Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese,
quando partisti, come son rimasta,
come l'aratro in mezzo alla maggese.

venerdì 1 luglio 2011

Mia piccola Lirò di Arturo Onofri

Edmund Charles Tarbell
Mia piccola Lirò, ti scrivo un pò turbato,
al lume della candela, col cuore in apprensione
non so perchè, ma come se un innocuo moscone
entrato nella mia stanza vi ronzi all'impazzata.
Lirò, ti vorrei dire tante, ma tante cose,
più dolci di quei confetti che ti piacciono tanto:
tante cose soavi e tepide come il sangue
che corre alla tua fresca bocca di melarosa;
e tante altre leggère come il profumo di fien
che tu prodiga versi nei tuoi fazzolettini,
leggère come il sorriso tuo che mi fa sereno:
cose morbide, come i tuoi capelli fini,
fini più delle vene che ti battono le tempie
e molto traspariscono, azzurre e un poco verdi,
per la tua candida pelle diafana e vellutata.
Lirò, ti vorrei dire tante cose, ma semplici
e pure come i tuoi occhi; tante cose leggiadre
come quel tuo profilo che gli altri chiamano “greco
e ch’io dico “ di Lirò ”; tante cose che l’eco
già t’avrà ripetuto parlando con tua madre.
Ti vorrei bisbigliare cose tristi e dolci come
gli occhi delle caprette, cose nere più delle chiome
tue, più dei tuoi occhi; più bianche delle tue mani,
più gradite dell’odore della menta se pian piano
si schiaccia sotto le dita. Eppure io tacerò.
Nulla ti saprò dire. Neppure questo: “Lirò,
mia viva tenerezza, se tu per me sarai
quel ch’io sarò per te, sarò quel che vorrai!”
Neppure questo udrai dalla mia bocca triste.
Oh no, son troppe cose; ed infine una sola
io muoio di confidarti, ma piano, perche consola
assai più se si bisbiglia, e spesso non si resiste.
Io tacerò. Ma quando le cicale si bèano
del loro gran concerto sugli olmi della strada
e quando tutto, intorno, è solenne come un ocèano
che medita una calma, e quando tanto aggrada
ascoltare le placide fanfare dei mosconi:
in quell’ora in cui l’ombra dei piccoli cornicioni
si spande sopra tutta la facciata della casa
(sí che se un pó tu sporga dalla finestra in ombra
il tuo capo corvino per vedermi arrivare,
d’un tratto al sole di luglio io te lo veda affiammare):
in quell’ora io giungerò per la via polverosa
che balla nel solleone al canto delle cicale.
E verrò trafelato per dire quella parola
al tuo orecchio fresco, piano, perché consola
come il fruscio delle foglie quando si sfronda un ramo.
..................................................
(Poemi del sole)

3 commenti:

Rose ha detto...

Posso ironizzare? Per allontanare da me i sospetti di perfidia premetto che la poesia mi piace, che è dolce e tenera, come ha già fatto notare Veronica.
Però uno che scrive così tanto per dire che vorrebbe dire alla sua bella delle cose e poi alla fine sta zitto e poi aspetta le due del pomeriggio, quando di casa quasi non si riesce a uscire per non rimanere abbrustoliti, per andare a casa sua e dirle... una parola, una parola sola, quando ne ha scritte duemila, io proprio non lo capisco.

Francesca, sono già passata fra le montagne di Silenzi d'Alpe. Meravigliose, e bello il suo blog.

Un bacione a tutti, a chi parla come un fiume in piena e a chi si tiene le parole strette in fondo all'anima.

Francesca Vicedomini ha detto...

Benedetto lo spirito caustico di Rose, hai ragione Veronica. I vostri commenti mi allargano il cuore.
Buon luminoso sabato!
Un bacio ai pelosi.

Rose ha detto...

Grazie Veronica e grazie Francesca. Contraccambio l'affetto e abbraccio strette voi e i vostri animali.