Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

domenica 7 novembre 2010

Vento sulla Mezzaluna di Eugenio Montale

McClelland Barclay Edimburgo
Il grande ponte non portava a te.
T’avrei raggiunta anche navigando
nelle chiaviche, a un tuo comando. Ma
già le forze, col sole sui cristalli
delle verande, andavano stremandosi.
L’uomo che predicava sul Crescente
mi chiese «Sai dov’è Dio?». Lo sapevo
e glielo dissi. Scosse il capo. Sparve
nel turbine che prese uomini e case
e li sollevò in alto, sulla pece.
(La Bufera e altro II)

sabato 6 novembre 2010

Canzone d'Autunno di Federico Garcia Lorca

Rolf Armstrong/1933
Oggi ho nel cuore
un vago tremolio di stelle
ma il mio sentiero si perde
nell'anima della nebbia.
La luce mi tronca le ali
e il dolore della mia tristezza
bagna i ricordi
alla fonte dell'idea.
Tutte le rose sono bianche,
bianche come la mia pena,
e non sono rose bianche,
è scesa la neve su di loro.
Prima ebbero l'arcobaleno.
E nevica anche sulla mia anima.
La neve dell'anima
ha fiocchi di baci
e scene calate nell'ombra
o nella luce di chi le pensa.
La neve cade dalle rose,
ma quella dell'anima rimane
e gli artigli del tempo
ne fanno un sudario.
La neve si scioglierà
quando verrà la morte?
O avremo altra neve
e altre rose piú perfette?
Sarà con noi la pace
come c'insegna Cristo?
O forse il problema
non sarà mai risolto?
Ma se c'inganna l'amore?
Cosa sosterrà la nostra vita
se il crepuscolo ci affonda
nella vera scienza
del Bene che chi sa se esiste
e del Male che incombe alle spalle?
Se muore la speranza
e risorge la Babele,
quale torcia farà luce
sulle strade in Terra?
Se l'azzurro è un sogno,
dove mai finirà l'innocenza?
Cosa mai sarà il cuore
se l'Amore non ha frecce?
Se la morte è la morte,
dove finiranno mai i poeti
e le cose addormentate
che nessuno più ricorda?
Oh sole di tante speranze!
Acqua chiara! Luna nuova!
Cuori dei bambini!
Anime rudi delle pietre!
Oggi ho nel cuore
un vago tremolio di stelle
e tutte le rose sono bianche
bianche come la mia pena.
(Granada, novembre 1918)

venerdì 5 novembre 2010

Alla stazione in una mattina d'autunno di Giosuè Carducci

Gustav Klimt
Oh quei fanali come s'inseguono
accidïosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tènebra.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
piú belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tócco,
non anch'io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
Meglio a chi 'l senso smarrí de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.

giovedì 4 novembre 2010

Trarre insegnamento di Gunter Kunert

Otto Dix*Ritratto di prigioniero*1945
(In memoria di Primo Levi)
Dagli ultimi mucchi di cadaveri
una voce grida: Scarpe!
Le scarpe sono più importanti del cibo!
Chi non prosegue
viene ucciso. Poiché
il procedere è prezioso
per colui che
non riuscì a sfuggire
in tempo al nostro secolo
strascicando il passo
un candidato alla morte dopo l’altro
rabbrividendo miseramente poiché
il debole fuoco della vergogna dei posteri
non riscalderà più alcuno.

mercoledì 3 novembre 2010

Ai morenti basta poco di Emily Dickinson

Gustave Leonard De Jonghe
Ai Morenti basta poco, Caro,
Un Bicchiere d'Acqua è tutto,
Il Volto discreto di un Fiore
A punteggiare la Parete,
Un Ventaglio, forse, il Pianto d'un Amico
E la Certezza che qualcuno
Nessun colore nell'Arcobaleno
Percepirà, quando te ne sarai andato -

martedì 2 novembre 2010

Nel di' de' morti di Iginio Ugo Tarchetti

Antonio Lopez Garcia/Al cimitero/1959 Suonano a festa: olezzan di viole
le morte zolle e si allegra la terra;
cantando augelli, sfogliansi le aiuole...
Taccioni i morti e dormono sotterra.
Inverno riede; Autunno, come suole,
l'ultime gemme de' fiori disserra,
ronzano insetti e volteggiano al sole...
Taccioni i morti e dormono sotterra.
Dormono stesi, immobili, stecchiti
nell'umido, che stilla entro la fossa,
col lenzuol roso e co' stinchi imbianchiti.
O padre mio, una voce mi dice
e mi suona nell'anima commossa
che tu sei morto e non fosti felice!
Che felice non fosti! È questo ingrato
Rimembrar che la mia vita addolora,
È il rimembrar che de’ tuoi cari il fato
Non allietò la tua fredda dimora;
Ma dimmi, per le lacrime, che dato
Mi fia versar su la tua fossa ancora,
D’un’altra vita, in forme altri rinato,
Vedesti o vedi una più lieta aurora?
Dimmi: pel duolo ond’è l’anima oppressa
Per il negro avvenir, che m’impaura,
È una mercede alla virtú concessa?
Ma tutto è muto! - Il sol dall’alto sferra
Gli ultimi raggi, e sorride natura...
Tacciono i morti e dormono sotterra.
(dalla raccolta Disjecta/1879).

lunedì 1 novembre 2010

Thanatos Athanatos di Salvatore Quasimodo

Villegas Cordero/La Creazione E dovremo dunque negarti, Dio
dei tumori, Dio del fiore vivo,
e cominciare con un no all'oscura
pietra «io sono», e consentire alla morte
e su ogni tomba scrivere la sola
nostra certezza: «thànatos athànatos»?
Senza un nome che ricordi i sogni
le lacrime i furori di quest'uomo
sconfitto da domande ancora aperte?
Il nostro dialogo muta; diventa
ora possibile l'assurdo. Là
oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi
vigila la potenza delle foglie,
vero è il fiume che preme sulle rive.
La vita non è sogno. Vero l'uomo
e il suo pianto geloso del silenzio.
Dio del silenzio, apri la solitudine.