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Oskar Kokoschka*Victoria De Montesquiou Fezensac*1910 |
Che più d’un giorno è la vita mortale,
nubilo breve freddo e pien di noia,
che può bella parer ma nulla vale?
Petrarca
Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri, che al novello amore
han fatto schermo della terra antica,
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta,
se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno,
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e pel piano, ma nell’aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.
Cosi mi tragge a me stesso diverso,
e amor m’induce e desiderio, ancora
ch’io non sappia perchè — pur fiducioso.
Che pure in me natura si nasconde
insidiosa, e ignaro me sospinge....
Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora
e mi toglie da me, si ch’io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo,
lontano e solo, anche se a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna.
Mentre di tra le dita delle nubi
a che occhieggian le stelle nel sereno?
Gia trapassa la notte e nuove fiamme
leverà il sole, ch’ei rispenga tosto.
Passano i giorni e già sarà qui il verno,
e il sol sorgendo pallido e incurante
farà fiorire il fango per le strade....
A che occhieggian le stelle nel sereno?
Qui bulica la terra e qui si muore,
cantano i galli e stridon le civette.
O gioia del novello nascimento,
o nuovo amore e antico!
O vita, chi ti vive e chi ti gode
che per te nasce e vive ed ama e muore?
Ma ogni cosa sospingi senza posa
che la tua fame tiene, e che nel vario
desiderar continua si trasmuta.
Di sè ignara e del mondo desiosa
si volge a questo e a quello, che nemici
le amica il vicendevole desio,
nemica a quelli pur quando li ami,
e ancor a sè per più voler nemica.
Cosi nel giorno grigio si continua
ogni cosa che nasce moritura,
che in vari aspetti pur la vita tiene,
ed il tempo travolge — e mentre vive
vivendo muor la dïuturna morte.
Ed ancor io così perennemente
e vivo e mi trasmuto e mi dissolvo,
e mentre assisto al mio dissolvimento,
ad ogni istante soffro la mia morte.
E così attendo la mia primavera
una ed intera, ed una gioia e un sole.
Voglio e non posso, e spero senza fede.
Ahi, non c’è sole a romper questa nebbia,
ma senza fine e senza mutamento
sta in ogni tempo intero ed infinito
l’indifferente tramutar del tutto.
Pur tu permani, o morte, e tu m’attendi
o sano o tristo ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Chè ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto,
e se morir non sia che continuare
la nebbia maledetta
e l’affanno agli schiavi della vita,
- purchè alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga,
e più non sappia questo ch’ora soffro
vano tormento senza via nè speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio,
su quest’occhio che sa di non vedere,
sì che l’oscurità per me sia spenta.
notte 16-17 aprile 1910.