Portrait of Gysis, 1865, Ludwig Thiersch |
scende la bella neve sonnolenta,
tutte le cose ammanta come spetri;
scende, risale, impetuosa, lenta,
di su, di giù, di qua, di là, s’avventa
alle finestre, tamburella i vetri....
Turbina densa in fiocchi di bambagia,
imbianca i tetti ed i selciati lordi,
piomba dai rami curvi, in blocchi sordi....
Nel caminetto crepita la bragia
e l’anima del reduce s’adagia
nella bianca tristezza dei ricordi.
Reduce dall’Amore e dalla Morte
gli hanno mentito le due cose belle!
Gli hanno mentito le due cose belle:
Amore non lo volle in sua coorte,
Morte l’illuse fino alle sue porte,
ma ne respinse l’anima ribelle.
In braccio ha la compagna: Makakita;
e Makakita trema freddolosa,
stringe il poeta e guarda quella cosa
di là dai vetri, guarda sbigottita
quella cosa monotona infinita
che tutto avvolge di bianchezza ondosa.
Forse essa pensa i boschi dove nacque,
i tamarindi, i cocchi ed i banani,
il fiume e le sorelle quadrumani,
e il gioco favorito che le piacque,
quando in catena pendula sull’acque
stuzzicava le nari dei caimani.
II
Con la Mamma vicina e il cuore in pace,
s’aggira, canticchiando un melodramma;
sospira un po’.... Ravviva dalla brace
il guizzo allegro della buona fiamma....
Canticchia. E tace con la cara Mamma;
la cara Mamma sa quel che si tace.
Egli s’aggira. Toglie di sul piano-
forte un ritratto: «Quest’effigie!... Mia?...»
E fissa a lungo la fotografia
di quel sè stesso già così lontano:
«Sì, mi ricordo.... Frivolo.... mondano....
vent’anni appena.... Che malinconia!...
Mah! Come l’io trascorso è buffo e pazzo!
Mah!...» - «Che sospiri amari! Che rammenti?»
«Penso, mammina, che avrò tosto venti
cinqu’anni! Invecchio! E ancora mi sollazzo
coi versi! E tempo d’essere il ragazzo
più serio, che vagheggiano i parenti.
Dilegua il sogno d’arte che m’accese;
risano a poco a poco, anche di questo!
Lungi dai letterati che detesto,
tra saggie cure e temperate spese,
sia la mia vita piccola e borghese:
c’è in me la stoffa del borghese onesto....
Sogghigna un po’! Ricolloca sul piano-
forte il ritratto «....Quest’effigie! Mia?...
E fissa a lungo la fotografia
di quel sè stesso già così lontano.
«Un po’ malato.... frivolo.... mondano....
Si, mi ricordo.... Che malinconia!...»
Con la Mamma vicina e il cuore in pace,
s’aggira, canticchiando un melodramma;
sospira un po’.... Ravviva dalla brace
il guizzo allegro della buona fiamma....
Canticchia. E tace con la cara Mamma;
la cara Mamma sa quel che si tace.
Egli s’aggira. Toglie di sul piano-
forte un ritratto: «Quest’effigie!... Mia?...»
E fissa a lungo la fotografia
di quel sè stesso già così lontano:
«Sì, mi ricordo.... Frivolo.... mondano....
vent’anni appena.... Che malinconia!...
Mah! Come l’io trascorso è buffo e pazzo!
Mah!...» - «Che sospiri amari! Che rammenti?»
«Penso, mammina, che avrò tosto venti
cinqu’anni! Invecchio! E ancora mi sollazzo
coi versi! E tempo d’essere il ragazzo
più serio, che vagheggiano i parenti.
Dilegua il sogno d’arte che m’accese;
risano a poco a poco, anche di questo!
Lungi dai letterati che detesto,
tra saggie cure e temperate spese,
sia la mia vita piccola e borghese:
c’è in me la stoffa del borghese onesto....
Sogghigna un po’! Ricolloca sul piano-
forte il ritratto «....Quest’effigie! Mia?...
E fissa a lungo la fotografia
di quel sè stesso già così lontano.
«Un po’ malato.... frivolo.... mondano....
Si, mi ricordo.... Che malinconia!...»
* I Colloqui 1911*
da POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO
1 commento:
Insolita la compagnia della scimmietta Makakita a guardare la neve che scende. Oggi conosciamo anche noi il pet di Gozzano. E magari un giorno vedremo un suo ritratto con Makakita accanto.
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