Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

mercoledì 30 giugno 2010

L'imbrunire di Giovanni Pascoli

Collier/Summer night/1910 Cielo e Terra dicono qualcosa
l'uno all'altro nella dolce sera.
Una stella nell'aria di rosa,
un lumino nell'oscurità.
I Terreni parlano ai Celesti,
quando, o Terra, ridiventi nera;
quando sembra che l'ora s'arresti,
nell'attesa di ciò che sarà.
Tre pianeti su l'azzurro gorgo,
tre finestre lungo il fiume oscuro;
sette case nel tacito borgo,
sette Pleiadi un poco più su.
Case nere: bianche gallinelle!
Case sparse: Sirio, Algol, Arturo!
Una stella od un gruppo di stelle
per ogni uomo o per ogni tribù.
Quelle case sono ognuna un mondo
con la fiamma dentro, che traspare;
e c'è dentro un tumulto giocondo
che non s'ode a due passi di là.
E tra i mondi, come un grigio velo,
erra il fumo d'ogni focolare.
La Via Lattea s'esala nel cielo,
per la tremola serenità.

martedì 29 giugno 2010

Vederla è un quadro di Emily Dickinson

McNicoll
Vederla è un Quadro -
Ascoltarla è una Musica -
Conoscerla un'Intemperanza
Innocente come Giugno -
Non conoscerla - Afflizione -
Averla come Amica
Un calore così vicino come se il Sole
Ti brillasse in Mano -
***********
Vederla è un quadro -
Ascoltarla è una Musica -
Conoscerla un'intemperanza
Innocente come giugno
Dalla quale essere disfatti
È più dolce della Redenzione -
Che non ricevere mai
Rende parodia di melodia
Ciò che poteva essere vivere

lunedì 28 giugno 2010

Pace di Gabriele D'Annunzio

Gaston Bussierè
Pace, pace! La bella Simonetta
adorna del fugace emerocàllide
vagola senza scorta per le pallide
ripe cantando nova ballatetta.
Le colline s'incurvano leggiere
come le onde del vento nella sabbia
del mare e non fanno ombra, quasi d'aria.
L'Arno favella con la bianca ghiaia,
recando alle Nereidi tirrene
il vel che vi bagnò forse la Grazia,
forse il velo onde fascia
la Grazia questa terra di Toscana
escita della casalinga lana
che fu l'arte sua prima.
Pace, pace! Richiama la tua rima
nel cor tuo come l'ape nel tuo bugno.
Odi tenzon che in su l'estremo giugno
ha la cicala con la lodoletta!
Alcyone-1902

domenica 27 giugno 2010

Sonetto 54 di William Shakespeare

Julian Alden Weir Quanto ancor più bella sembra la bellezza,
per quel ricco ornamento che virtù le dona!
Bella ci appar la rosa, ma più bella la pensiamo
per la soave essenza che vive dentro a lei.
Anche le selvatiche hanno tinte molto intense
simili al colore delle rose profumate,
hanno le stesse spine e giocano con lo stesso brio
quando la brezza d'estate ne schiude gli ascosi boccioli:
ma poiché il loro pregio è solo l'apparenza,
abbandonate vivono, sfioriscono neglette e
solitarie muoiono. Non così per le fragranti rose:
la loro dolce morte divien soavissimo profumo:
e così è; per te, fiore stupendo e ambito,
come appassirai, i miei versi stilleran la tua virtù.

sabato 26 giugno 2010

Rosa purpurea di Hermann Hesse

Julia/Gerhartz
Ti avevo cantato una canzone.
Tu tacevi. La tua destra tendeva
con dita stanche una grande,
rossa, matura rosa purpurea.
E sopra di noi con estraneo fulgore
si alzò la mite notte d'estate,
aperta nel suo meraviglioso splendore,
la prima notte che noi godemmo.
Salì e piegò il braccio oscuro
intorno a noi ed era così calma e calda.
E dal tuo grembo silenziosa scrollasti
i petali di una rosa purpurea.

venerdì 25 giugno 2010

Fase di Giuseppe Ungaretti

Dewing/June Cammina cammina
ho ritrovato
il pozzo d'amore
Nell'occhio
di mill'una notte
ho riposato
Agli abbandonati giardini
ella approdava
come una colomba
Fra l'aria
del meriggio
ch'era uno svenimento
le ho colto
arance e gelsumini
Mariano, il 25 giugno 1916
(L'allegria-Il porto sepolto)

giovedì 24 giugno 2010

La libertà di Pietro Metastasio

Rigaud/Famiglia Leonard/1693A Nice
Grazie agl'inganni tuoi,
al fin respiro, o Nice,
al fin d'un infelice
ebber gli dei pietà:
sento da' lacci suoi,
sento che l'alma è sciolta;
non sogno questa volta,
non sogno libertà.
Mancò l'antico ardore,
e son tranquillo a segno,
che in me non trova sdegno
per mascherarsi amor.
Non cangio più colore
quando il tuo nome ascolto;
quando ti miro in volto
più non mi batte il cor.
Sogno, ma te non miro
sempre ne' sogni miei;
mi desto, e tu non sei
il primo mio pensier.
Lungi da te m'aggiro
senza bramarti mai;
son teco, e non mi fai
né pena, né piacer.
Di tua beltà ragiono,
né intenerir mi sento;
i torti miei rammento,
e non mi so sdegnar.
Confuso più non sono
quando mi vieni appresso;
col mio rivale istesso
posso di te parlar.
Volgimi il guardo altero,
parlami in volto umano;
il tuo disprezzo è vano,
è vano il tuo favor;
che più l'usato impero
quei labbri in me non hanno;
quegli occhi più non sanno
la via di questo cor.
Quel, che or m'alletta, o spiace.
se lieto o mesto or sono,
già non è più tuo dono,
già colpa tua non è:
che senza te mi piace
la selva, il colle, il prato;
ogni soggiorno ingrato
m'annoia ancor con te.
Odi, s'io son sincero;
ancor mi sembri bella,
ma non mi sembri quella,
che paragon non ha.
E (non t'offenda il vero)
nel tuo leggiadro aspetto
or vedo alcun difetto,
che mi parea beltà.
Quando lo stral spezzai,
(confesso il mio rossore)
spezzar m'intesi il core,
mi parve di morir.
Ma per uscir di guai,
per non vedersi oppresso,
per racquistar se stesso
tutto si può soffrir.
Nel visco, in cui s'avvenne
quell'augellin talora,
lascia le penne ancora,
ma torna in libertà:
poi le perdute penne
in pochi dì rinnova,
cauto divien per prova
né più tradir si fa.
So che non credi estinto
in me l'incendio antico,
perché sì spesso il dico,
perché tacer non so:
quel naturale istinto,
Nice, a parlar mi sprona,
per cui ciascun ragiona
de' rischi che passò.
Dopo il crudel cimento
narra i passati sdegni,
di sue ferite i segni
mostra il guerrier così.
Mostra così contento
schiavo, che uscì di pena,
la barbara catena,
che strascinava un dì.
Parlo, ma sol parlando
me soddisfar procuro;
parlo, ma nulla io curo
che tu mi presti fé:
parlo, ma non dimando
se approvi i detti miei,
né se tranquilla sei
nel ragionar di me.
Io lascio un'incostante;
tu perdi un cor sincero;
non so di noi primiero
chi s'abbia a consolar.
So che un sì fido amante
non troverà più Nice;
che un'altra ingannatrice
è facile a trovar.
Vienna1733.

mercoledì 23 giugno 2010

La bicicletta di Giovanni Pascoli

Frank RichardsI
Mi parve d'udir nella siepe
la sveglia d'un querulo implume.
Un attimo... Intesi lo strepere
cupo del fiume.
Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule mèssi.
Un battito... Vidi un filare
di neri cipressi.
Mi parve di fendere il pianto
d'un lungo corteo di dolore.
Un palpito... M'erano accanto
le nozze e l'amore.
dlin... dlin...
II
Ancora echeggiavano i gridi
dell'innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l'umida zolla.
Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.
Io dissi un'alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sé.
dlin... dlin...
III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è che un addio!
Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo... Già cala
la notte: io ritorno.
La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va...
dlin... dlin...
(Canti di Castelvecchio)

martedì 22 giugno 2010

La natura è la madre più gentile di Emily Dickinson

De Riquer/Ninfa alata
La Natura - è la Madre più Gentile,
Con nessun Figlio impaziente -
Il più debole - o il più ribelle -
Il Suo Monito pacato -
Nella Foresta - e in Collina -
Dal Viaggiatore - è udito -
Trattenere lo Scoiattolo Sfrenato -
O l'Uccello troppo impetuoso -
Com'è bella la Sua Conversazione -
Un Pomeriggio d'Estate -
La Sua Famiglia - la Sua Compagnia -
E quando il Sole tramonta -
La Sua Voce tra le Navate
Incita la timida preghiera
Del Grillo più minuscolo -
Del Fiore più meschino -
Quando tutti i Figli dormono -
Lei s'allontana quel tanto
Che basta ad accendere i Suoi lumi -
Poi affacciandosi dal Cielo -
Con infinito Affetto -
E infinita Cura -
Il dito Dorato sulle labbra -
Chiede Silenzio - Dappertutto -

lunedì 21 giugno 2010

Ditirambo III di Gabriele D'Annunzio

 Singer Sargent* Summer
O grande Estate, delizia grande tra l'alpe e il mare,
tra così candidi marmi ed acque così soavi
nuda le aeree membra che riga il tuo sangue d'oro
odorate di aliga di rèsina e di alloro,
laudata sii,
o voluttà grande nel cielo nella terra e nel mare
e nei fianchi del fauno, o Estate, e nel mio cantare,
laudata sii
tu che colmasti dè tuoi più ricchi doni il nostro giorno
e prolunghi su gli oleandri la luce del tramonto
a miracol mostrare!
Ardevi col tuo piede le silenti erbe marine,
struggevi col tuo respiro le piogge pellegrine,
tra così candidi marmi ed acque così soavi
alzata; e grande eri, e pur delle più tenui vite
gioiva la tua gioia, e tutto vedeva la tua pupilla
grande: le frondi delle selve e i fusti delle navi,
e la ragia colare, maturarsi nelle pine
le chiuse mandorlette e la scaglia che le sigilla
pender nel fulvo, e l'orme degli uccelli nell'argilla
dei fiumi, l'ombre dei voli su le sabbie saline
vedea, le sabbie rigarsi come i palati cavi,
al vento e all'onda farsi dolci come l'inguine e il pube
amorosamente,
imitar l'opre dell'api,
disporsi a mò dei favi
in alveoli senza miele,
e l'osso della seppia tra le brune carrube
biancheggiar sul lido, tra le meduse morte
brillar la lisca nitida, la valva
tra il sughero ed il vimine variar la sua iri,
pallida di desiri la nube
languir di rupe in rupe
lungh'essi gli aspri capi
qual molle donna che si giaccia cò suoi schiavi,
scorrere la gòmena nella rossa
cúbia, sorgere la negossa
viva di palpitanti pinne, curvarsi al peso vivo
la pertica, la possa
dei muscoli, gonfiarsi nelle braccia vellute,
una man rude
tendere la scotta,
al garrir della vela forte
piegarsi il bordo, come la gota del nuotatore,
la scía mutar colore,
tutto il Tirreno in fiore
tremolar come alti paschi al fiato di ponente.
O Estate, Estate ardente,
quanto t'amammo noi per t'assomigliare,
per gioir teco nel cielo nella terra e nel mare,
per teco ardere di gioia su la faccia del mondo,
selvaggia Estate
dal respiro profondo,
figlia di Pan diletta, amor del titan Sole,
armoniosa,
melodiosa,
che accordi il curvo golfo sonoro
come la citareda
accorda la sua cetra,
dolore di Demetra
che di te si duole
nè solstizii sereni
per Proserpina sua perduta primavera!
O fulva fiera,
o infiammata leonessa dell'Etra,
grande Estate selvaggia,
libidinosa,
vertiginosa,
tu che affochi le reni,
che incrudisci la sete,
che infurii gli estri,
Musa, Gorgóne,
tu che sciogli le zone,
che succingi le vesti,
che sfreni le danze,
Grazia, Baccante,
tu ch'esprimi gli aromi,
tu che afforzi i veleni,
tu che aguzzi le spine,
Esperide, Erine,
deità diversa,
innumerevole gioco dei vènti
dei flutti e delle sabbie,
bella nelle tue rabbie
silenziose, acre ne' tuoi torpori,
o tutta bella ed acre in mille nomi,
fatta per me dei sogni che dalla febbre del mondo
trae Pan quando su le canne sacre
delira (delira il sogno umano),
divina nella schiuma del mare e dei cavalli,
nel sudor dei piaceri,
nel pianto aulente delle selve assetate,
o Estate, Estate,
io ti dirò divina in mille nomi,
in mille laudi
ti loderò se m'esaudi,
se soffri che un mortal ti domi,
che in carne io ti veda,
ch'io mortal ti goda sul letto dell'immensa piaggia
tra l'alpe e il mare,
nuda le fervide membra che riga il suo sangue d'oro
odorate di aliga di rèsina e di alloro!
(Secco Motrone in Versilia il 20 luglio 1900)
Alcyone

domenica 20 giugno 2010

La Musa di Anna Andreevna Achmatova


Alphons Mucha*La Biere de la Meuse*1897
♦♦♦
Quando la vita sembra sia appesa a un filo.
Che cosa sono onori, libertà, giovinezza
di fronte all’ospite dolce
col flauto nella mano? Ed ecco è entrata.
Levato il velo, mi guarda attentamente.
Le chiedo: “Dettasti a Dante tu
le pagine dell’Inferno?” Risponde: “Io”.
1924-Il Giunco
♦♦♦
Муза
Когда я ночью жду ее прихода,
Жизнь, кажется, висит на волоске.
Что почести, что юность, что свобода
Пред милой гостьей с дудочкой в руке.
И вот вошла. Откинув покрывало,
Внимательно взглянула на меня.
Ей говорю: “Ты ль Данте диктовала
Страницы Ада?” Отвечает: “Я”.
(dipinto di Alphons Mucha*La iere Meuse*1897)

sabato 19 giugno 2010

Mi hai fatto senza fine di Rabindranath Tagore

Delobbe Mi hai fatto senza fine
questa è la tua volontà.
Questo fragile vaso
continuamente tu vuoti
continuamente lo riempi
di vita sempre nuova.
Questo piccolo flauto di canna
hai portato per valli e colline
attraverso esso hai soffiato
melodie eternamente nuove.
Quando mi sfiorano le tue mani immortali
questo piccolo cuore si perde
in una gioia senza confini
e canta melodie ineffabili.
Su queste piccole mani
scendono i tuoi doni infiniti.
Passano le età, e tu continui a versare,
e ancora c'è spazio da riempire.

venerdì 18 giugno 2010

La mietitrice solitaria di William Wordsworth

Paul Wilhem Keller-Reutlingen/1900 Guardatela. Unica nel campo,
Solitaria ragazza dell'altopiano,
Che miete e fra sè canta!
Fermatevi, o passate oltre in silenzio!
Sola essa taglia e lega il grano
Mentre canta una malinconica canzone.
Udite, la valle immensa
Trabocca del suo canto.
Nessun usignolo mai cantò
Più gradevoli note e spossate compagnie
Di viandanti in qualche oasi ombrosa
Nei deserti dell'Arabia;
Mai si udì il cuculo
Rompere a primavera i silenzi marini
Con voce così seducente
Nelle remote Ebridi.
Chi mai mi dirà di cosa essa canta?
Forse le dolenti note scorrono
Per cose antiche, tragiche e lontane,
Per battaglie d'epoche remote,
O forse era un lamento più umile,
Per faccende familiari, cose d'ogni giorno,
Forse è un dolore normale, una perdita, un dispiacere
Che è stato e potrà ricapitare.
Qualsiasi il tema, la vergine cantava
Come se il suo canto non dovesse mai finire:
La vedevo cantare durante il lavoro
E mentre si piegava sulla falce.
Ascoltavo senza muovermi o parlare,
E salendo la collina
Portai nel cuore quella musica
Ben oltre il momento che più non la sentii.

giovedì 17 giugno 2010

Le sei corde di Federico Garcia Lorca

Josè Romero De Torres
La chitarra
fa piangere i sogni.
Il singhiozzo delle anime
sperdute
sfugge dalla sua bocca
rotonda.
E come la tarantola,
tesse una grande stella
per irretire sospiri,
che fluttuano nella sua nera
cisterna di legno.

mercoledì 16 giugno 2010

Silenzio di Rainer Maria Rilke

Camarasa Lo senti amore ?... Le mani sollevo
ed è nell'aria (lo senti?) un fruscìo.
Entro la solitudine, perviene
come un suono ogni gesto
alle cose che origliano mute.
Lo senti, amore?... Le palpebre inclino
e ti raggiunge un novello fruscìo.
Lo senti, amore?... Ridesto, le schiudo...
Dimmi, perché non ti veggo, amor mio?
D'ogni più lieve mio gesto, rimane
come un'impronta tenace, che appare
nel serico silenzio.
Ogni più labile moto s'incide
entro il velario disteso dell'etere,
imperituro.
Co'l mio respiro, in un ritmo, le stelle,
via per il cielo salendo scendendo,
muovono in danza.
Alle mie labbra l'olezzo dei fiori
giunge qual filtro che immemore bevo,
e riconosco tralucer, per l'ombra,
d'angeli ignoti un lontano accennare.
Questo, e non altro, sognando ripenso ...
Più non mi avveggo, Diletta, di te.

martedì 15 giugno 2010

La tempesta di Pietro Metastasio

Pietro Antonio Rotari No, non turbarti, o Nice; io non ritorno
a parlarti d'amor. So che ti spiace;
basta così. Vedi che il ciel minaccia
improvvisa tempesta: alle capanne
se vuoi ridurre il gregge, io vengo solo
ad offrir l'opra mia. Che! Non paventi?
Osserva che a momenti
tutto s'oscura il ciel, che il vento in giro
la polve innalza e le cadute foglie.
Al fremer della selva, al volo incerto
degli augelli smarriti, a queste rare,
che ci cadon sul volto, umide stille,
Nice, io preveggo... Ah non tel dissi, O Nice?
ecco il lampo, ecco il tuono. Or che farai?
Vieni, senti; ove vai? Non è più tempo
di pensare alla greggia. In questo speco
riparati frattanto; io sarò teco.
Ma tu tremi, o mio tesoro!
Ma tu palpiti, cor mio!
Non temer; con te son io,
né d'amor ti parlerò.
Mentre folgori e baleni,
sarò teco, amata Nice;
quando il ciel si rassereni,
Nice ingrata, io partirò.
Siedi, sicura sei. Nel sen di questa
concava rupe in fin ad or giammai
fulmine non percosse,
lampo non penetrò. L'adombra intorno
folta selva d'allori
che prescrive del Ciel limiti all'ira.
Siedi, bell'idol mio, siedi e respira.
Ma tu pure al mio fianco timorosa ti stringi, e, come io voglia
fuggir da te, per trattenermi annodi
fra le tue la mia man? Rovini il cielo,
non dubitar, non partirò. Bramai
sempre un sì dolce istante. Ah così fosse
frutto dell'amor tuo, non del timore!
Ah lascia, o Nice, ah lascia
lusingarmene almen. Chi sa? Mi amasti
sempre forse fin or. Fu il tuo rigore
modestia, e non disprezzo; e forse questo
eccessivo spavento
è pretesto all'amor. Parla, che dici?
M'appongo al ver? Tu non rispondi? Abbassi
vergognosa lo sguardo!
Arrossisci? Sorridi? Intendo, intendo.
Non parlar, mia speranza;
quel riso, quel rossor dice abbastanza.
E pur fra le tempeste
la calma ritrovai.
Ah non ritorni mai,
mai più sereno il dì!
Questo de' giorni miei,
questo è il più chiaro giorno
Viver così vorrei,
vorrei morir così.

lunedì 14 giugno 2010

Le rane di Giovanni Pascoli

Munier/1891 Ho visto inondata di rosso
la terra dal fior di trifoglio;
ho visto nel soffice fosso
le siepi di pruno in rigoglio;
e i pioppi a mezz'aria man mano
distendere un penero verde
lunghesso la via che si perde
lontano.
Qual è questa via senza fine
che all'alba è sì tremula d'ali?
chi chiamano le canapine
coi lunghi lor gemiti uguali?
Tra i rami giallicci del moro
chi squilla il suo tinnulo invito?
chi svolge dal cielo i gomitoli
d'oro?
Io sento gracchiare le rane
dai borri dell'acque piovane
nell'umida serenità.
E fanno nel lume sereno
lo strepere nero d'un treno
che va...
Un sufolo suona, un gorgoglio
soave, solingo, senz'eco.
Tra campi di rosso trifoglio,
tra campi di giallo fiengreco,
mi trovo; mi trovo in un piano
che albeggia, tra il verde, di chiese;
mi trovo nel dolce paese
lontano.
Per l'aria, mi giungono voci
con una sonorità stanca.
Da siepi, lunghe ombre di croci
si stendono su la via bianca.
Notando nel cielo di rosa
mi arriva un ronzìo di campane,
che dice: Ritorna! Rimane!
Riposa!
E sento nel lume sereno
lo strepere nero del treno
che non s'allontana, e che va
cercando, cercando mai sempre
ciò che non è mai, ciò che sempre
sarà...
(Canti di Castelvecchio/Il ritorno a San Mauro)

domenica 13 giugno 2010

Sbocciò e appassì di Emily Dickinson

William Blair Bruce
Sbocciò e appassì, un Singolo Meriggio -
Il Fiore - netto e Rosso -
Io, passando, pensai un altro Meriggio
Un altro al suo Posto
Ne eguaglierà lo splendore, e non ci pensai Più
Ma venni un altro Giorno
Per scoprire scomparsa la Specie -
La Stessa Località -
Il Sole a posto - né altro inganno
Nella perfetta Somma della Natura -
Mi fossi almeno soffermata Ieri -
Fu il mio irreparabile rimprovero -
Molti Fiori di questa e di altre Zone
Sono periti nelle mie Mani
Cercandone a sua Somiglianza -
Ma irraggiungibile esso rimane -
Il singolo Fiore della Terra
A cui Io, ero passata accanto
Inconsapevole - che il Grande Volto della Natura
Passasse infinito accanto a Me -

sabato 12 giugno 2010

Preghiera di Giuseppe Ungaretti

Bouguereau/Compassione Come dolce prima dell'uomo
Doveva andare il mondo.
L'uomo ne cavò beffe di demòni,
La sua lussuria disse cielo,
La sua illusione decretò creatice,
Suppose immortale il momento.
La vita gli è di peso enorme
Come laggiù quell'ale d'ape morta
Alla formicola che la trascina.
Da ciò che dura a ciò che passa,
Signore, sogno fermo,
Fa' che torni a correre un patto.
Oh! rasserena questi figli.
Fa' che l'uomo torni a sentire
Che, uomo, fino a te salisti
Per l'infinita sofferenza.
Sii la misura, sii il mistero.
Purificante amore,
Fa' ancora che sia la scala di riscatto
La carne ingannatrice.
Vorrei di nuovo udirti dire
Che in te finalmente annullate
Le anime s'uniranno
E lassù formeranno,
Eterna umanità,
Il tuo sonno felice.
(Sentimento del tempo/Inni)
1928

venerdì 11 giugno 2010

Io son da l'aspettar omai sì stanca di Gaspara Stampa

Godward/Ismenia/1908 Io son da l'aspettar omai sì stanca,
sì vinta dal dolor e dal disio,
per la sì poca fede e molto oblio
di chi del suo tornar, lassa, mi manca,
che lei, che 'l mondo impalidisce e 'mbianca
con la sua falce e dà l'ultimo fio,
chiamo talor per refrigerio mio,
sì 'l dolor nel mio petto si rinfranca.
Ed ella si fa sorda al mio chiamare,
schernendo i miei pensier fallaci e folli,
come sta sordo anch'egli al suo tornare.
Così col pianto, ond'ho gli occhi miei molli,
fo pietose quest'onde e questo mare;
ed ei si vive lieto ne' suoi colli.

giovedì 10 giugno 2010

L'onesto rifiuto di Guido Gozzano

Un mio gioco di sillabe t'illuse.
Tu verrai nella mia casa deserta:
lo stuolo accrescerai delle deluse.
So che sei bella e folle nell'offerta
di te. Te stessa, bella preda certa,
già quasi m'offri nelle palme schiuse.
Ma prima di conoscerti, con gesto
franco t'arresto sulle soglie, amica,
e ti rifiuto come una mendica.
Non sono lui, non sono lui! Sì, questo
voglio gridarti nel rifiuto onesto,
perché più tardi tu non maledica.
Non sono lui! Non quello che t'appaio,
quello che sogni spirito fraterno!
Sotto il verso che sai, tenero e gaio,
arido è il cuore, stridulo di scherno
come siliqua stridula d'inverno,
vôta di semi, pendula al rovaio...
Per te serbare immune da pensieri
bassi, la coscienza ti congeda
onestamente, in versi più sinceri...
Ma (tu sei bella) fa ch'io non ti veda:
il desiderio della bella preda
mentirebbe l'amore che tu speri.
Non posso amare, Illusa! Non ho amato
mai! Questa è la sciagura che nascondo.
Triste cercai l'amore per il mondo,
triste pellegrinai pel mio passato,
vizioso fanciullo viziato,
sull'orme del piacere vagabondo...
Ah! Non volgere i tuoi piccoli piedi
verso l'anima buia di chi tace!
Non mi tentare, pallida seguace!...
Pel tuo sogno, pel sogno che ti diedi,
non son colui, non son colui che credi!
Curiosa di me, lasciami in pace!
(La via del rifugio)

mercoledì 9 giugno 2010

Non rifugiarti nell'ombra di Eugenio Montale

Amrita Sher-Gil/1932 Non rifugiarti nell'ombra
di quel folto di verzura
come il falchetto che strapiomba
fulmineo nella caldura.
E' ora di lasciare il canneto
stento che pare s'addorma
e di guardare le forme
della vita che si sgretola.
Ci muoviamo in un pulviscolo
madreperlaceo che vibra,
in un barbaglio che invischia
gli occhi e un poco ci sfibra.
Pure, lo senti, nel gioco d'aride onde
che impigra in quest'ora di disagio
non buttiamo già in un gorgo senza fondo
le nostre vite randage.
Come quella chiostra di rupi
che sembra sfilaccicarsi
in ragnatele di nubi;
tali i nostri animi arsi
in cui l'illusione brucia
un fuoco pieno di cenere
si perdono nel sereno
di una certezza: la luce.

martedì 8 giugno 2010

Alba 2 di Federico Garcia Lorca

Manuel Chula
Ma come amore
i cantori
son ciechi.
Sulla notte verde,
le saetas
lasciano tracce d'iride
calda.
La chiglia della luna
solca nubi violette
e le faretre
s'empiono di rugiada.
Ahi, ma come amore
i cantori
son ciechi!

lunedì 7 giugno 2010

La capigliatura di Charles Baudelaire

Ferdinand Roybet*Odalisca
 O chioma che ti svolgi sin sopra il collo! O boccoli! O profumo carico d'indolenza! Estasi! Per popolare stasera l'alcova oscura dei ricordi dormienti in questa capigliatura, io voglio sventolarla nell'aria come un fazzoletto!
L'Asia languida e l'ardente Africa, tutto un mondo lontano, quasi defunto, vive nelle tue profondità, o foresta aromatica! Come altri spiriti navigano sulla musica, il mio, amor mio, naviga nel tuo profumo.
Andrò laggiù, dove l'uomo e l'albero, pieni di linfa, godono a lungo dell'ardore del clima; o forti trecce, siate l'onda che mi porta via. Tu contieni, mare d'ebano, un abbondante sogno di vele, di vogatori, di alberi e stendardi:
un porto risonante in cui la mia anima può abbeverarsi, a grandi sorsate di profumo, di suono e di colore; in cui vascelli, scivolando nell'oro e nel marezzo, aprono le vaste braccia a stringere la gloria d'un cielo puro in cui freme sempiterno calore.
Tufferò il mio corpo ebbro e innamorato in questo nero oceano che l'altro racchiude, e il mio spirito sottile, accarezzato dal rollìo, saprà ritrovarsi, o feconda pigrizia, infiniti ondeggiamenti dell'ozio profumato!
Capelli blu, padiglione di tenebre distese, voi mi ridonate l'azzurro dell'immenso cielo ricurvo: sui bordi vellutati delle vostre ciocche ritorte, m'inebrio con ardore dei sentori mischiati d'olio di cocco, di muschio e di catrame.
A lungo, sempre, la mia mano seminerà, nella tua capigliatura greve, il rubino, la perla e lo zaffiro, così che tu non sia mai sorda al mio desiderio! Non sei l'oasi che sogno, la fiasca in cui, a lunghi sorsi, bevo il vino del ricordo?

domenica 6 giugno 2010

La Messa di Giovanni Pascoli

Gaetano Esposito La squilla sonava l'entrata.
Diceva con voce affrettata:
- Non entri? Non entri? Perché?
C'è un rito con fiori, con ceri,
con fiocchi d'incenso leggieri.
Su, entra, ché suono per te.
Udrai dopo un chiaro tintinno,
salire la gloria d'un inno
dall'organo che gemerà.
C'è un vecchio che mormora stanco
con tutto un suo tremolìo bianco,
parole di felicità.
La panca vedrai dove un giorno
veniva coi piccoli intorno
tua mamma: venivi anche tu.
Pregava (tuo padre non c'era)
pregava; ma quella preghiera
s'è forse smarrita laggiù.
T'udrai (sa il tuo nome!) chiamare
da quella... Ha le lagrime amare
del cuore che invano pregò.
Non entri? Anche tu piangerai.
Ma il piangere è buono, lo sai;
ma il piangere è buono, lo so.
Sonai per tua mamma... ma grave,
ma dolce, ma pia, come un Ave.
sonai per la madre che fu!
Sonai con rintocchi sì piani!
pensando che aveva lontani
voi, bimbi, che non vide più... -
(Il ritorno a San Mauro)

sabato 5 giugno 2010

C'è un giugno di Emily Dickinson

Ancher
C'è un Giugno quando il Grano è tagliato
E le Rose nel Seme -
Un'Estate più breve della prima
Ma più tenera in verità
Come se un Volto creduto nella Tomba
Emergesse in un singolo Mezzogiorno
Nel Vermiglio colore che aveva
Ci commovesse, e sparisse -
Due Stagioni, si dice, esistono -
L'Estate del Giusto,
E questa nostra, diversificata
In Aspettativa - e in Gelo -
Non potrebbe la Seconda con la Prima
Così infinita confrontarsi
Tanto da tenerci solo il ricordo dell'una
Preferendo l'altra?

venerdì 4 giugno 2010

La pesca di Pietro Metastasio

Jean Marc Nattier/1738 Già la notte s'avvicina:
vieni, o Nice, amato bene,
della placida marina
le fresch'aure a respirar.
Non sa dir che sia diletto
chi non posa in queste arene
or che un lento zefiretto
dolcemente increspa il mar.
Lascia una volta, o Nice,
lascia le tue capanne. Unico albergo
non è già del piacere
la selvaggia dimora;
hanno quest'onde i lor diletti ancora.
Qui, se spiega la notte il fosco velo,
nel mare emulo al cielo
più lucide, più belle
moltiplicar le stelle,
e per l'onda vedrai gelida e bruna
rompere i raggi e scintillar la luna.
Il giorno al suon d'una ritorta conca,
che nulla cede alle incerate avene,
se non vuoi le mie pene,
di Teti e Galatea, di Glauce e Dori
ti canterò gli amori.
Tu dal mar scorgerai sul vicin prato
pascer le molli erbette
e le tue care agnellette,
non offese dal sol fra ramo e ramo:
e con la canna e l'amo
i pesci intanto insidiar potrai;
e sarà la mia Nice
pastorella in un punto e pescatrice.
Non più fra' sassi algosi
staranno i pesci ascosi;
tutti per l'onda amara,
tutti verranno a gara
fra' lacci del mio ben
E l'umidette figlie
de' tremuli cristalli
di pallide conchiglie,
di lucidi coralli
le colmeranno il sen.

giovedì 3 giugno 2010

Il primo amore di Giacomo Leopardi

Giusto Suttermans/Vittoria Della Rovere come Flora
Tornami a mente il dì che la battaglia
D'amor sentii la prima volta, e dissi:
Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!
Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi,
Io mirava colei ch'a questo core
Primiera il varco ed innocente aprissi.
Ahi come mal mi governasti, amore!
Perché seco dovea sì dolce affetto
Recar tanto desio, tanto dolore?
E non sereno, e non intero e schietto,
Anzi pien di travaglio e di lamento
Al cor mi discendea tanto diletto?
Dimmi, tenero core, or che spavento,
Che angoscia era la tua fra quel pensiero
Presso al qual t'era noia ogni contento?
Quel pensier che nel dì, che lusinghiero
Ti si offeriva nella notte, quando
Tutto queto parea nell'emisfero:
Tu inquieto, e felice e miserando,
M'affaticavi in su le piume il fianco,
Ad ogni or fortemente palpitando.
E dove io tristo ed affannato e stanco
Gli occhi al sonno chiudea, come per febre
Rotto e deliro il sonno venia manco.
Oh come viva in mezzo alle tenebre
Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
La contemplavan sotto alle palpebre!
Oh come soavissimi diffusi
Moti per l'ossa mi serpeano, oh come
Mille nell'alma instabili, confusi
Pensieri si volgean! qual tra le chiome
D'antica selva zefiro scorrendo,
Un lungo, incerto mormorar ne prome.
E mentre io taccio, e mentre io non contendo,
Che dicevi, o mio cor, che si partia
Quella per che penando ivi e battendo?
Il cuocer non più tosto io mi sentia
Della vampa d'amor, che il venticello
Che l'aleggiava, volossene via.
Senza sonno io giacea sul dì novello,
E i destrier che dovean farmi deserto,
Battean la zampa sotto al patrio ostello.
Ed io timido e cheto ed inesperto,
Ver lo balcone al buio protendea
L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto,
La voce ad ascoltar, se ne dovea
Di quelle labbra uscir, ch'ultima fosse;
La voce, ch'altro il cielo, ahi, mi togliea.
Quante volte plebea voce percosse
Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
E il core in forse a palpitar si mosse!
E poi che finalmente mi discese
La cara voce al core, e de' cavai
E delle rote il romorio s'intese;
Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
Strinsi il cor con la mano, e sospirai.
Poscia traendo i tremuli ginocchi
Stupidamente per la muta stanza,
Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?
Amarissima allor la ricordanza
Locommisi nel petto, e mi serrava
Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.
E lunga doglia il sen mi ricercava,
Com'è quando a distesa Olimpo piove
Malinconicamente e i campi lava.
Ne io ti conoscea, garzon di nove
E nove Soli, in questo a pianger nato
Quando facevi, amor, le prime prove.
Quando in ispregio ogni piacer, né grato
M'era degli astri il riso, o dell'aurora
Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.
Anche di gloria amor taceami allora
Nel petto, cui scaldar tanto solea,
Che di beltade amor vi fea dimora.
Né gli occhi ai noti studi io rivolgea,
E quelli m'apparian vani per cui
Vano ogni altro desir creduto avea.
Deh come mai da me sì vario fui,
E tanto amor mi tolse un altro amore?
Deh quanto, in verità, vani siam nui!
Solo il mio cor piaceami, e col mio core
In un perenne ragionar sepolto,
Alla guardia seder del mio dolore.
E l'occhio a terra chino o in sé raccolto,
Di riscontrarsi fuggitivo e vago
Né in leggiadro soffria né in turpe volto:
Che la illibata, la candida imago
Turbare egli temea pinta nel seno,
Come all'aure si turba onda di lago.
E quel di non aver goduto appieno
Pentimento, che l'anima ci grava,
E il piacer che passò cangia in veleno,
Per li fuggiti dì mi stimolava
Tuttora il sen: che la vergogna il duro
Suo morso in questo cor già non oprava.
Il cielo, a voi, gentili anime, io giuro
Che voglia non m'entrò bassa nel petto,
Ch'arsi di foco intaminato e puro.
Vive quel foco ancor, vive l'affetto,
Spira nel pensier mio la bella imago,
Da cui, se non celeste, altro diletto
Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago.
(Canti-II)

mercoledì 2 giugno 2010

Ode a Venezia di Arnaldo Fusinato

Raffaele Tafuri/Canal Grande
E' fosco l'aere, il cielo e' muto,
ed io sul tacito veron seduto,
in solitaria malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!
Fra i rotti nugoli dell'occidente
il raggio perdesi del sol morente,
e mesto sibila per l'aria bruna
l'ultimo gemito della laguna.
Passa una gondola della città.
"Ehi, dalla gondola, qual novità ?"
"Il morbo infuria, il pan ci manca,
sul ponte sventola bandiera bianca!"
No, no, non splendere su tanti guai,
sole d'Italia, non splender mai;
e sulla veneta spenta fortuna
si eterni il gemito della laguna.
Venezia! l'ultima ora e' venuta;
illustre martire, tu sei perduta...
Il morbo infuria, il pan ti manca,
sul ponte sventola bandiera bianca!
Ma non le ignivome palle roventi,
ne' i mille fulmini su te stridenti,
troncaro ai liberi tuoi di' lo stame...
Viva Venezia!
Muore di fame!
Sulle tue pagine scolpisci, o Storia,
l'altrui nequizie e la sua gloria,
e grida ai posteri tre volte infame
chi vuol Venezia morta di fame!
Viva Venezia!
L'ira nemica la sua risuscita
virtude antica;
ma il morbo infuria, ma il pan le manca...
Sul ponte sventola bandiera bianca!
Ed ora infrangasi qui sulla pietra,
finché e' ancor libera,
questa mia cetra.
A te, Venezia,
l'ultimo canto,
l'ultimo bacio,
l'ultimo pianto!
Ramingo ed esule in suol straniero,
vivrai, Venezia, nel mio pensiero;
vivrai nel tempio qui del mio core,
come l'imagine del primo amore.
Ma il vento sibila,
ma l'onda e' scura,
ma tutta in tenebre
e' la natura:
le corde stridono,
la voce manca...
Sul ponte sventola
bandiera bianca!
(19 agosto 1849)

martedì 1 giugno 2010

Preghiera al sole di Pablo Neruda

Dewing/Brittany Morgan Padre Viracocha,
tu che dici:
“E giorno sia”;
tu che dici:
“Che albeggi e vi sia luce”;
fa’ che in pace e libero
tuo figlio il Giorno
inceda,
affinché l’uomo,
tua creatura, sia
illuminato.
Padre Viracocha,
così come il re del giorno
splende in pace e libero,
anche la Luna,
posta da te nella notte,
illumini. Non abbia
alcun male, alcun dolore.
Donale
pace e libertà.