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Ettore De Maria Bergler*Villa Igeia |
Non temere, o uomo dagli occhi
glauchi! Erompo dalla corteccia
fragile io ninfa boschereccia
Versilia, perché tu mi tocchi.
Tu mondi la persica dolce
e della sua polpa ti godi.
Passò per le scaglie e pè nodi
l'odore che il cuore ti molce.
Mi giunse alle nari; e la mia
lingua come tenera foglia,
bagnata di súbita voglia,
contra i denti forti languía.
Sapevi tu tanto sagaci
nari, o uomo, in legno sì grezzo?
Inconsapevole eri, e del rezzo
gioivi e dè frutti spiccaci
e dell'ombre cui fànnoti gli aghi
del pino, seguendo il piacere
dè vènti, su gli occhi leggiere
come ombre di voli su laghi.
Io ti spiava dal mio fusto
scaglioso; ma tu non sentivi,
o uomo, battere i miei vivi
cigli presso il tuo collo adusto.
Talora la scaglia del pino
è come una pàlpebra rude
che subitamente si chiude,
nell'ombra, a uno sguardo divino.
Io sono divina; e tu forse
mi piaci. Non piacquemi l'irto
Satiro su 'l letto di mirto,
e il Panisco in van mi rincorse.
Ma tu forse mi piaci. Aulisce
d'acqua marina la tua pelle
che il Sol feceti fosca. Snelle
hai gambe come bronzo lisce.
Offrimi il canestro di giunco
ricolmo di persiche bionde!
Poiché non mi giovano monde,
riponi il tuo coltello adunco.
Io so come si morda il pomo
senza perdere stilla di suco.
Poi cò miei labbri umidi induco
il miele nel cuore dell'uomo.
Riponi il ferro acre che attosca
ogni sapore. Tu non pregi
i tuoi frutti. I peschi, i ciriegi,
i peri, i fichi in terra tosca
son di dolcezza carchi, e i meli,
gli albricocchi, i nespoli ancòra!
E tu li spogli in su l'aurora
velati dei notturni geli.
Da tempo in cuor mio non è gaudio
di tal copia. Ahimè, sono scarsi
i doni. E tu vedi curvarsi
i rami del susino claudio!
Ma io non ho se non la tetra
pigna dal suggellato seme.
E a romper la scaglia che il preme
non giovami pur una pietra.
O uomo occhicèrulo, m'odi!
Lascia che alfine io mi satolli
di queste tue persiche molli
che hai nel cesto intesto di biodi.
Ti priego! La pigna malvagia
mi vale sol per iscagliarla
contro la ghiandaia che ciarla
rauca. Non s'inghiotte la ragia.
Ma se la mastichi negli ozii,
quantunque ha sapore amarogno,
allor che il tuo cuore nel sogno
si bea lungi ai vili negozii,
certo ti piace, o uomo; ed io
te ne darò della più ricca.
Tu la persica che si spicca,
e ne cola il suco giulío,
dammi, ch'io mi muoio di voglia
e da tempo non ebbi a provarne.
Non temere! Io sono di carne,
se ben fresca come una foglia.
Toccami. Non vello, non ugne
ricurve han le tue mani come
quelle ch'io so. Guarda: ho le chiome
violette come le prugne.
Guarda: ho i denti eguali, più bianchi
che appena sbucciati pinocchi.
Non temere, o uomo dagli occhi
glauchi! Rido, se tu m'abbranchi.
Abbrancami come il bicorne
villoso. La frasca ci copra,
i mirti sien letto, di sopra
ci pendano l'albe viorne.
Ma come, Occhiazzurro, sei cauto!
Forse amico sei di Diana?
Ora scende da Pietrapana
il lesto Settembre co 'l flauto,
se cruenta nel corniolo
rosseggi la cornia afra e lazza.
Odo tra il gridío della gazza
il richiamo del cavriuolo.
Sei tu cacciatore? Sei destro
ad arco, esperto a cerbottana?
Ora scende da Pietrapana
Settembre. Tu dammi il canestro.
Eh, veduto n'ho del pèl baio
verso il Serchio correre il bosco!
Tu dammi il canestro. Conosco
la pesta se ben non abbaio.
Accomanda il nervo alla cocca.
Ne avrai della preda, s'io t'amo!
Imito qualunque richiamo
con un filo d'erba alla bocca.