Sidney Harold Meteyard*Santa Cecilia |
Per voi ne’ cavi risonanti bossi
II fiato si ravvolga; a suon festivo
Ogni tacita corda, ogni canora
Cetra si desti. In tuon dolce-gemente
Lo stridulo liuto si quereli,
Alto frema la tromba, e intorno intorno
Da’ tetti la squillante Eco risponda,
Mentre allungate e tarde voci il cupo
Maestoso solenne organo sparge.
L’armonia molle e chiara in pria lambisce
Co’ numeri dolcissimi l’orecchio;
Indi più forte a mano a man s’ espande,
E d’ immenso fragore i cieli ingombra.
Altera s’erge in signoril trionfo,
E indomita fra l’aere diviso
In fluttuanti rote alto galleggia,
Finchè per gradi in un distanti e corti
Cade, si sperge, illanguidisce e muore.
Da lei le giuste tempre un’alma impara;
Nè tropp’alto trasvola o in giù trabocca.
Se procellosa gioja in petto ferve,
Con molli note l’Armonia l’acqueta;
O se da cure oppresso è il cor, su l’ali
De’ numeri vivaci al suol l’invola.
Ella i guerrier con gli animosi accenti
Empie di foco e alle sanguinee piaghe
De’ miseri amator balsamo infonde.
Tristezza il capo alle sue leggi estolle;
Morfeo dal letto in piè si slancia; Ignavia
Apre le braccia e i sonnacchiosi lumi;
Livore in atto d’ascoltare ir lascia
Per terra gli angui; da’ rubelli affetti
Non più rompono guerre; ogni empia setta
Vertiginosa il furor il cieco obblia.
Ma se civico dritto all’arme appella,
Quai fiamme un suon guerrier ne’ petti sveglia!
Certo allor quando il primo legno audace
Le procelle affrontò, dall’alta poppa
Musiche note il tracio Orfeo sciogliea ;
E vedeva Argo le materne querce
Scender dal Pelio in mar. Corona fangli
I semidei. Ogni uom da’carmi scosso
Eroe diviene. A’ sovruman di Gloria
Incanti s’accalora; ognun repente
Il settemplice scudo imbraccia, e snuda
II folgorante acciar, gridando: all’armi.
E mare e terra e ciel risponde: all’armi.
Quando poi lungo le tartaree sponde,
Che l’infocato Flegetonte accerchia,
Amor crudo, qual morte, il gran Cantore
Agli squallidi trasse orror dell’ombre,
Quai voci rintronar, quai forme in mostra
Vennero allor su le bollenti arene!
Torbidi lampi, disperate strida,
Rosse facelle, gemiti affannosi,
Lamenti inconsolabili, profonde
Smanie e clamor de’ tormentati spirti.
Ma udite! Ei tocca la dorata lira,
E le trist’alme han posa. A lui rincontro
Accorron le fantasme: il tuo gran sasso,
Sisifo, immobil pende: alto s’arresta
Su la rota Ission: pallidi spettri
Vagano in danza: sdraiansi le Furie
Su covacci di ferro, e intirizzite
Stan su’ lor capi ad ascoltar le serpi.
“Pei freschi rivi che perenni irrigano,
Per l’aure molli che alitando allegrano,
Gli elisj fiori, pe’ beati spiriti,
in Cui d’asfodillo i crocei prati, o allettano
Le vaghe d’amaranti adorne pergole,
Per l’ombre armate degli eroi, che splendere
Fan gli oscuri viali, e per que’ giovani
Che spenti per amor fra i mirti spaziano,
Chieggo Euridice. O me qui ritenete,
O l’amata Consorte a me rendete.”
Tal ei cantò. Le armoniose preci
Erebo accolse; intenerissi il core
Alla crudel Proserpina, e la Bella
Di seco rimenarne a lui concesse.
Tal su la Morte e su l’Averno impero
Musica tenne. Perigliosa prova,
Ma non men gloriosa. Ancor che il Fato
Ben nove volte all’atre piagge avvolga
L’orrida Stige, pur di là tornano
Musica e Amor con la Vittoria al fianco.
Ma le cupide ciglia ah tosto ei gira:
Ella ricade, ahimè ! ricade e muore.
Com’or piegar potrai novellamente
Le fatali Sorelle? E non già colpa
La tua si fu, se non è colpa amore.
Or a piè di montagne alto-pendenti
Presso lubriche fonti, or dove l’Ebro
Volubile serpeggia, a tutti ignoto,
Solo e da nullo udito in lai si stempra,
E il caro spirto appella, ahimè! per sempre,
Per sempre a lui ritolto. Or dalle Furie
Agitato, straziato, desolato
Sul Rodope nevoso arrossa e trema.
Quand’ecco al par de’ venti impetuoso
Erme pendici alpestre intorno cerca,
E d’urli furibondi Emo rintona.
Ah ch’egli muore, e fino in morte canta
Euridice. Euridice ancor sul labbro
Gli trema; e boschi e fiumi e rupe e monti
Euridice ripetono, Euridice.
Dunque Armonia le dure smanie allenta,
E le atroci del Fato ire disarma;
I dolor calma; e riconforta e molce
I furor disperati. Ella condisce
Il gioir nostro in terra, ed anzi tempo
I superni diletti in sen ci versa.
Ben questa a pieno intese arte divina
La Vergin saggia, cui sù l’Ara incensi
Fuman oggi votivi, e al suo Fattore
Tutta sacrolla. Quando il pien concento
D’argentee canne alle vocali orchestre
Ella attemprava, in sacro foco asterse
Levava al Ciel su le solenni note
Le umane menti, e da’ balcon supremi
S’affacciavano a udir gli eterei spirti.
Non più subbietto ai ragionar de’ vati
Sieno i vanti d’Orfeo. Ben altra possa
Cecilia ottenne in don. Quei musicando
Dal finto Averno un’Ombra trasse, e questa
Fea l’alme sorvolare oltra le stelle.
Nè tropp’alto trasvola o in giù trabocca.
Se procellosa gioja in petto ferve,
Con molli note l’Armonia l’acqueta;
O se da cure oppresso è il cor, su l’ali
De’ numeri vivaci al suol l’invola.
Ella i guerrier con gli animosi accenti
Empie di foco e alle sanguinee piaghe
De’ miseri amator balsamo infonde.
Tristezza il capo alle sue leggi estolle;
Morfeo dal letto in piè si slancia; Ignavia
Apre le braccia e i sonnacchiosi lumi;
Livore in atto d’ascoltare ir lascia
Per terra gli angui; da’ rubelli affetti
Non più rompono guerre; ogni empia setta
Vertiginosa il furor il cieco obblia.
Ma se civico dritto all’arme appella,
Quai fiamme un suon guerrier ne’ petti sveglia!
Certo allor quando il primo legno audace
Le procelle affrontò, dall’alta poppa
Musiche note il tracio Orfeo sciogliea ;
E vedeva Argo le materne querce
Scender dal Pelio in mar. Corona fangli
I semidei. Ogni uom da’carmi scosso
Eroe diviene. A’ sovruman di Gloria
Incanti s’accalora; ognun repente
Il settemplice scudo imbraccia, e snuda
II folgorante acciar, gridando: all’armi.
E mare e terra e ciel risponde: all’armi.
Quando poi lungo le tartaree sponde,
Che l’infocato Flegetonte accerchia,
Amor crudo, qual morte, il gran Cantore
Agli squallidi trasse orror dell’ombre,
Quai voci rintronar, quai forme in mostra
Vennero allor su le bollenti arene!
Torbidi lampi, disperate strida,
Rosse facelle, gemiti affannosi,
Lamenti inconsolabili, profonde
Smanie e clamor de’ tormentati spirti.
Ma udite! Ei tocca la dorata lira,
E le trist’alme han posa. A lui rincontro
Accorron le fantasme: il tuo gran sasso,
Sisifo, immobil pende: alto s’arresta
Su la rota Ission: pallidi spettri
Vagano in danza: sdraiansi le Furie
Su covacci di ferro, e intirizzite
Stan su’ lor capi ad ascoltar le serpi.
“Pei freschi rivi che perenni irrigano,
Per l’aure molli che alitando allegrano,
Gli elisj fiori, pe’ beati spiriti,
in Cui d’asfodillo i crocei prati, o allettano
Le vaghe d’amaranti adorne pergole,
Per l’ombre armate degli eroi, che splendere
Fan gli oscuri viali, e per que’ giovani
Che spenti per amor fra i mirti spaziano,
Chieggo Euridice. O me qui ritenete,
O l’amata Consorte a me rendete.”
Tal ei cantò. Le armoniose preci
Erebo accolse; intenerissi il core
Alla crudel Proserpina, e la Bella
Di seco rimenarne a lui concesse.
Tal su la Morte e su l’Averno impero
Musica tenne. Perigliosa prova,
Ma non men gloriosa. Ancor che il Fato
Ben nove volte all’atre piagge avvolga
L’orrida Stige, pur di là tornano
Musica e Amor con la Vittoria al fianco.
Ma le cupide ciglia ah tosto ei gira:
Ella ricade, ahimè ! ricade e muore.
Com’or piegar potrai novellamente
Le fatali Sorelle? E non già colpa
La tua si fu, se non è colpa amore.
Or a piè di montagne alto-pendenti
Presso lubriche fonti, or dove l’Ebro
Volubile serpeggia, a tutti ignoto,
Solo e da nullo udito in lai si stempra,
E il caro spirto appella, ahimè! per sempre,
Per sempre a lui ritolto. Or dalle Furie
Agitato, straziato, desolato
Sul Rodope nevoso arrossa e trema.
Quand’ecco al par de’ venti impetuoso
Erme pendici alpestre intorno cerca,
E d’urli furibondi Emo rintona.
Ah ch’egli muore, e fino in morte canta
Euridice. Euridice ancor sul labbro
Gli trema; e boschi e fiumi e rupe e monti
Euridice ripetono, Euridice.
Dunque Armonia le dure smanie allenta,
E le atroci del Fato ire disarma;
I dolor calma; e riconforta e molce
I furor disperati. Ella condisce
Il gioir nostro in terra, ed anzi tempo
I superni diletti in sen ci versa.
Ben questa a pieno intese arte divina
La Vergin saggia, cui sù l’Ara incensi
Fuman oggi votivi, e al suo Fattore
Tutta sacrolla. Quando il pien concento
D’argentee canne alle vocali orchestre
Ella attemprava, in sacro foco asterse
Levava al Ciel su le solenni note
Le umane menti, e da’ balcon supremi
S’affacciavano a udir gli eterei spirti.
Non più subbietto ai ragionar de’ vati
Sieno i vanti d’Orfeo. Ben altra possa
Cecilia ottenne in don. Quei musicando
Dal finto Averno un’Ombra trasse, e questa
Fea l’alme sorvolare oltra le stelle.
3 commenti:
Artificiosa, ma il paragone tra Orfeo e Cecilia è originale.
Bella, lei che suona angeliche melodie!
Buon w-e alla Signora delblog, ai suoi cari e ai passanti.
Bella, bella..ma poi ella cade, ahime, ella cade e muore.
Britten, buon compleanno!
Eh sì cadeva anche il compleanno di Benjamin...(100, auguri...)
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