Gene Pressler*Carmencita |
Di già gli umori si risentono,
Si snodano, delirando di gemme:
Conturbato, l'inverno nel suo sonno,
Motivo dando d'essere
Corto al Febbraio, e lunatico,
Più non è, nel segreto, squallido;
Come di sopra a un biblico disastro,
Nelle apparenze, il velario si leva
Lungo un lido, che da quell'attimo
Si scruta per ripopolarsi:
Di tanto in tanto riemergenti brusche
Si susseguono torri;
Erra, di nuovo in cerca d'Ararat,
Con solitudini salpata l'arca;
Ai colombai risale l'imbianchino.
Sopra i ceppi del roveto dimoia
Per la Maremma
E
Qua e là spargersi s'ode,
Di volatili in cova,
Bisbigli, pigolii;
Da Foggia la vettura
A Lucera correndo
Con i suoi fari inquieta
I redi negli stabbi;
Dentro i monti còrsi, a Vivario,
Uomini intorno al caldo a veglia
Chiusi sotto il lume a petrolio nella stanza,
Con i bianchi barboni sparsi
Sulle mani poggiate sui bastoni,
Morsicando lenti la pipa
Ors'Antone che canta ascoltano,
Accompagnato dal sussurro della rivergola
Vibrante di tra i denti
Del ragazzo Ghiuvanni:
Tantu lieta è la sua sorte
Quantu torbida è la mia.
Di fuori infittisce uno scalpiccìo
Frammischiato a urla e gorgoglio
Di suini che portano a scannare, scannano,
Principiando domani Carnevale,
E con immoto vento ancora nevica.
Lasciate dietro tre pievi minuscole
Sul pendio scaglionate
Con i tetti rossi di tegole
Le case più recenti
E,
Coperte di lavagna,
Le più vecchie quasi invisibili
Nella confusione dell'alba,
L'aromatica selva
Di Vizzavona si attraversa
Senza mai scorgerne dai finestrini
I larici se non ai tronchi,
E per brandelli,
E
Da Levante si passa poi dei monti,
E l'autista anche a voce il serpeggìo:
Sulìa, umbrìa, umbrìa,
Segue, se lo ripete
E o a Levante o a Ponente, sempre sui monti,
Torna il nodo a alternarsi e, peggio,
La clausura distesa:
Non ne dovrà la noia mai finire?
E,
A più di mille metri
D'Altezza, la macchina infila
Una strada ottenuta nel costone,
Stretta, ghiacciata,
Sporta sul baratro.
Il cielo è un cielo di zaffiro
E ha quel colore lucido
Che di questo mese gli spetta,
Colore di Febbraio,
Colore si speranza.
Giù, giù, arriva fino
A Ajaccio, un tale cielo,
Che intirizzisce, ma non perchè freddo,
Perchè è sibillino;
Giù, arriva giù, un tale
Cielo, fino a attorniare un mare buio
Che nelle viscere si soffoca
Il mugghiare continuo,
E incede il Neptunia.
A Pernambuco attracca
E,
Tra le barchette in dondolo,
E titubanti chiattole
Sul lustro elastico dell'acqua,
Nel breve porto impone, nero,
L'ingombro svelto del suo netto taglio.
Ovunque, per la scala della nave,
Per le strade gremite,
Sui predellini del tramvai,
Non c'è più nulla che non balli,
Sia cosa, sia bestia, sia gente,
Giorno e notte, e notte
E giorno essendo Carnevale.
Ma meglio di notte si balla,
Quando, uggiosi alle tenebre,
Dalla girandola dei fuochi, fiori,
Complici della notte,
Moltiplicandone gli equivoci,
Tra cielo e terra grandinano
Screziando la marina livida.
Si soffoca dal caldo:
L'equatore è a due passi.
Non penò poco l'Europeo a assuefarsi
Alle stagioni alla rovescia,
E, più che mai, facendosi
Il suo sangue meticcio:
Non è Febbraio il mese degli innesti?
E ancora più penò,
Il suo sangue, facendosi mulatto
Nel maledetto aggiogamento
D'anime umane a lavoro di schiavi;
Ma, nella terra australe,
Giunse alla fine a mettere a un solleone,
La propria più inattesa maschera.
Non smetterà più di sedurre
Questo Febbraio falso
E,
Fradici di sudore e lezzo,
Stralunati si balli senza posa
Cantando di continuo raucamente,
Con l'ossessiva ingenuità qui d'uso:
Ironia, ironia
Era sò o que dizia.
..........................................
2 commenti:
Decisamente un soliloquio.
Qui è nevicato solo un po'... peccato. Buona neve!
Ed era ancora più lungo..meritava una pausa.
Quanta neve ieri sera, le strade sono ancora impraticabili, ma ora piove speriamo si sciolga.
Posta un commento