Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

venerdì 31 dicembre 2010

Nel breve numero di dodici mesi di Fernando Pessoa

Walter B. Humphrey Nel breve numero di dodici mesi
l'anno passa, e brevi sono gli anni.
Pochi la vita dura.
Che son dodici o sessanta nella foresta
dei numeri, e quanto poco manca
al termine del futuro!
Due terzi ormai, sì rapido, del corso
che mi è imposto correre declinando, trascorro.
M'affretto, e subito finisco.
Abbandonato in declivio cedo, e riluttante affretto
il moribondo passo.
Non so di chi ricordo il mio passato
che altro fui quando fui, né mi conosco
come se colla mia anima sentissi
quell'anima che nel sentire ricordo.
Da un giorno all'altro ci lasciamo.
Nulla di vero a noi ci unisce -
siamo chi siamo, e chi siamo stati fu
cosa vista di dentro.
Quel che sentiamo, non quel che è sentito,
è quel che abbiamo. Quindi, l'inverno triste
accogliamolo come destino.
Ci sia inverno sulla terra, non nella mente.
E, amore ad amore, o libro a libro, amiamo
il nostro teschio breve.
Sì, so bene
che mai sarò qualcuno.
So d'avanzo
che mai avrò un'opera.
So, infine,
che mai saprò di me.
Sì, ma adesso,
finché dura quest'ora,
questa luna, questi rami,
questa pace in cui stiamo,
lascino che mi creda
quel che mai potrò essere.
(Buon 2011!!!!)

giovedì 30 dicembre 2010

Sommario di Corrado Govoni

Maxfield Parrish/1910
L'annata lava con la pioggia il suo cadavere.
Il tempo ha un abito da povero
L'anima mia è un orto senza chiave.
I miei pensieri sono come gigli in un ricovero.
De l'edifizio verde
de la speranza più non resta una pietra.
Lo scudo contro i colpi spietati del male perde
la tempera. La via dell'avvenire è tetra.
Oh come è triste questo sommario!
Ed è forse ancora lontano
l'invocato calvario.
E tutto sembra vano, e tutto è vano...
Il vento a le porte
urta insistentemente;
ed il mio cuore si sente
pieno di foglie morte.
(Armonia in grigio et in silenzio)

mercoledì 29 dicembre 2010

Il mio passato di Alda Merini

Edward Runci Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante.

martedì 28 dicembre 2010

La bianca neve di Guillaume Apollinaire

George Sheridan Knowles
 Gli angeli gli angeli nel ciel
Uno è vestito da ufficial
Uno è vestito da cucinier
E gli altri a cantar
Bell'ufficiale color del ciel
Dopo Natale maggio verrà
E d'un bel sole ti decorerà
Ti decorerà
Spenna le oche il cucinier
Le oche oh che
Oh che neve cade e perché
Fra le mie braccia la mia bella non c'è
*******
La blanche neigeLes anges les anges dans le ciel
L'un est vêtu en officier
L'un est vêtu en cuisinier
Et les autres chantent
Bel officier couleur du ciel
Le doux printemps longtemps après Noël
Te médaillera d'un beau soleil
D'un beau soleil
Le cuisinier plume les oies
Ah! tombe la neige
Tombe et que n'ai-je
Ma bien-aimée entre mes bras.

lunedì 27 dicembre 2010

Aria del Dio della felicità di Bertolt Brecht

Window shopping/Anton Pieck
 Mi fai spuntare le lacrime, fratello,
vedo che la vita non è allegra
Ecco una mela: io ne possiedo tre,
perciò una la regalo a te.
Non ci vedo niente di eccezionale:
e l’uno e l’altro possiamo vivere.
Solo i semi, promettimelo,
avido non inghiottirli,
sputali invece a terra
prima che mi allontani.
E se poi cresce un melo
dentro il mio campicello
vieni a prenderti i frutti:
è il tuo albero quello!

domenica 26 dicembre 2010

Inverno di Attilio Bertolucci

Maurice Cullen/St.Lawrence street
Inverno, gracili sogni
sfioriscono sugli origlieri,
giardini lontani fra nebbie
nella pianura che sfuma
in mezzo alle luci dell’alba,
voci come in un ricordo
d’infanzia, prigioniere del gelo,
s’allontanano verso la campagna;
ninfe dagli occhi dolci e chiari
fra gli alberi spogli, sotto il cielo grigio,
cacciatori che attraversano un ruscello,
mentre uno stormo d’uccelli s’alza a volo.
Là in fondo quella casa
che ospitale appare
coperta di bianco,
in un silenzio da fiaba.
E attraverso i vetri
si vede la fiamma rossa
nel caminetto vacillare.
I treni arrivano,
è domenica, è Natale?
Più non scende lieve
sulla terra la neve.

sabato 25 dicembre 2010

Natale scettico di Jules Laforgue

Felix Ehrlich
È Natale… Natale?… Notte: uno scampanio
lontano…La mia penna, senza fede, sul foglio
cade. I ricordi cantano: dilegua, ecco, l'orgoglio,
e la tristezza permea tutto l'essere mio…
Ah, voci della notte; ricantano: "È Natale";
da laggiù, dalla chiesa che s'accende all'interno
m'arriva come un dolce rimprovero materno,
e il cuore mi si gonfia tanto da farmi male…
È notte. Ascolto a lungo quel suono di campane…
O famiglia dei vivi, ecco, sono il tuo paria
Nel cui stambugio a tratti giungono sopra l'aria
Le voci d'una festa, commoventi e lontane….

venerdì 24 dicembre 2010

Un Natale di Truman Capote

Jesus Blasco
Ma certo che Babbo Natale esiste.
Solo che non c'è nessuno
che possa fare da solo
tutto quello che deve fare lui.
E allora il Signore ha distribuito
i suoi compiti
tra tutti noi.
Per questo noi siamo tutti Babbo Natale.
Io. Tu.
Persino tuo cugino Billy Bob.
E adesso dormi.
Conta le stelle.
Pensa a cose più serene.
Alla neve, per esempio.
(da Un Natale)

giovedì 23 dicembre 2010

Notte di Natale di Diego Valeri

Small Christmas Day/Anastasia Duhanina"Mamma, chi è che nella notte canta questo canto divino?"
"Caro, è una mamma poveretta e santa che culla il suo bambino."
"Mamma, m'è parso di sentire un suono come di ciaramella..."
"Sono i pastori, mio piccino buono, che van dietro alla stella."
"Mamma, c'è un batter d'ali, un sussurrare di voci, intorno intorno."
"Son gli angeli discesi ad annunciare il benedetto giorno."
"Mamma, il cielo si schiara e si colora come al levar del sole..."
"Splendono i cuor degli uomini: è l'aurora del giorno dell'amore."

mercoledì 22 dicembre 2010

Happy Xmas (War Is Over) di John Lennon e Yoko Ono

Harry Anderson
E così è arrivato il Natale,
e tu cosa hai fatto?
Un altro anno se n’è andato
e uno nuovo è appena iniziato.
E così è Natale,
auguro a tutti di essere felici
alle persone vicine e a quelle care
ai vecchi ed ai giovani.
Buon Natale
e felice anno nuovo.
Speriamo sia un buon anno
senza timori né paure.
E così è Natale,
per i deboli ed i forti,
per i ricchi ed i poveri,
il mondo è così sbagliato.
E così è Natale,
per i neri ed i bianchi,
per i gialli ed i rossi,
smettiamola di combattere.
Buon Natale
e felice anno nuovo.
Speriamo sia un buon anno
senza timori né paure.
E così è Natale,
con tutto quello che è successo.
Un altro anno se n’è andato
e uno nuovo è appena iniziato.
E così è Natale,
auguro a tutti di essere felici
alle persone vicine e a quelle care
ai vecchi ed ai giovani.
Buon Natale
e felice anno nuovo.
Speriamo sia un buon anno
senza timori né paure.
La guerra è finita
Se tu lo vuoi
La guerra è finita
La guerra è finita, adesso.
************************
So this is Christmas
And what have you done
Another year over
And a new one just begun
And so this is Christmas
I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young
A very merry Christmas
And a happy New Year
Let’s hope it’s a good one
Without any fear
And so this is Christmas
For weak and for strong
For rich and the poor ones
The world is so wrong
And so happy Christmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let’s stop all the fight
A very merry Christmas
And a happy New Year
Let’s hope it’s a good one
Without any fear
And so this is Christmas
And what have we done
Another year over
And a new one just begun
And so this is Christmas
I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young
A very merry Christmas
And a happy New Year
Let’s hope it’s a good one
Without any fear
War is over
If you want it
War is over
Now…

martedì 21 dicembre 2010

Castelvecchio, 21 decembre di Giovanni Pascoli

Viggo Johansen Io sento il suono dell'antica avena
su l'alba ancora scialba ma serena.
Ed ecco il monte trascolora in rosa,
splendono i vetri a tutte le finestre.
E gente va, che vuol saper la cosa,
per le callaie e per le vie maestre.
Va dove il placido organo silvestre
canta l'antica sacra cantilena.
E`un pastor bianco al pari della neve,
che non ha casa ed anco all'otre beve.
Dice: - Era il sole per fuggir dal cielo.
Oggi s'è fermo e tornerà pian piano.
Piccolo è il seme, ma fa lungo stelo;
il seme è poco, ma fa tanto grano:
ed il buon Sole per un anno sano
semina, o genti, il giorno suo più breve. -
(Diario autunnale 1907)

lunedì 20 dicembre 2010

Natale..... 1895! di Vittoria Aganoor

Albert Chevallier Tayler/Christmas Tree/1911
E' Natale o fratelli
lontani, o creature
chiuse dentro gli avelli,
o fantasmi scomparsi
dell’oblìo nelle immense sepolture:
a voi tendo le braccia,
a voi volgo smarrita
la lagrimosa faccia,
a voi, che me vedeste
il limitare ascender della vita.
Oh tornatemi intorno!
oh ch’io da voi, siccome
in quel lontano giorno,
dir oda: - È l’ora, vieni,
vieni! - e chiamarmi oda da voi per nome.
La mia piccola mano
teneramente presa
- come in quel dì lontano -
io senta dalle vostre,
e sia notte, e laggiù brilli la chiesa.
Così per l’ampia strada
piena d’ombre e misteri
da voi protetta io vada
nulla temendo, e siano
tutti pieni di luce i miei pensieri.
Io non sappia che oscuro
d’imminenti procelle
ci sta sopra il futuro;
io sogni come allora,
in quella notte, un gran sogno di stelle.
Nulla io sappia del folle
mondo; di forsennate
stragi per poche zolle,
di madri che ai figliuoli
tendono invan le braccia disperate;
nulla io sappia e soltanto
come allora, nel suono,
o piuttosto nel canto
delle campane, io senta
una grande promessa e un gran perdono.

domenica 19 dicembre 2010

Natale di Enrico Panzacchi

Christian Krohg Alta è la notte, scendono
in candida legione
dal firmamento gli angeli
recinti di splendor.
Pace alla gente buona:
è nato il Redentor.
Fiocca la neve: déstansi
in mezzo all'ombra e al gelo
e alle melòdi angeliche
rispondono i pastor:
Sia gloria a Dio del cielo:
è nato il Redentor!
Un tintinnio di giubilo
da mille torri suona:
s'allargano le tenebre,
Spuntan dai tronchi i fior.
Pace alla terra buona:
è nato il Redentor.
Nell'umile presepio,
o Dio, invan ti Celi;
a offrire i re già vengono
mirra, profumi ed òr.
Gloria sia a Dio nei cieli:
è nato il Redentor.

sabato 18 dicembre 2010

Il vecchio Natale di Marino Moretti

Toth Gabor Mentre la neve fa, sopra la siepe,
un bel merletto e la campana suona,
Natale bussa a tutti gli usci e dona
ad ogni bimbo un piccolo presepe.
Ed alle buone mamme reca i forti
virgulti che orneran furtivamente
d'ogni piccola cosa rilucente:
ninnoli, nastri, sfere, ceri attorti...
A tutti il vecchio dalla barba bianca
porta qualcosa, qualche bella cosa.
e cammina e cammina senza posa
e cammina e cammina e non si stanca.
E, dopo avere tanto camminato
nel giorno bianco e nella notte azzurra,
conta le dodici ore che sussurra
la mezzanotte e dice al mondo: È nato!

venerdì 17 dicembre 2010

Con dolcezza inalterata di Emily Dickinson

William M. Spittle/Carol singers
Con dolcezza inalterata
Informato che l'ora era giunta
Con nessuna rinuncia al trionfo
L'autunno si avviò a casa -
A casa è con la Natura
Come al termine di una gara
Da influenti congiunti
Invitato a tornare
In supplementi di Porpora
Un adeguato pasto
In celeste rassegna
La parte residua è trascorsa -

giovedì 16 dicembre 2010

Rose di dicembre di Francesco Chiesa

William Charles Thomas Dobson/Christmas rose 
Vedere ancor due roselline, oggi,
a mezzo dicembre, mi pare un inganno
degli occhi, un prodigio, trovar queste
povere due roselline.
Con voce di foglie già morte, il rosaio
risponde alle scosse del vento;
si tien dritto al muro, a sentir se l'intonaco
tiepido è ancora.
Sì: forse un pò tiepido; e basta ai due bocci
che s'aprono lenti, in silenzio;
e pare un celato sorridere, un muoversi
vago di labbra.

mercoledì 15 dicembre 2010

Nell'orto di Giovanni Pascoli

Jan Brueghel Castelvecchio, 15 decembre
A casa mia giunto sul vespro alfine,
io vedo un sogno ch'è pur cosa vera.
I quattro peri che piantai nell'orto
a circondar la conca d'arenaria,
vedo fioriti! E il cielo è bigio e smorto,
la nebbia fuma, fredda punge l'aria:
la neve è su la Pania solitaria...
- Allora, a marzo, o che lassù non c'era? -
E tutto cade, tutto va, si perde;
il fiume va come una folla in pianto.
La quercia ha il musco e l'edera, di verde:
sui verdi rami ha un suo gran rosso manto.
Sol foglie secche, e i vostri fior soltanto!...
- O non era così di primavera? -
Marzo a decembre, alba somiglia a sera!
Eppure altro è il principio, altro la fine.
Vedo tremare un poco le fogline
delle corolle al vento che le sfiora.
Avete il tempo, arbusti miei, sbagliato:
ora non viene la dolciura in cielo.
Non si prepara a rifiorire il prato:
viene la brina e mangia ogni suo stelo.
Viene la brina, ed anche viene il gelo...
- E così dunque non accadde allora? -
Ma il monte allora ritornò turchino,
e fiorirono i peschi e gli albicocchi.
Era fiorito il mandorlo e il susino,
metteva il melo foglie e fiori a gli occhi.
Fiori per tutto, a spighe, a mazzi, a fiocchi...
- A noi, col gelo li strinò l'aurora! -
Poveri arbusti! E si riprovan ora.
Oh! videro fiorire anche le spine!...
(Diario Autunnale 1907)

15 Dicembre di Anne Sexton

Alex Ross/1949Il giorno della sbronza solitaria è qui.
Non c'è la volpe, né meteo,
niente uccelli né i chipmunks,
né giochi sul sofà, nè villaggio vacanze.
Niente di quanto c'è stato tra noi,
né cielo, né mese -solo ciucca.
La mezzaluna è acida, amara,
triste mentre mi canto il Blended Whiskey Blues

martedì 14 dicembre 2010

Natale..... 1894! di Vittoria Aganoor

 Boughton/1864
"Gloria nei cieli e pace
agli uomini!" -
Oh non sia
la promessa, fallace!
ah s’apra questa via
angusta, ove una face
non brilla, ove s’obblìa
la mèta, in un tenace
miraggio di follìa!
Noi soffochiamo; il lezzo
sale; si gonfia il core
di sdegno e di ribrezzo...
Non lasciarci, o Signore,
a questo fango in mezzo,
o la speranza muore!

lunedì 13 dicembre 2010

Biglietto di Natale a Maria Luisa Spaziani di Cristina Campo

Nochebuena/Antonio Lopez Garcia/1955
Maria Luisa quante volte
raccoglieremo questa nostra vita
nella pietà di un verso, come i Santi
nel loro palmo le città turrite?
La primavera quante volte
turbinerà i miei grani di tristezza
dentro le piogge, fino alle tue orme
sconsolate - a Saint Cloud, sulla Giudecca?
Non basterà tutto un Natale
a scambiarci le favole più miti:
le tuniche d’ortica, i sette mari,
la danza delle spade.
“Mirabilmente il tempo si dispiega…”
ricondurrà nel tempo questo minimo
corso, una donna, un atomo di fuoco:
noi che viviamo senza fine.
Cristina

domenica 12 dicembre 2010

Narcissi di Giovanni Pascoli

Henry Jules Jean Geoffroy Bologna, 12 decembre.
- Narcissi d'oro, candidi narcissi,
voi che corona avete oltre corolla:
per cuna aveste un vaso, e non la zolla;
terriccio a letto, e non la madre terra.
Per gli altri il freddo, ma per voi la serra;
morivan gli altri, e voi veniste in boccia.
Ora ogni foglia stride e s'accartoccia;
e voi fiorite, lieti, belli, e soli. -
- Oh! i primi caldi dopo il verno, e i voli
delle farfalle, e i canti dei fringuelli!
Al sole uscir con tutti i suoi fratelli,
odorar tutti al cominciar d'aprile!
al vento, all'acqua, a gruppi a macchie a file,
in tanti, in tanti, da sfiorire in pace!
nel prato, con le altr'erbe, fin che piace
alla falce che agguaglia erbe e narcissi. -
(Diario Autunnale 1907)

sabato 11 dicembre 2010

La leggenda di Natale di Fabrizio De Andrè

Alfons Siber/Love Frozen/1913
Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l'età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea.
E venne l'inverno che uccide il colore
e un babbo Natale che parlava d'amore
e d'oro e d'argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni.
Coprì le tue spalle d'argento e di lana
di pelle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare.
E adesso che gli altri ti chiamano dea
l'incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d'un fiore appassito a Natale.
1968

venerdì 10 dicembre 2010

La neve cade di Boris Pasternak

Cornelius Krieghoff/1871 La neve cade, la neve cade
Alle bianche stelline in tempesta
Si protendono i fiori del geranio
Dallo stipite della finestra:
La neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
ogni cosa si lancia in un volo,
i gradini della nera scala,
la svolta del crocicchio.
La neve cade, la neve cade,
come se non cadessero i fiocchi,
ma in un mantello rattoppato
scendesse a terra la volta celeste.
Come se con l'aspetto di un bislacco
Dal pianerottolo in cima alle scale,
di soppiatto, giocando a rimpiattino,
scendesse il cielo dalla soffitta.
Perché la vita stringe. Non fai a tempo
A girarti dattorno, ed è Natale.
Solo un breve intervallo:
guardi, ed è l'Anno Nuovo.
Densa, densissima la neve cade.
E chi sa che il tempo non trascorra
Per le stesse orme, nello stesso ritmo,
con la stessa rapidità o pigrizia,
tenendo il passo con lei?
Chi sa che gli anni, l'uno dietro l'altro,
non si succedano come la neve,
o come le parole d'un poema?
La neve cade, la neve cade,
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
il pedone imbiancato,
le piante sorprese,
la svolta del crocicchio.

giovedì 9 dicembre 2010

9 dicembre di Anne Sexton

Simon Dewey Due anni fa, Riservista,
avresti voluto bruciare
la cartolina oppure
sparire, disertore.
Invece sei rimasto a servire
l'Aereonautica. La testa sfornava
cattive pensate, mandavi
il cuore in porta
come un pallone, il tuo buon cuore
che mai e poi mai cessa
di riconoscere i suoi torti.
Da Frisco hai fatto una telefonata.
Poi ti hanno confezionato
un Aereomedico
che riappiccicava insieme
pezzi umani staccati
dagli spari. Alcuni rispediti al mittente
troppo morti per essere malati.
Ma io non tenni un diario
a quel tempo
e tu dici che oggi
fai di peggio
Oggi scarichi corpi di uomini
alla base aereonautica
di Travis - maledetta -
niente alberi, un cratere
circondato da colline.
Lo Starlifter dal
Vietnam, megacarro funebre,
atterra. Cento
ne arrivano giorno dopo giorno
solo quarantott'ore
dopo la morte, carichi
addirittura a volte
di sessanta bare in schiera.
Manuale Meno Numero
Sedici Prontuario
preferisce intitolare il tutto
I resti umani.
Questa è la posizione
che ha preso il mondo
con i figli del nemico
e le conquiste del nemico.
Tu li scarichi - scivolano
in sacchi di gomma
dentro una bara di alluminio -
questi resti umani,
ché mantengono sempre la testa più alta
dei dieci ditini dei piedi.
Hanno la precedenza assoluta quando
vengono rispediti
con lo stipendio di quattro mesi
e con le spese di sepoltura
acclusi.
Quali riguardi
per quei resti umani!
Servono per le statistiche!
Non sia mai che vengano
gettati a mare da aerei in panne.
Restino a bordo! Sono più importanti
ora che sono morti.
E tu mi dici: "Finché non t'ammazzano
ti trattano come una merda".
E vengono poi portati nella Caverna
quei resti umani timbrati
su uno Starlifter, un Cargomaster,
un aereo postale, un Hercules
mentre il napalm bolle in pentola,
mentre il napalm s'acquatta nel nido di morte.
E qui da noi si faceva
la Marcia della Pace -
questa Washington che occupiamo.

mercoledì 8 dicembre 2010

Canzone minore di Federico Garcia Lorca

Ignacio Zuloaga Y Zabaleta/Lola con vestido de flor
Hanno gocce di rugiada
le ali dell'usignolo,
gocce chiare di luna
rapprese d'illusione.
Il marmo della fonte
raccoglie il bacio dello zampillo,
sogno di umili stelle.
Tutte le bambine dei giardini
quando passo
mi dicono addio. Anche
le campane mi dicono addio.
Nel crepuscolo gli alberi
si baciano. Ed io
piango lungo il viale,
grottesco e senza rimedio,
triste come Cyrano
e Don Chisciotte,
redentore
di impossibili infiniti
al ritmo dell'orologio.
Vedo gigli appassire
a contatto della mia voce
macchiata di luce sanguigna,
e nella mia lirica canzone
indosso abiti da pagliaccio
impolverato. L'amore
vago e bello si è nascosto
sotto un ragno. E il sole
come un altro ragno mi nasconde
con le sue zampe d'oro.
Mai raggiungerò la buona sorte,
perché son come l'Amore stesso,
con frecce di pianto
nella faretra del cuore.
Darò tutto agli altri
e piangerò la mia passione
come un bambino abbandonato
in un racconto sbiadito.
(Granada, dicembre 1918)

martedì 7 dicembre 2010

Ritorno a Brema di Erich Fried

Juan Botas/1987
Tardo autunno
la prima neve
le strade di notte
ghiacciate
ma verso te
Poi all'alba
la ferrovia
monotona
stancante
ma verso te
Verso la tua voce
verso il tuo essere
verso il tuo essere tu
verso te.

lunedì 6 dicembre 2010

Prega, amico, per la casa insonne di Marina Cvetaeva

Marianne Stokes/Candlemas Day 1901
Ecco ancora una finestra,
dove ancora non dormono.
Forse - bevono vino,
forse - siedono così.
O semplicemente - le due
mani non staccano.
In ogni casa, amico,
c'è una finestra così.
Non candele o lampade hanno acceso il buio:
ma gli occhi insonni!
Grido di distacchi e d'incontri:
tu, finestra nella notte!
Forse, centinaia di candele,
forse, tre candele...
Non c'è, non c'è per la mia
mente quiete.
Anche nella mia casa
è entrata una cosa come questa.
Prega, amico, per la casa insonne,
per la finestra con la luce.
dicembre 1916

domenica 5 dicembre 2010

Dicembre di Vittoria Aganoor

Laurets Andersen Ring/1888
Qua e là per la campagna irti si drizzano
al cielo i rami delle piante esauste.
Piove; incombe sull’ampia solitudine
desolata, il silenzio.
Sulla deserta immensità dell’anima
talor mute così piovon le lagrime;
umane braccia così al ciel protendonsi
talora, emunte e supplici.

sabato 4 dicembre 2010

4 dicembre di Anne Sexton

John Mellencamp E dov'è che ci siamo conosciuti?
A Londra, in Carnaby Street?
Fu Parigi, sulla Rive Gauche,
Quel "là" cui posso essere grata?
No. Eravamo ad Harvard Square,
All'edicola in lacrime entrambi.
A quel "là" posso essere grata -
Il giorno che Jack Kennedy moriva.
E un'ora dopo era morto,
Le cervella schizzate dalla mente brillante.
E piangendo bevemmo un whiskey liscio,
E il mondo ancora ricorda la data.
Entrambi scrivemmo poesie, ma non ci riuscimmo
E insieme piangemmo tutta la notte
E fra teneri sospiri ci innamorammo
La sera che i grandi comandano morte.

venerdì 3 dicembre 2010

3 dicembre di Vittorio Sereni

Juan Gris All'ultimo tumulto dei binari
hai la tua pace, dove la città
in un volo di ponti e di viali
si getta alla campagna
e chi passa non sa
di te come tu non sai
degli echi delle cacce che ti sfiorano.
Pace forse è davvero la tua
e gli occhi che noi richiudemmo
per sempre ora riaperti
stupiscono
che ancora per noi
tu muoia un poco ogni anno
in questo giorno.
(Frontiera)

giovedì 2 dicembre 2010

La ghiandaia ha scosso le sue nacchere di Emily Dickinson

William Adolphe Bouguereau/Genevieve Bouguereau/1850 
La Ghiandaia ha scosso le sue Nacchere
Metti il manicotto per l'Inverno
La Stola che ignora la sua voce
È impudente verso la natura
Di Bruni Giorni è la compagna
Il suo Loto è la castagna
Il Grillo mette giù una linea nera
Nulla di più dalla vostra per adesso

mercoledì 1 dicembre 2010

Dicembre di Diego Valeri

Hans Flato Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla;
si gettavano per le vie deserte
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s'abbrancavano alle morte
rame d'alberi dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via, serpenti,
con fischi lunghi e lenti strisci...
Ora mi sporgo nell'attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Teso il cielo di pallide bende.
Il gran cipresso, assorto, col suo verde
strano, nell'alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell'orto.
Finestre senza tende, cupe,
guardano intorno. Non c'è voce umana,
grido d'uccello, rumore di vita,
nell'aria vasta e vana.
C'è solo una colomba,
tutta nitida e bionda,
che sale a passi piccoli la china
d'un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

martedì 30 novembre 2010

A un viaggiatore di Lionel Johnson

Carbonetti*Tempesta di novembre
I monti, e infine la morte solitaria
Sui monti solitari: o forte amico!
Concluso il peregrinare, compiuta la fatica,
Riposi infine davvero:
La terra ti diede il meglio di sé,
Quella fatica e questa fine.
La terra fu tua madre, e tu il suo vero figlio
La terra ti chiamò a conoscere le sue strade,
Sopra le grandi vette, su pei grandi fiumi: ora,
Sul petto generoso della terra
Riposi infine davvero:
Tu, e i tuoi ardui giorni.
Addio, cuore vigoroso! La notte tranquilla
Guarda calma a te: e il sole riversa
Su te il suo fulgore, o cuore possente!
La terra ti dà perfetto riposo:
La terra, che i tuoi piedi veloci calcarono:
La terra, che le ampie stelle coronano.
(A Mario Monicelli, grazie per il divertimento)

lunedì 29 novembre 2010

Russia di Aleksandr Aleksandrovic Blok

Pyotr Subbotin Permyak/Voronezhskaya Baba/1912 
 Di nuovo, come negli anni d'oro
strisciano tre logore imbrache
e si impantano i raggi dipinti delle ruote
nei solchi delle strade sgangherate...
Russia, misera Russia,
per me le grigie tue isbe,
per me le tue canzoni al vento sono
come le prime lacrime d'amore!
Io non so compatirti,
e porto con prudenza la mia croce…
Cedi la tua bellezza brigantesca
allo stregone che più ti piace!
Che egli ti adeschi e ti inganni, -
non ti perderai, non perirai,
e solo l'apprensione annebbierà
le tue bellissime fattezze...
Ebbene? Per un affanno di più,
per una lacrima il fiume è più fangoso,
ma tu sei sempre la stessa: foreste e campi,
e fazzoletto rabescato fin sopra le ciglia...
E l'impossibile si fa possibile,
la lunga strada è lieve,
quando sfolgora nella tua lontananza
da un fazzoletto uno sguardo improvviso,
quando con pena di carcere echeggia
il sordo canto del postiglione!...
(1908)

domenica 28 novembre 2010

Parole di Alfonso Gatto

MacRae/Melina
"Ti perderò come si perde un giorno
chiaro di festa: - io lo dicevo all'ombra
ch'eri nel vano della stanza- attesa,
la mia memoria ti cercò negli anni
floridi un nome, una sembianza: pure,
dileguerai, e sarà sempre oblio
di noi nel mondo."
Tu guardavi il giorno
svanito nel crepuscolo, parlavo
della pace infinita che sui fiumi
stende la sera alla campagna.
(Arie e ricordi)

sabato 27 novembre 2010

Margaret Fuller Slack di Edgar Lee Masters

Anna Hanska Mniszech/Jean Gigoux/1853 Sarei stata grande come George Eliot
ma il destino non volle.
Guardate il ritratto che mi fece Penniwit,
col mento appoggiato alla mano e gli occhi fondi-
e grigi, e indaganti lontano.
Ma c'era il vecchio, l'eterno problema:
celibato, matrimonio o impudicizia?
Venne il ricco esercente John Slack,
con la promessa che avrei potuto scrivere a mio agio,
e io lo sposai, misi al mondo otto figli,
e non ebbi più tempo per scrivere.
Per me, comunque, era tutto finito
quando l'ago mi trafisse la mano
mentre lavavo i panni del bambino,
e morii di tetano, un'ironica morte.
Anime ambiziose, ascoltate
il sesso è la rovina della vita!

venerdì 26 novembre 2010

Pioggia d'autunno di Vittoria Aganoor

The temptation of Sir Percival/1894/Arthur Hacker
Questa mane è piovuto, e alla mia stanza sale
dalle aperte finestre quell’odore autunnale
dei boschi, che risuscita forme e sogni scordati:
abbadie scure e mute; monaci incappucciati;
vecchie selve, dimora favolosa di maghi
dalla bacchetta d’oro; grotte profonde, e laghi
tetri, dal fondo verde d’alighe lunghe e folte,
forse chiome ribelli di naiadi, sepolte
sotto quell’acque...
A quando a quando il sol percote
la parete di contro, e muta tinte e note
a quel mobile mondo di fantasmi... È fuggita
ogni strana sembianza; ecco il sole, la vita,
la giovinezza, il vero! Che risi seduttori
che inviti, in quel suo bianco raggio d’autunno!
"Fuori! -
(sembra dir) - "l’aria è fresca, i prati sono ancora
verdi, e Cerere amica d’auree messi colora
i campi; oggi risplendo a festa, ma non giuro
d’esser l’ugual, domani; lo sapete, è sicuro
solo l’istante, l’ora fugge e i maligni fati
v’invidiano le feste; dunque fuori! sui prati,
alle colline! Avanti! che l’inverno è alle porte
ed avrò un bel risplendere se le foglie sien morte
e la neve distesa sulle zolle deserte
di vita!"
E intanto fulgida dalle finestre aperte
entra un’ondata bianca e m’invade la stanza
e spia per ogni dove come un bimbo in vacanza;
fruga tra i libri, scherza sul minuto lavoro
degli stipi; a ogni ninnolo dà una pagliuzza d’oro
e ride...
Io vorrei correre ai colli alti, al divino
aer libero e fresco, ma... sovra il tavolino
un nero volumone mi guarda, fa il cipiglio,
m’ammonisce, borbotta. Come è ingrato il consiglio
che mi dà quel maestro inflessibile e grave!
il cielo è così bello! l’aria così soave!
forse... è l’ultimo giorno di festa.
O che mi serbi
tu, libro tenebroso? forse dei veri acerbi
e null’altro...
No! meglio l’istante spensierato,
il sogno, anche se breve, il fantasma, evocato
da un raggio bianco e un ramo di gocciole coperto...
corriamo ai prati, ai colli, all’aperto, all’aperto!

giovedì 25 novembre 2010

Un Giorno vi è della Serie di Emily Dickinson

Herbert Andrew Paus /Thanksgiving 1910
Un Giorno vi è della Serie
Chiamato Giorno del Ringraziamento -
Celebrato in parte a Tavola
In parte, nella Memoria -
Né Patriarca né Micio
Io disseziono la Recita -
Che appare al mio Velato pensiero
Il riflesso della Festa -
Non ci fosse stata una brusca Sottrazione
Dalla Somma iniziale -
Né un Acro o un'Iscrizione
Dov'era una volta una Stanza -
Né una Menzione, il cui piccolo Ciottolo
Corrugherebbe qualsiasi Mare,
Quello, vi fosse una tale Assemblea,
Sarebbe il Giorno del Ringraziamento.
********
One Day is there of the Series
Termed Thanksgiving Day -
Celebrated part at Table
Part, in Memory -
Neither Patriarch nor Pussy
I dissect the Play -
Seems it to my Hooded thinking
Reflex Holiday -
Had there been no sharp Subtraction
From the early Sum -
Not an Acre or a Caption
Where was once a Room -
Not a Mention, whose small Pebble
Wrinkled any Sea,
Unto Such, were such Assembly,
'Twere Thanksgiving Day.

mercoledì 24 novembre 2010

Canto di donna di Clemente Rebora

R.H. Ives Gammell Lungo di donna un canto si trasfonde
come azzurro vapore
dai clivi lambiti dal sole d'autunno
che stanco dirada l'ardor delle fronde
e nuvole scioglie cercanti sopore.
Nel vuoto sostare dell'aria ascoltante
la voce mi pàlpita in cuore;
e le bellezze ripenso che sole
vaniscon senza amore:
baleno d'oro non giunto al guizzo,
pianta nel succhio divelta, tizzo
scordato sotto la cappa
a sognare la fiamma,
alito non respirato,
baci non schiusi,
forte corpo senza amplesso.
Dai clivi si versa si esala dispera
l'umido ombrare violetto:
a casa, a spremer la sera!

martedì 23 novembre 2010

La Doppia Immagine di Anne Sexton

Renè Bouchè A novembre compio trent'anni.
Sei ancora piccola, hai solo tre anni.
Guardiamo le foglie gialle, sono stremate,
turbinano nella pioggia d'inverno,
cadono e s'acquattano. Ed io ricordo
i tre autunni che non hai passato qui.
Hanno detto che mai ti avrei riavuto.
Ti dico quel che mai saprai davvero:
le congetture mediche
che spiegano il cervello non saranno mai reali
quanto queste foglie abbattute.
Io, che ho tentato due volte d'ammazzarmi,
ti avevo dato un nomignolo
appena arrivata, nei mesi del piagnucolare;
poi una febbre t'è rantolata in gola
ed io mi muovevo come una pantomima
attorno al tuo capino.
Angeli brutti mi hanno parlato. La colpa,
dicevano, era mia. Facevano gli spioni
come streghe verdi versando nella testa la rovina
come un rubinetto rotto;
come se la rovina avesse allagato la pancia e sommerso la culla,
un vecchio debito che dovevo accollarmi.
La morte era più semplice di quanto credessi.
Il giorno che la vita t'ha restituito sana e salva
Ho lasciato le streghe rapire la mia anima in colpa.
Ho finto d'esser morta
finché uomini bianchi m'hanno spompato il veleno,
m'hanno messo senza braccia e slavata
nella manfrina di scatole parlanti e letti elettrici.
Ridevo a vedermi messa ai ferri in quell'hotel.
Oggi le foglie gialle
sono stremate. Mi chiedi dove vanno.
Ti dico che l'oggi ha creduto in se stesso, altrimenti cedeva.
Oggi, piccina mia, Gioia,
ama il tuo essere dove adesso vive.
Non esiste un Dio speciale cui rivolgersi; o se c'è,
allora perché t'ho fatto crescere altrove.
Tu non riconoscevi la mia voce
quando tornavo a casa a trovarti.
Tutti i superlativi
di alberi di Natale e vischi del futuro
non ti aiuteranno a sapere le feste che hai perduto.
Nel tempo che non amai me stessa
venni in visita a te su marciapiedi spalati,
mi tenevi per un guanto.
Dopo questo fu di nuovo neve.
Mi hanno spedito lettere con tue notizie
e io cucivo mocassini che non avrei mai usato.
Quando cominciai a sopportarmi
andai a stare con la mamma. Troppo tardi,
troppo tardi, dissero le streghe, per stare con la mamma.
Non me ne sono andata.
Ma un ritratto mi son fatto.
Dal manicomio nel parziale ritorno
venni alla casa di mia madre a Gloucester.
Ed ecco come venni ad abbrancarla,
ed ecco come venni a perderla.
Mia madre disse, per il suicidio io non posso dar perdono.
Non l'hai mai potuto.
Ma un ritratto lei m'ha fatto.
Ho vissuto da ospite rabbioso,
parzialmente rammendata, bimba esorbitante.
Ricordo che mia madre faceva del suo meglio.
Mi portò a Boston per farmi cambiare il taglio.
Sorridi come tua madre, disse il capocciante.
Non mi pareva interessante.
Ma un ritratto mi son fatto.
C'era una chiesa là dove sono cresciuta,
là in bianchi armadi fummo inchiavati
come coro di marinai, o puritani, irreggimentati.
Mio padre passava col piattino per la questua.
Dissero le streghe, troppo tardi per esser perdonata.
E non fui propriamente perdonata.
Ma un ritratto m'hanno fatto.
Quell'estate gettiti irrigui s'inarcavano
a pioggia sull'erba rivierasca.
Parlavamo di siccità
mentre il prato corroso dal salmastro
nuovamente raddolciva.
Per passare il tempo falciavo l'erba
e la mattina mi facevo fare il ritratto,
fissando il sorriso nella formalità.
Ti ho spedito il disegnino di un coniglio,
e una cartolina col Motif number one
come se fosse normale
essere madre ed essersene andata.
Hanno appeso il ritratto nella fredda luce
del lato nord, che bene mi si addice,
per farmi stare bene.
Soltanto mia madre s'ammalò.
Mi volse le spalle, come se la morte contagiasse,
come se la morte si riflettesse,
come se il mio morire l'avesse corrosa.
Ad agosto avevi due anni, ma era dubbio il calcolo dei giorni.
Il primo settembre mi guardò in faccia
e mi disse che le avevo attaccato il cancro.
Le mozzarono le colline dolci
e ancora non avevo la risposta.
Quell'inverno lei tornò
parziale ritorno
alla sterile suite
di medici, nauseante
crociera di raggi X,
l'aritmetica delle cellule impazzita.
Parziale intervento,
braccio grasso, prognosi infausta,
li ho sentiti dire.
Durante le burrasche marine
lei si fece fare il ritratto.
Caverna di uno specchio,
appeso al lato sud;
una coppia di sorrisi, una copia di lineamenti.
E tu mi assomigliavi sconosciuto
viso mio, tu lo indossavi.
Dopotutto eri mia.
Ho svernato a Boston,
sposa senza figli,
niente di dolce da spartire,
con le streghe a fianco.
Ho perduto la tua infanzia,
tentato un altro suicidio,
subito il secondo hotel dei sigilli.
M'hai fatto un Pesce d'Aprile.
Abbiamo riso insieme, fu cosa buona.
Per l'ultima volta m'hanno dimesso
il primo maggio;
laureata in casi mentali,
con l'assenso dell'analista,
un libro finito di versi,
la macchina da scrivere e le borse.
Quell'estate imparai a rimettere vita
nelle mie sette stanze,
andavo su barchette a cigno, al mercato,
rispondevo al telefono,
da brava moglie offrivo da bere,
facevo l'amore fra crinoline e abbronzature d'agosto.
E tu venivi ogni weekend. No, mento.
Venivi di rado. Fingevo che c'eri
bimba farfalla, porcellina
guance di gelatina,
tre anni di disobbedienza,
ma splendida sconosciuta.
E dovevo imparare
perché volevo morire invece che amare,
perché mi faceva male la tua innocenza,
e perché accumulo le colpe
come un giovane internista
rivela i sintomi e la certa evidenza.
Quel giorno d'ottobre che andammo a Gloucester
le colline rosse mi ricordavano
la pelliccia di volpe rossa sdrucita
in cui giocavo da bambina,
immobile come un orso, una tenda,
una gran caverna che ride, pelliccia di volpe rossa.
Oltrepassammo il vivaio dei pesci,
il baracchino dove vendono l'esca,
Pigeon Cove, lo Yacht Club,
Squall Hill, verso la casa in attesa
ancora, la casa sul mare.
E due ritratti sono appesi su opposte pareti.
Al lato nord il mio sorriso al suo posto è fissato,
risalta nell'ombra il mio viso ossuto.
Mentre posavo lì cosa avevo sognato
tutta me negli occhi in attesa,
il giovane viso, la zona del sorriso,
trappola per volpi.
Al lato sud il suo sorriso al suo posto è fissato,
le guance vizze come orchidee appassite;
mio specchio beffardo, mio amore spodestato,
mia immagine prima. Mi occhieggia dal ritratto
quella testa di morte impietrita
che avevo sopraffatto.
L'artista ci fissò alla svolta;
si sorrideva inquadrate nelle tele
prima di scegliere strade da prima separate.
La pelliccia di volpe rossa doveva esser bruciata.
Mi decompongo sulla parete
come Dorian Grey.
E questa fu caverna di uno specchio,
una donna sdoppiata che si fissa
come se il tempo l'avesse impietrita
- due signore in terra d'ombra assise -
Hai dato un bacio alla nonna,
e lei ha pianto.
Non potevo tenerti
tranne il weekend. Ogni volta venivi
stringendo il disegnino del coniglio
che ti avevo spedito. Per l'ultima volta
disfo i tuoi bagagli. Ci tocchiamo senza un contatto.
La prima volta hai chiesto il mio nome.
Ora rimani per sempre. Dimenticherò
che sbalzavamo cozzandoci come marionette
appese a fili. Non era l'amore
ridursi al weekend.
Ti sbucci le ginocchia, impari il mio nome,
traballando sul marciapiede piangi e chiami.
Mi chiami mamma e ricordo ancora mia madre,
che altrove, nei dintorni di Boston, muore.
Ricordo che ti chiamammo Gioia
per poterti chiamare gioia.
Arrivasti come un ospite imbarazzato
allora, tutta fasciata umida meraviglia
alla mia mammella pesante.
Avevo bisogno di te. Non volevo un maschio,
solo una femmina, un topino lattoso di bimba,
da sempre amata, da sempre esuberante
nella casa di se stessa. Ti chiamammo Gioia.
Io, che non fui mai certa d'esser femmina,
avevo bisogno di un'altra vita,
di un'altra immagine per ricordarmi.
E fu questa la mia più grave colpa;
tu non potevi curarla o lenirla.
Ti ho fatta per trovarmi.

lunedì 22 novembre 2010

La Poesia è la Musica dell'anima di Fabrizio De Andrè

Gentileschi/Santa Cecilia
La poesia è la musica dell'anima...
Tutto possiede in sè della poesia.
I poeti altro non sono che dei musicisti
che suonano le melodie che
provengono dal cuore,
con strumenti diversi da quelli convenzionali..
Uomini che sanno trarre dalle cose
un significato profondo,
un afflato sensibile solo a pochi,
non percepibile da tutti
e lo trasformano in parole...
Alchimisti dell'anima

domenica 21 novembre 2010

Se tu mi dimentichi di Pablo Neruda

Giulio Aristide Sartorio Voglio che tu sappia
Una cosa.
Tu sai com’è questa cosa:
se guardo
la luna di cristallo, il ramo rosso
del lento autunno alla mia finestra,
se tocco
vicino al fuoco
l’impalpabile cenere
o il rugoso corpo della legna,
tutto mi conduce a te,
come se ciò che esiste
aromi, luce, metalli,
fossero piccole navi che vanno
verso le tue isole che m’attendono.
Orbene,
se a poco a poco cessi di amarmi
cesserò d’amarti poco a poco.
"Se d’improvviso
mi dimentichi,
non cercarmi,
chè già ti avrò dimenticata"
Se consideri lungo e pazzo
il vento di bandiere
Che passa per la mia vita
e ti decidi
a lasciarmi sulla riva
del cuore in cui ho le radici,
pensa
che in quel giorno,
in quell’ora,
leverò in alto le braccia
e le mie radici usciranno
a cercare altra terra.
Ma
se ogni giorno,
ogni ora
senti che a me sei destinata
con dolcezza implacabile.
Se ogni giorno sale
alle tue labbra un fiore a cercarmi,
ahi, amor mio, ahi mia,
in me tutto quel fuoco si ripete,
in me nulla si spegne né si dimentica,
il mio amore si nutre del tuo amore, amata,
e finchè tu vivrai starà tra le tue braccia
senza uscire dalle mie.
(Ciao Gronde, la zia ti pensa sempre.)

sabato 20 novembre 2010

Il ponte sull'Aposa di Giovanni Pascoli

Giovanni Sottocornola/Muratore/1891 Bologna, 20 Novembre
Aposa trista! Il povero al tuo ponte
sosta, e non altri. Siede sul sedile,
né guarda: non a valle non a monte:
non alle torri lunghe e sdutte, che oggi
sfumano in grigio, non a quelle file
d'alti cipressi tra i castagni roggi:
ascolta, a capo chino, ad occhi bassi,
te che laggiù brontoli cupa, e passi.
A te vengono gli uomini infelici,
Aposa trista! E nella solitaria
notte a qualcuno tristi cose dici.
T'ascolta a lungo. E poi, quando una foglia
secca di platano, a un brivido d'aria,
sembra un fruscìo di gonna su la soglia:
ecco, quell'uomo non è più: dirupa...
tu passi, e dopo un po' brontoli cupa.
Aposa trista! E l'Aposa risponde:
- Vien l'usignolo, a marzo, tra le acace!
Al gorgoglìo delle mie picciole onde
sta prima attento, a lungo impara, e tace.
Ma poi di canto m'empie le due sponde;
e il canto suo già mio singulto fu.
Canta al suo nido, al nido suo di fronde,
di quelle fronde che cadono giù... -
(Appendice Diario Autunnale V - 1907)

venerdì 19 novembre 2010

La fine di David Herbert Lawrence

Kirchner*1911
Se avessi potuto tenerti nel mio cuore,
se solo avessi potuto in me avvolgerti,
quanto sarei stato felice!
Ma ora la carta della memoria davanti
una volta ancora mi srotola il corso
del nostro viaggio sin qui,qui dove ci separiamo.
E dire che tu non sei mai,mai stata
una qualche tua realtà,amor mio,
e mai alcuna delle tue varie facce ho visto!
Eppure esse mi vengono e vanno avanti,
e io forte piango in quei momenti.
Oh, mio amore, come stanotte fremo per te,
pur senza più speranza alcuna
di alleviar la sofferenza o ricompensarti
per tutta una vita di desiderio e disperazione.
Riconosco che una parte di me è morta stanotte!

giovedì 18 novembre 2010

Hortus Larvarum di Gabriele D'Annunzio

Dewing/1902
 Il bel giardino in tempi assai lontani
occultamente pare lontanare.
Le fonti, chiare di chiaror d’opale,
fan ne la calma suoni dolci e strani.
Nei roseti le rose estenuate
cadono, quasi non odoran più.
L’Anima langue. I nostri sogni vani
chiamano i tempi che non sono più.
O danze, arie di tempi assai lontani,
voi che in qualche dimora secolare
facean su ’l virginale risonare
dolentemente così bianche mani:
mani di donna avida ancor d’amare,
non più giovine, non amata più:
e voi movete questi sogni vani,
arie di tempi che non sono più!
O profumi di tempi assai lontani,
voi che nel fondo de le vuote fiale
lasciaste la dolcezza essenziale
così che par che un spirito n’emani
(forse ne le segrete anime tale
un sol ricordo non vanisce più):
e voi guidate i nostri sogni vani,
profumi, ai tempi che non sono più!
O figure di tempi assai lontani,
voi che il tessuto pallido animate,
ninfe su fiumi, cacciatrici armate
dietro bei cervi in bei boschi pagani
(Delia, taluno a notte alta, d’estate,
te rimirando non dormiva più):
e voi ridete in questi sogni vani
come nei tempi che non sono più!
E tu vissuta in tempi assai lontani,
donna, come le tue danze obliate,
come i profumi tuoi ne le tue fiale,
donna che avevi così bianche mani,
tu che moristi avida ancor d’amare,
non più giovane, non amata più,
oggi tu passa in questi sogni vani,
morta dei tempi che non sono più!
(Poema paradisiaco)

mercoledì 17 novembre 2010

Il giorno diventò piccolo di Emily Dickinson

William H. Hunt*Wife Edith
Il Giorno diventò piccolo, circondato tutto
Dalla precoce, incombente Notte -
Il Pomeriggio in Sera profonda
La sua Gialla brevità distillò -
I Venti smorzarono i loro passi marziali
Le Foglie ottennero tregua -
Novembre appese il suo Cappello di Granito
A un chiodo di Felpa -

martedì 16 novembre 2010

Julia Miller di Edgar Lee Masters

Ernest Bieler/Michelle Bieler/1913 Bisticciammo quella mattina,
perchè lui aveva sessantacinque anni, e io trenta,
ed ero nervosa e greve del bimbo
la cui nascita mi atterriva.
Io pensavo all'ultima lettera scrittami
da quella giovane anima straniata
il cui abbandono nascosi
sposando quel vecchio.
Poi presi la morfina e sedetti a leggere.
Attraverso l'oscurità che mi scese sugli occhi
io vedo ancora la luce vacillante di queste parole:
"E Gesù gli disse: In verità
io ti dico, Oggi tu
sarai con me in paradiso".

lunedì 15 novembre 2010

Autunno di Corrado Govoni

Fechin
Sono tutto sfibrato
dalla dura fatica solitaria
di estrar la luce calda di una donna
che non scorresse via piangendo
agghiacciandomi piedi mani e cuore
da tutto questo fango acquoso intorno
fervente sfortunato inetto
mentre un seno rideva perfetto
e dalla bruna fragola del capezzolo
toglievo l'ultimo sbrocco
l'altro restava brutto e cieco
come una piccola noce di cocco
gloriosamente nuda era una gamba
ma l'altra era ammorsata
in un'atroce gonna
di stracci da lanterne ferroviarie
gli occhi erano due pure acquemarine
ma la lepre barbaramente uccisa
da me col calcio del fucile
si vendicava sopra la sua bocca
tetragona all'orrore dei miei baci
a farmi buio deluso nel sangue
dai vetri d'inverno filato
col mio volto di pesce asciugato
annunciata dai galli
di nausea dei fanali
ti aspetto come un'alba sporca o nebbia.
(Pellegrino d'amore)

domenica 14 novembre 2010

Sempre più difficile di Erich Fried

Jeunesse dorèe/Gerald Leslie Brockhurst/1942
Vederti una volta sola
e poi mai più
dev’essere più facile
che vederti ancora una volta
e poi mai più
Vederti ancora una volta
e poi mai più
dev’essere più facile
che vederti ancora due volte
e poi mai più
Vederti ancora due volte
e poi mai più
dev’essere più facile
che vederti ancora tre volte
e poi mai più
Ma io sono uno sciocco
e voglio vederti
ancora molte volte
prima
di non poterti vedere
mai più.

sabato 13 novembre 2010

L'uscita mattutina di Giorgio Caproni

Rolf Armstrong/Hello/1929
Come scendeva fina
e giovane le scale Annina!
Mordendosi la catenina
d'oro, usciva via
lasciando nel buio una scia
di cipria, che non finiva.
L'ora era di mattina
presto, ancora albina.
Ma come s'illuminava
la strada dove lei passava!
Tutto Cors'Amedeo,
sentendola, si destava.
Ne conosceva il neo
sul labbro, e sottile
la nuca e l'andatura
ilare - la cintura
stretta, che acre e gentile
(Annina si voltava)
all'opera stimolava.
Andava in alba e in trina
pari a un'operaia regina.
Andava col volto franco
(ma cauto, e vergine, il fianco)
e tutta di lei risuonava
al suo tacchettio la contrada.
(Il seme del piangere)