Elizabeth Sonrel*Winter |
Dio ce ne scampi. E poi quelle gelate, rasoterra:
si fanno spietate quando Borea soffia di traverso
alla Tracia, pastura di cavalli, sul disteso mare,
e con la raffica l'inarca. Mugghiano la terra e la foresta.
Quante querce, aeree chiome, quanti densi pini
stende nei burroni alpestri, sul suolo che ci sfama,
piombando: è tutto un gran boato il bosco sconfinato.
S'intirizziscono le bestie, le code sotto i ventri,
anche quelle di vello peloso che fa ombra: le trapassa
coi soffi ghiacciati, anche se manto di lana le avvolge.
Trafigge perfino il cuoio del bue, che non fa barriera.
Trafigge la coltre di peli caprini. Ma le pecore no,
quelle no. Quel pelame è spesso, non lo forza
il vento del nord. Un vecchio l'incurva: una ruota!
Però non si fa strada fino alla ragazza pelle di velluto:
lei sta nel chiuso della casa, insieme a mamma sua,
e non sa niente, ancora, dell'amore che vale tanto oro,
si lava quella carne in fiore, se la spalma di fluente
olio, si mette giù, tra le coperte, nel cuore della casa,
mentre fuori è inverno....
(Opere e giorni, vv. 504-524)
Trad. di Ezio Savino
2 commenti:
Altro sapore, l'inverno di Esiodo. Immagini che rifiutano l'astratto: i senza vello intirizziti sotto il vento gelato, le pecore e la fanciulla in fiore protette a modo loro. Bellissima la traduzione.
Buona sera umida e fredda. Tra poco mi metterò sotto le coperte come la ragazza.
..buona notte (vale ormai per oggi).
In attesa di Morgana...
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