Hugo Salmson |
Galleggia in alto un cinguettìo canoro.
È la calandra, immobile nel sole
meridïano, come un punto d'oro.
E le sue voci pullulano sole
dal cielo azzurro, quando è per tacere
la romanella delle risaiole;
e non più tintinnìo di sonagliere
s'ode passare per le vie lontane;
ché già desina all'ombra il carrettiere.
Né più cicale, né più rauche rane,
non un fil d'aria, non un frullo d'ale:
unica, in tutto il cielo, essa rimane.
Rimane e canta; ed il suo canto è quale
di tutto un bosco, di tutto un mattino;
vario così com'iride d'opale.
Canta; e tu n'odi il lungo mattutino
grido del merlo; e tu senti un odore
acuto di ginepro e di sapino,
senti un odore d'ombra e d'umidore,
di foglie, di corteccia e di rugiada;
un fragrar di corbezzole e di more.
Vai per un bosco e senti, ove tu vada,
quei fischi uscir più liquidi e più ricchi;
poi, come colpi da remota strada
di spaccapietre, il martellar de' picchi.
Ma no: dib dib: è il passero. Ricopre
la nebbia i campi, dove è dall'aurora
de' bovi il muglio e il viavai dell'opre.
Fuma la terra, fuma il cielo; ancora
fuma il camino e, tra le tamerici,
fuma il letame e grave oggi vapora.
Vaniscono laggiù le zappatrici;
di qua l'aratro emerge per incanto,
tra un pigolìo di passeri mendici.
Ma donde viene chiaro e dolce il canto
or della quaglia? È in fior lo spigo; tondo
s'apre nei campi il fior dell'elïanto.
È sera forse? e dentro il ciel profondo
il crepuscolo indugia? e nel sereno
canta la quaglia di tra il grano biondo?
E pieno il prato è già di trilli, e pieno
il grano è già di lucciole, e su l'aie
bianche s'esala il buon odor del fieno.
E no, ch'è l'alba: è sotto le grondaie
tutto un ciarlare. Sono intorno al nido
le rondinelle garrule massaie.
La casa dorme. Niuno ancor nel fido
bricco il caffè, nemico al sonno, infuse.
Vola e rivola il mattutino strido
lungo le verdi persïane chiuse.
Un torvo strillo di poiana... muta
solitudine... roccie irte, malvage...
qualche cesto d'assenzio e di cicuta...
Il cielo sfuma in un rossor di brage.
Solo un torrente urlare odo: russare
d'un ebbro in mezzo una sua muta strage.
E la poiana strilla. Ecco mi appare
una rovina, una deserta chiesa,
da cui te, solitario, odo cantare.
Canti come una dolce anima presa
da' suoi ricordi, tu, dalla rovina
dove è già la pietosa edera ascesa,
passero azzurro! O donde mai, vicina
cincia, m'inviti in vano a te? Da un orto
rosso, cui cinge il bosso e l'albaspina.
Pendono rosse tra il fogliame smorto
le dolci mele, e ingiallano le pere.
Nel mezzo un fico, nudo già, contorto.
E vi cantano cincie e capinere...
Ma no, sei tu che, immobile nel sole,
canti, o calandra, sopra le brughiere.
E le tue voci pullulano sole
dal cielo azzurro, con virtù segreta,
come veggenti limpide parole,
o grande su le brevi ali poeta.
(Il bordone/L'aquilone)
Primi poemetti
3 commenti:
La calandra con la sua pancina azzurra.
Quanto è coinvolgente il mondo di Giovanni!
Qui cantano le cicale.
Buona domenica!
Anche la ragazzina sembra un passerotto...
Con tutte ste sagre dei usei..che siano maledette!
E con ciò buon lunedì...
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