Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

venerdì 16 novembre 2012

Impossibilità della parola di Andrea Zanzotto

Andrew Loomis
Se con te, sorella, se in tua vece
giacendo corpo di vetro, dal vetro
della bara dal basso
dolce e pauroso, il mondo
veduto avessi, ieri, tra bisbigli
di campane e il compianto di novembre
- come in un vecchio film venne narrato -
se il tuo silenzio col mio mutato avessi,
non maggiore l'affanno, non la morte
maggiore: e consumato
lo stanco equivoco ora mi dorrei?
E se per te compagno, se in tua vece
i folgoranti prati
la terra tagliente la neve
saziata avessi,
nel tuo grido quale grido mio
per te, dal cuore lacerato, quale
fatale e fosco giorno a lieto volto
a aperto petto salutato avrei.
Che mi trattenne lungi
da voi, dal vostro sonno
sterile o dalla vostra
umile apoteosi? Forse quella
che dicono sporca speranza -
e al gioco spinto ancora
da viscere agitate
di presente, di fisici conati,
non disertai da questo
esistere ove terra
tocca e beve la mente, dove il sole
è un lontano martirio.
Non disertai, nè seguirvi mi fu dato
oltre l'accadimento
lo schema atono afoso delle lacrime.
Speranza e fede, virtù che dai cieli
discendono, assai più che il fuoco offeso
di carità. Voci ed occhi traditi
assai, ma più tu offesa
carità senza potenza, sgomenta
anima; nè te volli salvare
per alla fine perderti, pietoso
non fui troppo di me se prime e verdi
sempre, nelle ombre mie,
speranza carità fede non foste voi
quella che pietà di noi si dice.
E se un giorno dal fango,
da una veglia impossibile,
o da una sede non umana,
o da un'innominabile certezza
io-non-io ripensassi a questo spazio
gocciola, astuta pietra, a questa
sacra e feroce brevità di cose
e sensi e segni, se il fuoco di Marte
cogliessi avvolto alle sue sere e mari
da salutari effimere salsedini
e fanciulle protese ad abbracciare
il luccichio degl'inferi
e l'opera che edifica e ricade
in sè come in un sogno, forse anch'io
- reo di speranza e d'amore -
se tu fossi, sarei, tu ch'è da folli
il nominare, da folli il tacere?
Stipato avello, attesa, eco, di testa
mozza: al più blasfemo
dei silenzi equivale.
Ma donde in suoni che nulla
non di te colmi insegnano, non cieli
nè opere nè volti nè lo stesso
adusto loro contraddirsi,
io mi trascino e tento?
Dai mattini orribili tu liberami
dalla luce infinita che non leva
a sè le mie scomposte
passioni, i gesti invano ripetuti,
ai mattini toglimi, ai risvegli
nel raggiante terrore,
tu risveglio perpetuo su te stesso.
(Vocativo)

3 commenti:

Rose ha detto...

Mi sono persa... devo leggerla con maggiore attenzione, magari in un momento di minore stanchezza.
Zanzotto è aggrovigliato.

Buona notte a tutti.

Francesca Vicedomini ha detto...

Dai..che poi ti coinvolge, Rose!
Buon sabatino sera!

Rose ha detto...

Sì, sì, hai ragione... diciamo che si fa leggere a una seconda e a una terza lettura. In genere non amo le troppe subordinazioni: le poesie mi si debbono spiegare davanti, altrimenti corro faticosamente alla ricerca del significato e devo avere lo spirito e la concentrazione adatti a questo tipo di lavoro.


A te, Francesca, vanno comunque mille grazie per le proposte, mai banali.