Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

sabato 9 gennaio 2016

Sesta poesia di Giovanni Papini

Jean Dupas Les Perruches 1925
Inno d'inverno sciolto come neve guazzosa 
sul lavorato, stimolo d'alte salite  
per questa carne poggiata e dogliosa 
in tante nevrastenie non guarite. 

Son sazio delle campagne. Ricominciamo 
a esser noi solamente, lettori 
deboli sulle sedie che amiamo 
più de' ronchi silvestri e de' fiori. 

Soffia luce ogni bottega sul centro 
della strada sporcata di mota e di gente.
I bruni signori stan dentro 
a' rossi bars, alti, senza dir niente. 

Le signore son vestite, tutte, da festa 
e da corsa, per quanto sia lunedì, 
e quasi tutte scotono in cima alla testa 
sei o sette fili di candido asprì. 

La prima, guardata, si volta, 
con occhi d'invito e stupore. 
(Mia povera faccia stravolta 
creduta specchio d'improvviso amore!)
 
Alla fine soltanto le vesti 
mi piacciono — lana e velluto. 
Vorrei toccarle con fini onesti, 
accarezzarle non veduto. 

Le scarpe ferme da' calzolai, 
lustre e pulite in troni di cristallo, 
tremano al passo scosso del tranvai, 
come alla prima nota d'un ballo.

Fresche bluse nel bianco dal fondo,
vuote sottane scendenti da' ganci,
fioriscon di sera il mio mondo
di verdi, d'argenti e di aranci.

Più forti del sole son gli ori
massicci, posati su petti di seta,
con pietre stellari di freddi colori
stillate dal fuoco d'un altro pianeta.
*
da LIRICA DEL NOVECENTO
*
Giovanni nacque il 9 gennaio del 1881

2 commenti:

Juliet ha detto...

Un inno sconsolato e stufo di campagne, soprattutto se rimpiante e fantasticate, finalmente!
Quadro interessantissimo, volumi plastici e colori inquietanti.
Un saluto alla padrona di casa, alla cara Rose e a tutte le belle anime di passaggio

Rose ha detto...

Un ambiente chiuso affollato, vivace e colorato. Occhiate che si incrociano, onesti desideri. Si allungano le gambe sotto il tavolo. Pausa caffè.