
Ma sebbene abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Sebbene abbia visto il mio capo (che comincia un po' 
a perdere i capelli) portato su un vassoio,
lo non sono un profeta - e non ha molta importanza;
Ho visto vacillare il momento della mia grandezza,
E ho visto l'eterno Lacchè reggere il mio soprabito 
ghignando,
E a farla breve, ho avuto paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
E fra la porcellana e qualche chiacchiera
Fra te e me, ne sarebbe valsa la pena
D'affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l'universo in una palla
E di farlo rotolare verso una domanda imbarazzante,
Di dire: « lo sono Lazzaro, vengo dal regno dei morti,
Torno per dir tutto, vi dirò tutto » -
Se qualcuno, mettendole un cuscino sotto il capo,
Dicesse: « Non è per niente questo che volevo dire.
Non è questo, per niente. »
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate di pioggia,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne 
strascicate sul pavimento -
E questo, e tante altre cose? -
E' impossibile dire ciò che intendo!
Ma come se una lanterna magica proiettasse il disegno 
dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se qualcuno, accomodandosi un cuscino o togliendosi 
uno scialle,
E volgendosi verso la finestra, dicesse:
« Non è per niente questo,
Non è per niente questo che volevo dire. »
. . . . . . . . . . 
And the afternoon, the evening, sleeps so peacefully!
Smoothed by long fingers,
Asleep ... tired ... or it malingers,
Stretched on the floor, here beside you and me.
Should I, after tea and cakes and ices,
Have the strength to force the moment to its crisis?
But though I have wept and fasted, wept and prayed,
Though I have seen my head (grown slightly bald) 
brought in upon a platter,
I am no prophet - and here's no great matter;
I have seen the moment of my greatness flicker,
And I have seen the eternal Footman hold my coat, and 
snicker,
And in short, I was afraid.
And would it have been worth it, after all,
After the cups, the marmalade, the tea,
Among the porcelain, among some talk of you and me,
Would it have been worth while,
To have bitten off the matter with a smile,
To have squeezed the universe into a ball
To roll it toward some overwhelming question,
To say: "I am Lazarus, come from the dead,
Come back to tell you all, I shall tell you all" -
If one, settling a pillow by her head,
Should say: "That is not what I meant at all.
That is not it, at all."
And would it have been worth it, after all,
Would it have been worth while,
After the sunsets and the dooryards and the sprinkled 
streets,
After the novels, after the teacups, after the skirts that 
trail along the floor -
And this, and so much more? -
It is impossible to say just what I mean!
But as if a magic lantern threw the nerves in patterns 
on a screen:
Would it have been worth while
If one, settling a pillow or throwing off a shawl,
And turning toward the window, should say:
"That is not it at all,
That is not what I meant, at all."

lunedì 8 ottobre 2012

A muso duro di Pierangelo Bertoli

Vincent Van Gogh
E adesso che farò, non so che dire
e ho freddo come quando stavo solo
ho sempre scritto i versi con la penna
non ordini precisi di lavoro.
Ho sempre odiato i porci ed i ruffiani
e quelli che rubavano un salario
i falsi che si fanno una carriera
con certe prestazioni fuori orario.
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Ho speso quattro secoli di vita
e ho fatto mille viaggi nei deserti
perché volevo dire ciò che penso
volevo andare avanti ad occhi aperti
adesso dovrei fare le canzoni
con i dosaggi esatti degli esperti
magari poi vestirmi come un fesso
per fare il deficiente nei concerti.
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Non so se sono stato mai poeta
e non mi importa niente di saperlo
riempirò i bicchieri del mio vino
non so com'è però vi invito a berlo
e le masturbazioni celebrali
le lascio a chi è maturo al punto giusto
le mie canzoni voglio raccontarle
a chi sa masturbarsi per il gusto.
Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
E non so se avrò gli amici a farmi il coro
o se avrò soltanto volti sconosciuti
canterò le mie canzoni a tutti loro
e alla fine della strada
potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
(F.Urzino - P.A.Bertoli*1979)
*Ieri era il 10° anniversario della scomparsa di Pierangelo*

domenica 7 ottobre 2012

Invictus di William Ernest Henley

Vasili Dimitrievich Polenov
Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro,
ringrazio qualunque dio esista
per l'indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l'angoscia.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l'Orrore delle ombre
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.
*********************
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
(Per Anna Politkovskaia assassinata il 7 ottobre di 6 anni fa)

sabato 6 ottobre 2012

Ottobre a Venezia di Diego Valeri

Martin Rico Y Ortega
Questi grigi di perla, e grigirosa,
e grigiverdi, in cui l'acqua ed il cielo
sembran vanire, come dietro un velo
d'eguale lontananza favolosa...
Giunge dal mare il fiato sonnolento
dello scirocco. Stancamente dondola
presso la riva l'ombra d'una gondola.
L'onda ha un singulto soffocato, dentro.
Venezia giace languida, disfatta.
E se un raggio di sol, rompendo il folto
delle nebbie, le palpita sul volto,
socchiude appena i gialli occhi di gatta.
La bionda carne delle pietre e il sangue
rosso dei rii, poi che il tramonto muore,
si scialbano d'un sùbito pallore
diaccio, come di febbre e il volto langue.
Dentro gli attoniti occhi di laguna
passan brividi foschi di tristezza;
lacrime di deserta tenerezza,
vi gocciano le stelle a una a una.
Un rio, tra case povere. Uno squarcio
d'azzurro in alto. Un viscido lustrare
d'olio nero nel fondo, e un occhieggiare
di vivi argenti sopra un verde marcio...
Ma il sole ora ha gittato a una cimasa
una pezza d'arancio e di granato
e l'acqua è tutta un brivido infiammato
che si riflette in faccia d'ogni casa.
Guizzi di rosse gemme e sprazzi d'oro
screziano l'ombra di velluto molle;
e un barcone di zucche e di cipolle
splende fastoso come un bucintoro.
Casette rosse d'un rosso di vela,
su cui lenta s'arrampica la vite
- e, giunta al sommo, spande la sua mite
verdura, e di sottile ombra le vela; -
aeree altane e balconi sereni
illuminati d'oleandri bianchi;
chiese vecchione e campanili stanchi
neri di salso e gialli di licheni;
muretti bigi chiazzati di scuro,
donde trabocca un cespo rosa, o pende
un tralcio d'oro, o al cielo si protende
l'ombra dogliosa d'un cipresso bruno;
come dolce, nel mobile cristallo
del rio, cupo e corrusco di scintille,
mirar le vostre tremule postille
d'ambra, di malachite e di corallo,
e calarsi e smarrirsi in quel beato
giardino ove fiorisce il fior del nulla,
ove la nostra tristezza fanciulla
ci attende col suo riso desolato...
Quando dalle stagnanti ultime brume
filtra, sul far dell'alba, un guizzo giallo,
l'acqua si salda in lucido metallo
e la pietra si stempra di roseo lume.
Poi, quando il sole, strappata ogni maglia,
nudo si lancia nell'azzurro nudo,
splendono i marmi d'un biancore crudo
di sale, e la laguna arde che abbaglia.
Ma alfine, ecco, su tutto s'è posata
la chiarità tranquilla del mattino;
e tra due cieli è fiorito il giardino
dove sogna la Bella addormentata.
Questa alberella dalle poche foglie,
pendule quasi per un fil di ragno,
nella sua rada trama d'oro vano
l'estremo riso d'autunno raccoglie.
Dietro e sopra, il deserto dell'azzurro,
muto infinitamente; ai piedi, l'onda
morta che inghiotte nell'ombra la sua fonda
albero e cielo con lene sussurro.

venerdì 5 ottobre 2012

Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock II di Thomas Stearns Eliot

Steichen*1908
E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Posso osare? » e, « Posso osare? »
Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai miei capelli -
(Diranno: « Come diventano radi i suoi capelli! »)
Con il mio abito per la mattina, con il colletto solido
che arriva fino al mento,
Con la cravatta ricca, e modesta, ma asserita da un
semplice spillo -
(Diranno: « Come gli son diventate sottili le gambe e
le braccia! »)
Oserò
Turbare l'universo?
In un attimo solo c'è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà.
Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: - 
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica che giunge da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?
E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle
mie abitudini?
Come potrei rischiare?
E ho già conosciuto le braccia, conosciute tutte -
Le braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma alla luce di una lampada avvilite da una leggera
peluria bruna!)
E' il profumo che viene da un vestito
Che mi fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle.
Potrei rischiare, allora?-
Come potrei cominciare?
. . . . . . . . . . . .
Direi, ho camminato al crepuscolo per strade strette
Ed ho osservato il fumo che sale dalle pipe
D'uomini solitari in maniche di camicia affacciati alle
finestre?...
Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi
. . . . . . . . . . . . .
*****************
And indeed there will be time
To wonder, “Do I dare?” and, “Do I dare?”
Time to turn back and descend the stair,
With a bald spot in the middle of my hair -
(They will say: “How his hair is growing thin!”)
My morning coat, my collar mounting firmly to the chin,
My necktie rich and modest, but asserted by a simple pin -
(They will say: “But how his arms and legs are thin!”)
Do I dare
Disturb the universe?
In a minute there is time
For decisions and revisions which a minute will reverse.
For I have known them all already, known them all: -
Have known the evenings, mornings, afternoons,
I have measured out my life with coffee spoons;
I know the voices dying with a dying fall
Beneath the music from a farther room.
So how should I presume?
And I have known the eyes already, known them all -
The eyes that fix you in a formulated phrase,
And when I am formulated, sprawling on a pin,
When I am pinned and wriggling on the wall,
Then how should I begin
To spit out all the butt-ends of my days and ways?
And how should I presume?
And I have known the arms already, known them all -
Arms that are braceleted and white and bare
(But in the lamplight, downed with light brown hair!)
Is it perfume from a dress
That makes me so digress?
Arms that lie along a table, or wrap about a shawl.
And should I then presume?
And how should I begin?
. . . . . . . . . . . .
Shall I say, I have gone at dusk through narrow streets
And watched the smoke that rises from the pipes
Of lonely men in shirt-sleeves, leaning out of windows?…
I should have been a pair of ragged claws
Scuttling across the floors of silent seas.
. . . . . . . . . . . .

giovedì 4 ottobre 2012

Da un eterno esilio di Andrea Zanzotto

George Innes*Autumn
Da un eterno esilio
eternamente ritorno
e coi giorni mi volgo e mi confondo,
vado, da me sempre più lontano,
divelto per erbe prati e tempi
d'ottobre
e silenzi confidati agli orecchi
da stelle e monti.

mercoledì 3 ottobre 2012

Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock I di Thomas Stearns Eliot

Kathleen O'Connor*Two cafè girl*1914
S'io credesse che mia risposta fosse 
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
senza tema d'infamia ti rispondo. 

*********************
Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in alberghi di passo a poco prezzo
E ristoranti pieni di segatura e gusci d'ostriche;
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l'insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono...
Oh, non chiedere  "Cosa?"
Andiamo a fare la nostra visita.
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i vetri
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la fuliggine che
cade dai camini,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una soffice sera d'ottobre
S'arricciolò attorno alla casa, e cadde in sonno.
E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo 
piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito
Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
♦♦♦♦♦♦♦♦
THE LOVE SONG OF J. ALFRED PRUFROCK I
S’io credesse che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza piu scosse.
ma perciocchè giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.

*******
Let us go then, you and I,
When the evening is spread out against the sky
Like a patient etherised upon a table;
Let us go, through certain half-deserted streets,
The muttering retreats
Of restless nights in one-night cheap hotels
And sawdust restaurants with oyster-shells:
Streets that follow like a tedious argument
Of insidious intent
To lead you to an overwhelming question….
Oh, do not ask, “What is it?”
Let us go and make our visit.
In the room the women come and go
Talking of Michelangelo.
The yellow fog that rubs its back upon the window-panes,
The yellow smoke that rubs its muzzle on the window-panes
Licked its tongue into the corners of the evening,
Lingered upon the pools that stand in drains,
Let fall upon its back the soot that falls from chimneys,
Slipped by the terrace, made a sudden leap,
And seeing that it was a soft October night,
Curled once about the house, and fell asleep.
And indeed there will be time
For the yellow smoke that slides along the street,
Rubbing its back upon the window panes;
There will be time, there will be time
To prepare a face to meet the faces that you meet;
There will be time to murder and create,
And time for all the works and days of hands
That lift and drop a question on your plate;
Time for you and time for me,
And time yet for a hundred indecisions,
And for a hundred visions and revisions,
Before the taking of a toast and tea.
In the room the women come and go
Talking of Michelangelo.
(Prufrock e altre osservazioni*1917)

martedì 2 ottobre 2012

L'angelo custode di Trilussa

Leon Jean Basile Perrault
L' omo cia' sempre un Angelo Custode
che l'accompagna come un cagnolino:
e 'st'angeletto che je sta vicino
l'assiste quanno soffre e quanno gode,
je custodisce l'anima e nun bada
che a incamminallo su la bona strada.
Io, quello mio, me lo figuro spesso,
anzi me pare quasi de vedello:
dev'esse un angeletto attempatello
così scocciato de venimme appresso
che ogni vorta che faccio una pazzia
invece d'ajutamme scappa via.
Defatti dove stava quela sera
ch'agnedi da Giggetta e la cosai?
Doveva dimme: - Abbada a quer che fai!... -
Ma certamente l'Angelo nun c'era,
o, forse, avrà pensato, ner vedella:
- Pur io farei lo stesso: è troppo bella! -
Nun me doveva di' ch'ero uno scemo
quanno, p'er gusto de sposà la fija,
me misi a casa tutta la famija?...
(Se ce ripenso adesso ancora tremo!
Sette persone, un cane e una gallina
che m'impiastrava tutta la cucina!)
Nun me doveva da' de l'imbecille
quer giorno che firmai le cambialette
a Isacco lo strozzino che me dette
seicento lire e ne rivolle mille?
Quante ce n'ho sofferte! E chi sa quante
n'avrà passate er povero avallante!
Ecco perché ce vado pe' le piste,
ecco perché me sbajo in bona fede:
la corpa è tutta sua, ché nun me vede:
la corpa è tutta sua, ché nun m'assiste:
la corpa è sua, ché nun me fa er controllo
quanno s' accorge che me rompo er collo.
A cose fatte, poi, me torna accanto,
me chiama, me mortifica, me strilla...
- Tu - dice - nun ciai l'anima tranquilla...
- Purtroppo! - dico - e me dispiace tanto!
Ma nun ce casco più, te l'assicuro...
- Davero? Me lo giuri? - Te lo gìuro... -
E ognuno dice le raggione sue
quasi pe' libberasse dar rimorso:
ma però se capisce dar discorso
che se pijamo in giro tutt'e due:
ché appena me ricapita una quaja
io ce ricasco e l'Angelo se squaja.

lunedì 1 ottobre 2012

D'ottobre di Folgore da San Gimignano

Bacchiacca
Di ottobre nel contá, c’ha buono stallo,
e’ pregovi, figliuoi, che voi n’andate;
traetevi buon tempo ed uccellate,
come vi piace, a piè ed a cavallo.
La sera per la sala andate a ballo,
e bevete del mosto e inebriate,
ché non ci ha miglior vita, in veritate:
e questo è vero, com’è ’l fiorin giallo.
E poscia vi levate la mattina,
e lavatevi’l viso con le mani;
lo rosto e ’l vino è buona medicina.
A le guagnèle, starete più sani,
ca pesce in lag’o fiume o in marina,
avendo meglior vita di cristiani!
(Sonetti dei mesi)