Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

mercoledì 23 giugno 2010

La bicicletta di Giovanni Pascoli

Frank RichardsI
Mi parve d'udir nella siepe
la sveglia d'un querulo implume.
Un attimo... Intesi lo strepere
cupo del fiume.
Mi parve di scorgere un mare
dorato di tremule mèssi.
Un battito... Vidi un filare
di neri cipressi.
Mi parve di fendere il pianto
d'un lungo corteo di dolore.
Un palpito... M'erano accanto
le nozze e l'amore.
dlin... dlin...
II
Ancora echeggiavano i gridi
dell'innominabile folla;
che udivo stridire gli acrìdi
su l'umida zolla.
Mi disse parole sue brevi
qualcuno che arava nel piano:
tu, quando risposi, tenevi
la falce alla mano.
Io dissi un'alata parola,
fuggevole vergine, a te;
la intese una vecchia che sola
parlava con sé.
dlin... dlin...
III
Mia terra, mia labile strada,
sei tu che trascorri o son io?
Che importa? Ch'io venga o tu vada,
non è che un addio!
Ma bello è quest'impeto d'ala,
ma grata è l'ebbrezza del giorno.
Pur dolce è il riposo... Già cala
la notte: io ritorno.
La piccola lampada brilla
per mezzo all'oscura città.
Più lenta la piccola squilla
dà un palpito, e va...
dlin... dlin...
(Canti di Castelvecchio)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

lo strepere del fiume e i gridi degli esseri viventi. Pascoli ha parole che ad altri scarseggiano ma ha anche i suoni della vita che diventano vocaboli e sapori.

Gujil

Francesca Vicedomini ha detto...

Ah,non mi toccate Pascoli!