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Willy Finch |
Ma un vento lieto giù dalla montagna
invade la natura senza luce
che per pioggia e per nebbia si dissolve,
e delle nubi oscure la continua
trama dirompe, e la diffusa nebbia
leva ed in nembi bianchi la sospinge
giocosamente;
e ride il sole volto ad occidente,
ed i monti lontani e le colline
boscose e la pianura
risuscita ugualmente illuminando
nella lor gloria varia
delle ben note forme.
Ma splendono più chiare e più serene
festevolmente,
poichè più luminosi si rimandano
i generosi a lor raggi del sole.
Riluce il monte, il piano,
e il ciel riluce
verde di luce presso all’orizzonte,
e in alto nell’azzurro
l’ultime nubi fuggono ed il sole
con lieto riso
tinge di rosa gli orli alle fuggenti.
Ahi, come tutta la natura in breve
si rasserena
nella pacata luce,
e la pena passata e il lungo tedio
dei giorni grigi oblia! che solo a gioco
s’era offuscata, ed or con nuovo gioco
si rinnovella
e rifulge più pura.
Ma il cor mi punge con tristezza amara
che il dì ripensa della gioia
e l’alba luminosa e la speranza
folle e sicura, quando
con lieto viso, incontro al nuovo sole,
levai il primo canto, e la sua luce
era certa promessa alla mia speme.
E le dolci figure del mio sogno
che appena avvicinate dileguaro
tristi, perch’io ver lor fervidamente
mi protendessi
e in me le volessi, me stesso in loro
tutto esauriva.
Voler e non voler per più volere
mi trattenne sull’orlo della vita
ad angosciarmi in aspettar mia volta,
ed ai giochi d’amore ad alle imprese
giovanili mi fece disdegnoso,
a qual pro? Ma alla veglia dolorosa
una fiamma splendeva e la nutriva
una speme più forte.
Chè se al lieto commercio e del piacere
al giocondo convito l’imperioso
battere mi togliea del mio volere
impaziente, e mi togliea il fatale
precipitar dell’ora nel futuro,
pur m’indicava la mia ferma fede
un giorno ed una gioia senza fine,
e l’affrettava.
Ahi, quando pur m’illude la mortale
mia vista che di fuor ci tinge certo,
quanto ci manca sol perchè ci manca
"vuoto il presente, vuoto nel futuro
senza confini ogni presente, placa
il voler tuo affannoso!
non chieder più che non possa natura!"
ma il cor vive, vuole, chiede e aspetta
pur senza speme, aspetta e giorno ed ora,
e giorno ed ora nè sa che s’aspetta,
e inesorabilmente
passan l’ore lente.
Così è fuggita e fugge giovinezza,
ed i miei sogni e la speranza antica
nel mio cupo aspettar ancor ritrovo
insoddisfatti.
Che mi giova, o natura luminosa,
l’armonia del tuo gioco senza cure?
Ahi, chi il tuo ritmo volle preoccupare,
rientrar non può nei tuoi eterni giri
ad oziare
nel lavoro giocondo ed oblioso!
E suo destino attender senza speme
nè mutamento,
vegliando, il passar dell’ore lente.
Dicembre 1909
antivigilia dell’anno nuovo.